Un cuore in sospeso

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San Felice Circeo, 5 ottobre 1941

Le notizie che veicolavano dalla radio del bar, che la signora Pizzopane, la moglie del proprietario, provvedeva a tenere sempre accesa, erano sempre più devastanti: sul fronte russo vi erano molti uomini del paese, partiti pieni di entusiasmo e ora terrorizzati dall'idea di non morire.
Gli anziani ai tavolini erano stati sostituiti dalle donne, madri, mogli e sorelle, che si presentavano lì tutti i pomeriggi a una cert'ora per ascoltare i bollettini di guerra: ogni volta avevano paura di sentir pronunciare, tra i nomi dei caduti, anche quelli dei loro familiari; per le famiglie dei dispersi, inoltre, vi era ulteriore angoscia: almeno le vedove avrebbero avuto qualcuno con cui piangere, loro invece avrebbero vissuto per chissà quanto tempo nell'incertezza.
Come queste donne si sentiva, in un certo senso, Giada; da quando Rinaldo era partito per il fronte, riceveva regolarmente le sue lettere: quando il signor Visentin arrivava fino alla collina con la posta, la Spinelli gli correva incontro, chiedendogli se vi erano missive da parte del giovane Marini.
Le leggeva da sola, in camera sua, quando Enrico non veniva a trovarla: immaginava che sapere che l'amico fosse vivo gli facesse anche piacere, ma un po' meno che si rivolgesse a lei con dolci parole che sapevano d'amore; con Belmonte si trovava bene: ballavano come se non ci fosse la guerra, la faceva ridere; non è che gli fosse affezionata meno che a Rinaldo, ma provava per i due ragazzi sentimenti nettamente distinti.
E poi ovviamente non erano Giovanni: lui veniva sempre al primo posto, anche se erano lontani e non si vedevano mai; era con lui che si era scambiata una promessa d'amore che sarebbe sfociata presto in matrimonio, dopo la guerra: il soggiorno a San Felice Circeo era solo una parentesi, e con essa tutto quello che vi era contenuto dentro.
Quel giorno d'inizio ottobre c'era un tempo talmente bello da sembrare periodo di pace: non appena Giada sentì il campanello della bicicletta del postino Visentin, si precipitò di sotto, aprendo il portone senza aspettare nessuno e si diresse verso quest'ultimo, abituato a una simile accoglienza.
<< Allora, signor Visentin? C'è qualcosa per me? >> lo incalzò. Da quando c'era stata la sconfitta dell'esercito italiano a Mosca, Rinaldo non le aveva più scritto.
<< Sì, signorina Spinelli. La lettera di Rinaldo è arrivata! >> la rassicurò l'uomo, consegnandole la missiva e il resto della posta per i suoi zii.
La ragazza tornò dentro, gettò la posta sul tavolo del soggiorno prima che la zia Alba potesse replicare e corse su per le scale, chiudendo la porta della sua stanza e aprendo con un coltellino apposito la busta che conteneva la lettera, che aprì leggendola avidamente:

Mosca, 1 ottobre 1941

Mia dolcissima Giada,
perdonami se non ti ho scritto subito, ma i giorni successivi alla nostra disfatta russa sono stati terribili: l'entusiasmo, l'amor di patria e quelle belle favole sulla gloria dell'Impero con cui il regime ci ha indotti a partire sembrano essersi polverizzate nell'arco di una notte; anche mio padre ci credeva, per quanto non fosse un fervente fascista: tuttavia la sua fiducia nel Duce non l'ha salvato dalla pallottola del fucile di un comunista.
Sto tornando a San Felice Circeo, devo dargli una degna sepoltura: ho scritto anche a mia madre, sarà a pezzi; ti prego di starle vicino, ha bisogno di una parola di conforto.
Forse aveva ragione Maurizio, forse di  questa guerra potevamo farne veramente a meno come potevamo fare a meno della Grande Guerra, ma ora non m'importa: voglio che mio padre riposi in pace nella terra dov'è nato e cresciuto, e voglio rivedere mia madre e te; prega per me, nel frattempo.
Ti saluto con tutto l'affetto che ho nel cuore. Sempre tuo,

                                             Rinaldo

Non appena finì di leggere, Giada si sentì come svuotata: conosceva il signor Francesco Marini da poco più di un anno, ma non meritava certo di fare quella fine; pensò che per la famiglia Marini sarebbero stati tempi duri, e che anche lei avrebbe dovuto fare la sua parte.
Il suono di una mano che bussava alla sua porta la distolse dai suoi pensieri.
<< Avanti >> rispose Giada.
La governante Anita entrò nella stanza.
<< È arrivato il signorino Belmonte >> le riferì, e al nome di Enrico, Giada trasalì.
<< Mio Dio, me ne sono completamente dimenticata! >> si ricordò la ragazza, correndo allo specchio e controllando di non avere neanche un capello fuori posto.
<< Vado ad avvertirlo che state per scendere >> si congedò Anita, uscendo dalla stanza.
Nel frattempo Enrico, vestito e pettinato di tutto punto, aspettava la Spinelli passeggiando per il salone con le mani in tasca.
<< Enrico! >> lo chiamò la giovane, scendendo le scale.
<< Giada! >> replicò questi, come se avesse avuto un'apparizione.
<< Scusa il ritardo... È che è arrivata la lettera di Rinaldo... >> si giustificò lei, spostando una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Lui la guardò con un'espressione strana.
<< Un giorno mi dirai cosa ti scrive di tanto interessante, per farti fare questo po' di ritardo... >> osservò, tra lo scherzoso e il sospettoso.
<< Un giorno... Oggi balliamo! >> tergiversò la Spinelli, conducendo per mano Belmonte in quella che, fino a prima della chiamata alle armi dei ragazzi, era diventata la sala delle feste.

  

Storia d'amore e di guerra - Il conflittoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora