• ᴄʜᴀᴘᴛᴇʀ ғᴏᴜʀᴛʏғᴏᴜʀ: ɪ ᴡᴀɴᴛ ᴛᴏ ʟɪᴠᴇ •

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[Chaeryeong's p.o.v.]

«Chaeryeong?» sento la voce di mia madre che mi richiama non appena faccio il mio ingresso in casa; neanche il tempo di chiudere la porta che già fremo per l'ansia. Quando mia madre parla, lo fa per avvisarmi dell'ira di mio padre nei miei confronti per qualcosa che ho dimenticato di fare.
«Cosa c'è?» rispondo alla donna provando a trasmettere una tranquillità che in questo momento desidererei tanto avere.
«Ieri sera ti sei dimenticata di chiudere la palestra» afferma mentre, ancora intenta a lavare i piatti, prova a mostrarsi una persona autorevole;  come se avesse provveduto a sé stessa senza dipendere completamente da un uomo che non l'ha nemmeno mai amata.
«Tuo padre è molto arrabbiato» sono un'idiota. L'unica cosa che non mi sarei dovuta dimenticare mi è passata di mente come se nulla fosse.
«Vado a farmi una doccia» esco dalla stanza con passi lunghi e ben distesi nella speranza di riuscire a scappare dal destino che mi insegue evidentemente con un'ascia in mano, dato che sembra volermi morta. Lascio lo zaino in camera, prendo il mio accappatoio e mi chiudo a chiave in bagno per evitare che qualcuno possa fare irruzione mentre sono completamente senza vestiti. Se succedesse sarebbe un disastro, sia perché mi sentirei tremendamente a disagio e sia perché quell'ipotetica persona vedrebbe sicuramente i miei tagli sparsi dappertutto.
Mi spoglio del tutto e rimango per qualche secondo ad osservare con attenzione la mia immagine riflessa nello specchio davanti a me.
«Mi faccio schifo» affermo, per poi chiudermi dentro la doccia: voglio evitare quella visione almeno per quanto mi sia possibile. Apro l'acqua e mi rilasso quando sento che pian piano comincia a scaldarsi. Poi, come di consueto da quando ne ho memoria, giro la maniglia dalla parte dell'acqua fredda, senza lasciare al mio corpo il tempo di adattarsi a quella tiepida. Continuo ad alternare acqua gelida e bollente, in modo da provare una sensazione di bruciore per il troppo caldo e per il troppo freddo. È un metodo che utilizzo da sempre, specialmente quando so che mio padre è arrabbiato con me e che molto probabilmente rischio di prenderle. Mio padre non è il padre migliore che si possa desiderare, insomma. Anzi, proprio per nulla.
Stabilizzo la temperatura dell'acqua dopo minuti di sofferenza per la mia pelle delicata e sensibile fin dalla nascita: conosco le reazioni che ha se esposta troppo a lungo a questo tipo di situazioni ed è ciò che mi serve per stare apparentemente un po' meglio.
Lascio che i capelli si sciacquino da soli, tanto li laverò di nuovo non appena questa sera tornerò dalla palestra. Io e Yuna ci siamo date appuntamento proprio lì per le cinque e mezzo, giusto per fare qualche stupidaggine assieme. Metto del bagnoschiuma sulla spugna e comincio a passarla insistentemente sul mio corpo, in particolare sulle coscie. Mi sento sporca. Macchiata nell'anima da una sporcizia che non ha la minima intenzione di lasciarmi vivere come meriterei, a detta di Yuna e Ryujin. La mia coscienza è sporca, anche se non ne comprendo il motivo.
Premo la spugna impregnata del profumo di vaniglia del bagnoschiuma sulla mia gamba destra, mentre mi sembra di vedere sangue al posto della schiuma bianca. Sento il respiro e i battiti che aumentano senza contegno, facendomi accasciare al suolo pochi secondi più tardi. L'acqua tiepida mi accarezza il viso mentre i miei sensi di colpa cominciano a rigarmi le guance come lacrime che vengono portate via dal getto dolce del soffione.

[...]

«Buonasera» la voce della mia ragazza si fa udibile, timida come suo solito. Mi volto e le sorrido attendendo che mi raggiunga in fondo alla stanza.
«Non pensavo che i tuoi avessero questo stabile» afferma poi mentre si guarda intorno riferendosi all'intero edificio. Quando la mia famiglia l'ha comprato era quasi del tutto distrutto: solo le fondamenta e i muri portanti erano ancora integri.
«Come stai?» mi chiede dolcemente Yuna quando mi attira a sé per baciarmi con una delicatezza riservata solo ed esclusivamente a me. Mi sento così fortunata ad averla.
«Ora che sei qui va tutto nel migliore dei modi» le mie labbra si incurvano largamente, mostrando i miei denti in quello che si potrebbe definire un sorriso grande quanto una portaerei.
«Io intendo in generale. Come va a scuola, con i tuoi...» mi fa piacere che si preoccupi per me, ma veramente non voglio parlarne. Ogni mia confessione è un qualcosa che accade di rado e, se qualche volta me ne scappa una, significa che sto per scoppiare. Abbasso semplicemente il capo per rispondere alla mia ragazza, mentre sento un sospiro lasciare le sue labbra.
«Non ti va di parlarne?» chiede con ancora più premura la minore, stringendomi ulteriormente fra le sue braccia, il mio posto preferito. Passerei giornate intere ad ascoltare il suo cuore battere con la testa appoggiata sul suo petto. Nego con dei piccoli movimenti del capo e, quando lo rialzo, sul viso di Yuna vedo un'espressione abbattuta ma comunque sorridente. Forse è triste perché non mi sono confidata con lei, ma proprio non ci riesco: è più forte di me questo sentirmi un peso per le altre persone, anche se queste mi stanno accanto per scelta, anche se mi ripetono di volermi bene, anche se affermano di amarmi proprio come lei. Non voglio trascinarla a fondo con me.
«Lo sai che puoi dirmi quello che vuoi, vero?» mi domanda mentre mi permette di sistemare il viso nell'incavo del suo collo, con una mano che accarrezza dolcemente i miei capelli castano chiaro. Io annuscio debolmente per risponderle.
«Amare significa anche condividere le sofferenze e ti ho già detto che non ho paura di provare dolore finché il tuo benessere è il fine ultimo di tutto quello che subirò» ogni volta che mi rassicura con queste parole che vengono direttamente dal suo cuore la amo sempre un po' di più. Ho anche finito i termini per definire quanto, almeno lei, mi faccia sentire accettata e amata.
«Ti ringrazio, Yuna. Sei la persona più comprensiva che io abbia mai avuto la fortuna di conoscere» bacio la mia ragazza con tutto l'amore che posso trasmetterle, provando a ricambiare la speranza che mi sta gratuitamente donando senza volere nulla in cambio. È così puro il sentimento che nutre per me che quasi non sembra vero.
«Chaeryeong?» una voce maschile, roca ed autoritaria, quella di mio padre, si fa sentire dalla stanza accanto alla nostra. Yuna si allontana da me mentre io provo a mascherare quell'imbarazzo diventato tangibile nel giro di qualche attimo: ha già capito che ai miei non piace l'idea di sapermi fidazata con una ragazza.
«Chaeryeong! Perché non mi rispondi mai quando ti chiamo al cellulare?» mio padre fa capolino dallo stipite della porta d'entrata della sala. Quando fa il suo ingresso, squadra la mia ragazza dalla testa ai piedi con uno sguardo interrogativo in viso; se continua a guardarla in quel modo potrei impazzire da un momento all'altro. Non voglio che lanci un'occhiata di più a Yuna, perché le sue iridi accecate dal peccato non devono infangare la candida immagine della mia fidanzata. Se si tratta di me può fare ciò che gli passa per la mente, ma non permetterò mai a nessuno di toccare Yuna, specialmente a lui e a quelle sue mani schifose.
«Ero impegnata» rispondo sbrigativa nell'intento di distrarre l'uomo, in modo che guardi me e smetta di svestire la mia ragazza con gli occhi. Sto per perdere la pazienza per davvero.
«Lei chi è?» continua poi, dopo aver ignorato la mia risposta sempre con lo sguardo sul corpo di Yuna.
«È... - guardo la mia ragazza per cercare consenso nel suo sguardo che, quando incontra il mio, non tarda ad arrivare - un'amica»
«Mi chiamo Shin Yuna, signore» si presenta poi lei, con la voce che vacilla un poco per la situazione tesa che si è creata.
«Non voglio che porti le tue amiche in palestra senza che paghino, lo sai» un uomo avaro ghiotto di soldi, ecco cos'è mio padre. Sono schifata dal suo comportamento e da lui.
«Si tratta di una volta ogni tanto» gli rispondo facendo spallucce.
«Ne porti sempre una nuova»
«Non mi pare di fare uno sgarbo a qualcuno»
«Tu a me non ci pensi mai, eh? Tutte le ore che passo a spaccarmi la schiena di lavoro per te non contano?!» bella questa barzelletta; mio padre è proprio un simpaticone. Lui che lavora? Mai visto in sedici anni di vita.
«Se per lavoro intendi bere di continuo al bar allora sì, lavori proprio tanto» affermo con una risata sarcastica che accompagna questa mia sfacciataggine momentanea. Non so da dove venga fuori, probabilmente dalla sicurezza che mi infonde Yuna ogni giorno, ma ho proprio voglia di divertirmi.
«NON PERMETTERTI MAI PIÙ DI PRENDERMI IN GIRO, HAI CAPITO?!» mio padre si avvicina velocemente a me con un pugno ben stretto a rappresentare ciò che mi aspetterebbe se solo non ci fosse la mia ragazza. La puzza d'alcol che proviene da lui è nauseabonda, non la sopporto.
«VIENI TU A PARLARMI DI LAVORO QUANDO L'UNICA COSA CHE FAI NELLA TUA INUTILE VITA È PIANGERTI ADDOSSO COME UNA BAMBINA DEL CAZZO?!» si avvicina ulteriormente a me urlando a pochi centrimetri dal mio viso contratto per la puzza e la paura che sta pervadendo il mio essere.
«Ti avrei dovuta abbandonare per strada assieme alle puttane, almeno un lavoro l'avresti trovato» sputa acidamente subito mentre io mi faccio sempre più piccola, ferita da queste frasi. Dietro di lui scorgo la figura di Yuna con una tavola di legno in mano, pronta ad agire in caso ce ne fosse bisogno.
«Io lo avevo detta a tua madre che avremmo dovuto abortire» dire che mi sento morire è poco. Mio padre mi spinge a terra con forza mentre mi guarda con disprezzo, poi si allontana ed esce dall'edificio. Sento i passi veloci di Yuna avvinarsi a me e il rumore della tavola di legno che cade per terra.
«Chae! Chae, stai bene? Non ti ha fatto nulla, vero? Io... non sono riuscita ad intervenire, scusami» la minore prova ad alzare il mio viso verso di lei controllando i segni di una possibile aggressione in ogni angolo immaginabile di tutto il mio corpo. Io non riesco ad aprire gli occhi per paura che, da un momento all'altro, possa comparire nuovamente lo sguardo di fuoco di mio padre. Odio quell'uomo e ne sono completamente terrorizzata.
«V-vado un attimo al bagno...» ormai con le lacrime che minacciano di cadere dai miei grandi occhi da cerbiatto, mi dirigo verso il luogo che ho menzionato. Comincio a correre quando sento che potrei svenire da un momento all'altro e mi chiudo dentro la stanza del bagno appena oltrepasso la soglia della porta. Mi appoggio con la schiena poco distante dall'entrata ed estraggo da una delle fessure della parete una lama. L'ho nascosta qui un paio di mesi fa, tra una mattonella e l'altra, convinta che mi sarebbe potuta servire in un qualsiasi momento. Per me è come una dipendenza: sono dipendente dall'unico dolore che riesce a sovrastare il disgusto che provo per me stessa.
«Chaeryeong, aprimi subito. Lo so cosa stai per fare» dice Yuna mentre batte insistentemente le mani sulla porta. Rimango per un attimo stupita dalle sue parole perché ormai mi conosce talmente tanto bene da riuscire a prevedere le mie mosse. Non ci vuole tanto a sapere come reagisco a questo tipo di cose, ma sentirlo dire da qualcuno è diverso. Sembra quasi che a qualcuno importi di me per davvero.
«Giuro che se lo fai ti lascio!» esclama con voce spezzata la mia ragazza. E il mio cuore si distrugge per l'ennesima volta. Ora sono ancora più motivata a farla finita, anche se sicuramente l'ha detto per evitare che io lo facessi. Giusto qualche minuto fa mi ha detto che non le interessa se soffrirà a stare con me e ora afferma che mi lascerà se solo oso tagliarmi? Yuna non direbbe mai una cosa del genere senza un fine preciso e non so perché ma voglio pensare che sia così. Le lacrime mi offuscano la vista talmente tanto da non vedere nemmeno il pavimento sotto i miei piedi.
«Chaeryeong, non scherzo! Non fare stronzate Chae, ti prego...» la sua voce rotta dal pianto viene sovrastata dai suoi pugni che battono con forza sulla porta; se a momenti cedessero gli infissi non mi stupirei. Mi sento così uno schifo. Ho fatto piangere anche lei, l'ho ferita.
«ESCI DA Lì O M'INCAZZO SUL SERIO!» dopo questa frase urlata a gran voce, il silenzio. Com'è possibile che non si senta più nulla? Fino a poco fa sembrava volesse abbattere la porta, stile boscaiolo alle prese con una quercia di centovent'anni. Capisco cosa sta per fare solo quando sento una frase che dovrebbe allarmarmi, ma che invece mi solleva.
«SE SEI DAVANTI ALLA PORTA TI CONVIENE SPOSTARTI!» e con un calcio assestato, Yuna butta giù la vecchia porta in legno logoro del bagno.
«LEE FOTTUTA CHAERYEONG, NON TI AZZARDARE A FARE NULLA!» continua ad urlarmi come se stessi per spararmi; eppure la trovo tremendamente bella. Che senso ha, ora che c'è lei, desiderare ancora di morire? Che senso ha volere la morte quando si è amati da una persona tanto quanto mi ama lei?
Se non mi avesse amata non mi avrebbe aspettata per dei lunghi mesi.
Se non mi avesse amata non avrebbe passato pomeriggi interi ad ascoltare i miei drammi.
Se non mi avesse amata, non avrebbe sfondato la porta di un bagno dentro il quale mi ero chiusa per potermi salvare da me stessa. Questa è l'ennesima conferma del fatto che non devo morire.
Io, Lee Chaeryeong, ho finalmente deciso, qui e ora, nuovamente stretta tra le braccia di Shin Yuna, che voglio vivere.

ᴛʜᴇ ᴇᴍʙʟᴇᴍ ᴏғ ʟᴏᴠᴇ • ⁱᵗᶻʸDove le storie prendono vita. Scoprilo ora