• ᴄʜᴀᴘᴛᴇʀ ғᴏᴜʀᴛʏᴇɪɢʜᴛ: ɴᴇᴡ ʏᴏʀᴋ •

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[Taemin's p.o.v.]

Mi alzo dal letto con i capelli arruffati e spettinati: sembra che io sia caduto dentro un cumulo di paglia. Un brivido mi percorre l'intero corpo appena i miei piedi incontrano le mattonelle gelide del pavimento; ottima idea dormire in boxer a dicembre, non credete? Vado verso il bagno mentre trascino i miei passi ancora assonnato, mi sciacquo il viso per ritornare a contatto con il mondo e poi mi dirigo verso la cucina. Non ho fame e di solito non faccio colazione, ma credo che oggi io debba integrare nel mio corpo le giuste energie per iniziare al meglio questa giornata che non si prospetta affatto positiva. E lo so che molti di voi mi stanno etichettando come un ragazzo pessimista, ma quando Kwon mi chiama non posso che essere spaventato da ciò che ha da chiedermi.
Cosa non faccio per una vita che si può chiamare tale...
Sospiro mentre mi siedo intorno al piccolo tavolo posto al centro della mia umilissima cucina. Diciamo che non la uso molto e, a dire la verità, non so nemmeno se mai imparerò a cucinare. Già tanto se so bollire un po' d'acqua dentro una pentola senza allagare l'intero appartamento, figuriamoci imparare la vera e propria arte culinaria. Rivolgo uno sguardo stanco alla finestra che illumina la stanza per constatare che, come tutte le mattine ormai, piove a dirotto. Non c'è da meravigliarsi, perché siamo a dicembre, ma vedere sempre la pioggia è deprimente. Mi rattrista questo cielo così cupo che mi sovrasta; pare che ce l'abbia con me per qualcosa che ho fatto erroneamente.
Sbuffo, poi mi alzo e ripongo la tazza dentro il lavandino assieme alle altre stoviglie, quelle che ancora devo lavare da svariati giorni. Prima o poi troverò la voglia di farlo, ma sicuramente non mi cimenterò in quello proprio adesso. Torno in camera per cercare nel mio armadio qualcosa di decente da poter indossare, dato che non mi pare il caso di presentarmi davanti a Kwon vestito come un barbone. Una maglia nera e un paio di jeans andranno più che bene. Cerco questi indumenti dentro i vani infiniti dell'armadio e, appena li ho tra le mani, li indosso. Spero che questa giornata possa migliorare e superare le mie aspettative che, come ogni volta in cui devo recarmi dal boss, sono sotto terra. Non ci sto bene in quel posto, ma loro sono gli unici che possono offrirmi una protezione ottimale.
«Okay Taemin, puoi farcela» inspiro ed espiro più volte rischiando di strozzarmi con l'aria prima di afferrare le chiavi di casa e il cappotto che indosso subito dopo.
A Ryujin non ho detto nulla: non voglio che si preoccupi. Sicuramente avrebbe insistito per accompagnarmi con la costante paura che possano farmi del male, ma non posso permetterle di perdere giorni di scuola che, almeno a lei, spero serviranno in futuro. Ho promesso a suo padre che l'avrei protetta ad ogni costo, esattamente come avrebbe fatto lui, e non ho intenzione di deluderlo ovunque si trovi.
Esco dal mio appartamento un po' desolato con l'ombrello tra le mani e scendo le scale del condominio in cui abito; credo che andare a piedi sia l'idea migliore. Sono cinquanta minuti in anticipo, quindi una bella passeggiata, anche se sotto la pioggia, gioverà sia al mio fisico che alla mia mente. Solitamente mi piace camminare per le strade delle città e incontrare i visi stanchi delle persone a fine giornata; è un'abitudine che ho preso da mio padre. Lui se n'è andato quando io ancora ero molto piccolo e questo è uno dei pochissimi ricordi che ho con lui. Uscivamo la sera, lo accompagnavo sempre a prendere il suo quotidiano pacchetto di sigarette. Mi prendeva per mano e tutti i giorni, alle sette in punto, percorrevamo la strada che divideva casa nostra dalla tabaccheria in cui vendevano quel veleno. Lui era un uomo molto abitudinario: essere puntuale era il suo pane quotidiano e non esisteva la parola ritardo nel suo vocabolario. Non era cattivo, ma bisognava saperlo capire, altrimenti risultava una persona disumana e cinica. In realtà aveva un gran cuore, esattamente come ce l'ho io, ma non ha mai avuto la possibilità di dimostrarlo. In un certo senso, un po' mi riconosco in lui. Insomma, è mio padre quindi è normale che io sia simile a lui, però a volte mi sento proprio la stessa persona che era lui.
Mia madre, invece, non la ricordo. L'unico momento che ho condiviso con lei rimasto vivido nella mia mente, è quello della sua morte. Ricordo ancora lo sguardo di quegli esseri spregevoli che l'hanno freddata all'uscita di un ospedale. Ricordo come mio padre mi ha preso di peso e mi ha portato via da quella visione infernale. Ricordo come non riuscii a dormire per notti intere con il viso di mia madre agonizzante a terra impresso nella mente. Ricordo i mesi passati ad urlare a mio padre incolpandolo di non aver portato in salvo anche la sua compagna. Quando anche mio padre è morto, mi sono dovuto ricostruire da capo come uomo a soli otto anni e, esattamente come ci si aspetta da un bambino, ho fallito. Non avevo ancora quasi mosso i primi passi nel mondo e mi sono ritrovato da solo. Eppure, se guardo alla persona che sono ora, devo ringraziare un uomo solo: il padre di Ryujin. Mi ha raccolto dalla strada esattamente come si fa con un cucciolo ferito e mi ha offerto una dimora, la protezione e il calore di una famiglia vera. Era appena nata Ryu quando, per la prima volta, ho messo piede in casa loro. Mi sono sentito amato per davvero, fino al giorno in cui non ho scoperto la verità sui miei genitori. Mi avevano fatto nascere nonostante ci fosse una situazione di rivalità tra le loro famiglie e, di conseguenza, tra i clan di cui facevano parte. Mescolare il sangue di uno con quello dell'altro era considerato un oltraggio e un tradimento vero e proprio. Si pagava con la vita, proprio come è successo a loro.
Il giorno in cui me ne sono reso conto sapevo cosa mi sarebbe spettato e per un attimo, durante un momento di buio completo, ho desiderato di morire.
Accendo una sigaretta con le mani tremolanti nonostante stia continuando a piovere; ho smesso da qualche minuto di capire cosa mi capita intorno. Odio ripensare a tutto ciò che sono e che non sono stati i miei genitori per me. Odio pensare in generale, perché ogni volta ritorno sempre qui, a riflettere sulla loro morte senza smettere di sentirmi in colpa.
Finirò anche io come loro?
«Ragazzo, sta' attento! Guarda dove vai!» un uomo inchioda con l'auto prima che possa investirmi sulle strisce pedonali. Sono talmente sovrappensiero che se mi richiamassero mille volte non me ne accorgerei.
«Mi scusi...» porto le mani in avanti e mi scuso con l'autista di quell'auto vecchia e rumorosa. Mi è andata bene questa volta. Devo smettere di perdermi tra i pensieri ogni volta che mi capita di avere la mente libera. Mi lamento sempre di avere la testa tra le nuvole e poi, appena ho la possibilità di stare un po' tranquillo, rischio di farmi investire perché sono una testa di cazzo e penso quando meno dovrei.
Mi lancio un'occhiata alle spalle appena imbocco la stradina che porta al covo di quel topo di fogna del mio boss. So che dovrei essergli riconoscente perché mi offre la protezione del suo clan, ma non posso fare a meno di detestarlo; mi chiama sempre quando non ha altri uomini per compiere qualche lavoro losco e io, se non voglio morire, devo accettare. Esatto: se ci tengo alla mia fottuta pelle, devo fare ciò che mi ordina. Nemmeno me lo chiede. O lo faccio, o mi lascia in mezzo alla strada in balia non di uno, ma bensì di due nemici. Se potessero, i Lee mi metterebbero al rogo, perciò non ci tengo a mettermi contro anche Kwon.
«Changkyun, aprimi. Sono Taemin» mantenendo un tono di voce piuttosto basso per non farmi sentire da terzi, chiedo l'accesso al ragazzo che ho nominato. Dopo qualche secondo le serrature della porta si sbloccano e questa si apre, rivelando il solito corridoio poco illuminato che ormai conosco a memoria. Uno sguardo indifferente da parte di Kyun, uno velato di terrore da parte mia. Le nostre, due posizioni completamente differenti. Lui si trova in questo posto perché la sua famiglia lo ha rinnegato. È caduto nella trappola della droga e i suoi genitori, invece che aiutarlo ad uscirne, lo hanno cacciato il più lontano possibile da loro. Ottimo esempio lasciato ai posteri, davvero.
Inutile dire che, anche se può non sembrare, lui ci soffre ancora e l'unica cosa che riesce a distrarlo dalla cruda realtà è la cocaina. Vecchio stampo, il nostro Kyun. Con tutte le droghe sintetiche che ci sono al giorno d'oggi, optare per qualcosa di così "leggero", per chi sa di cosa sto parlando, è considerata un'azione quasi stupida. Perché decidere di morire lentamente quando puoi farlo con un paio di piccole dosi? A questa domanda ho due risposte: o preferisce soffrire di più, oppure continua ad avere la speranza che, un giorno, riuscirà ad uscire dalla dipendenza. Spero vivamente che questa sua scelta dipenda dalla seconda possibilità; di chiunque si parli, mi dispiace considerare che la persona in questione possa venire a mancare da un momento all'altro.
«Taemin, alla buon'ora» la voce roca e tagliente di Kwon risuona tra le pareti spoglie di questo edificio. Non c'è nessuno in giro e questa cosa mi puzza; sarà uno dei suoi soliti giochetti.
«Come mai non c'è nessuno?» chiedo esitante mentre avanzo sempre più lentamente, gli occhi che vagano furbi per gli ambienti umidi di questo posto.
«Ora servono i testimoni per poter parlare con un amico?» l'uomo muove dei passi rilassati verso di me con un ghigno malvagio in volto: sembra mi stia prendendo in giro. Non imparerò mai a fidarmi di lui.
«Dai Lee, stai tranquillo» ridacchia Kwon mente mi guarda con disprezzo. Prima che possa accorgermene, degli uomini escono dall'oscurità e bloccano le mie azioni; mi ritrovo impossibilitato di compiere alcun movimento, adesso. Provo a dimenarmi, ma ogni mio tentativo risulta inutile. Non pensavo sarebbe arrivato a tanto, ma che ci fosse qualcosa sotto me lo aspettavo.
«Cosa vuoi da me, Kwon?» chiedo a denti stretti al mio boss. Lui continua ad avanzare verso di me, sfoderando il suo coltello pieghevole, quello col manico d'oro che si porta sempre dietro. Ricordo che glielo andai a prendere io, in Honduras, circa due anni fa. Sì, mi mandò fin là per recuperarglielo perché ero, e sono tutt'ora, uno degli individui che meno si possono ricollegare a lui.
«Ho un viaggetto da proporti» afferma scandendo bene le parole mentre ammira quasi con le lacrime agli occhi la lama della sua arma preferita.
«In poche parole, diciamo che ho degli affari da svolgere in una determinata città ma, come ben sai, io non posso viaggiare così liberamente»
«Dove devo andare?» ormai mi sono arreso: non c'è niente per cui io possa lottare, perciò mi conviene fare come dice.
«New York» sospira l'uomo mentre distoglie lo sguardo dalla mia figura per posarlo su qualcosa alle sue spalle. Si volta e cammina in direzione di un oggetto che, a quanto pare, gli interessa tanto, poi lo afferra e torna verso di me.
«Ho già pensato a tutto: biglietti, ulteriori spese, alloggio e altre cazzate» afferma. Con disinvoltura sbatte la busta che contiene ciò che ha menzionato sul mio petto. L'oggetto cade a terra perché, evidentemente, io non posso muovermi.
«Che c'è, Lee? Non riesci a muoverti?» mi chiede con un broncio triste sul viso messo su per prendersi gioco di me, scatenando una risata generale tra i presenti nella stanza. Ormai essere umiliato in questo modo è diventata come un'abitudine per me.
«Hai quarantotto ore per pensare se prendere o lasciare, ma ti avviso: questa volta, se deciderai di lasciare, non sarai tu a rimetterci» continua con la beffa il mio boss.
«Kwon, non fare scherzi. Che cazzo significa?» ribatto innervosito dal suo comportamento.
«Se minacciassi te non ci sarebbe gusto» replica lui mentre traccia una linea immaginaria sul mio collo con la lama del suo adorato coltello. Il mio pomo d'Adamo sale e scende un paio di volte, marcando la mia agitazione in questo momento.
«Perciò,» esclama ad un tratto allontanandosi da me e facendomi sobbalzare.
«se deciderai di non fare quello che ti ho chiesto, sarà la tua amichetta Ryujin a rimetterci»
«Kwon, lei non c'entra nulla con la situazione che hai con me» provo a mantenere la calma, a parlare con gli occhi chiusi per non guardare in faccia quel verme. Non può rimetterci un ragazza innocente.
«Se ammazzassi te non soffrirebbe nessuno e poi so perché sei così legato a lei» sul volto dell'uomo si legge pietà: lui stesso sa che non ho scelta.
«So della storia di suo padre» continua poi. Sapevo che prima o poi avrebbe scoperto queste cose e ora sono fottutamente spaventato da come potrebbe giocare le carte a suo favore.
«Credi veramente che continuo a chiamare Ryujin perché mi serve?» chiede lui ironicamente con la fronte aggrottata e un sorriso di scherno.
«Per me potrebbe anche morire ai lati della strada assieme ai sorci» ride poco dopo gesticolando un poco. Non può parlare così della persona più preziosa che ho, non glielo posso permettere.
«Brutto figlio di puttana, non ti azzardare a parlare così di lei! NON PROVARCI MAI PIÙ!» urlo con tutto il fiato che ho in corpo mentre provo a sporgermi verso Kwon. Se fossi libero, in questo momento, lo avrei già ammazzato di botte. Lui torna velocemente verso di me e alza il mio viso con una mano che stringe e tira i miei capelli.
«Non azzardarti mai più a parlarmi così» ringhia a pochi centimetri dal mio viso contratto per il dolore e la rabbia. Sento le sue iridi nere scrutare le mie e cercare quel terrore che tanto sta cercando di incutermi. Dopo qualche secondo molla la presa e ordina ai suoi uomini di lasciarmi con un gesto rapido.
«Ora sparisci e torna qui tra due giorni» detto ciò, scompare dalla mia vista insieme ai suoi scagnozzi.

ᴛʜᴇ ᴇᴍʙʟᴇᴍ ᴏғ ʟᴏᴠᴇ • ⁱᵗᶻʸDove le storie prendono vita. Scoprilo ora