Come una sposa infelice

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Roma, 23 ottobre 1941

L'autunno romano sembrava molto meno colorato di quanto Iris ricordasse, dai racconti di Tiberio e Annalisa: l'arte razionalista aveva reso la città stranamente bianca, uniforme, quasi asettica rispetto a venti, trent'anni prima; Gianfranco e i fratelli Filomusi non facevano altro che ripetere quanto fosse meravigliosa, la vera e propria prosecuzione naturale dell'Impero Romano: da quel poco che ricordava dai libri di storia, la Cataldo non aveva notato affatto nemmeno vagamente un fil rouge che unisse le due epoche.
Ma d'altra parte, né Menotti né i suoi accoliti si aspettavano da lei una particolare intelligenza o cultura: per questo motivo sopperiva tali mancanze fasciandosi negli abiti e riempiendosi dei gioielli che il suo compagno le aveva regalato.
Sfoggiava il migliore dei suoi sorrisi, facendosi sempre vedere al braccio con lui in tutti i ricevimenti a cui veniva invitato: con Claudio da un lato e Mario dall'altro, sembravano re Vittorio Emanuele e la regina Maria José e la scorta reale al seguito; non che questo la rendesse particolarmente presa dal gerarca, non quanto lo era stata da Rinaldo Marini, il suo ex fidanzato: l'unico motivo che la spingeva a restare con lui era la promessa che l'uomo le aveva fatto di farle incontrare suo padre, il turista americano Richard Carter.
Gli Stati Uniti, in fondo, non erano un nemico per l'Italia, o almeno non ancora: sicuramente avrebbe avuto modo di venire nel Belpaese, da solo o con la sua famiglia legittima, la stessa per cui non si era mai preso la briga di riconoscerla.
Non gliene faceva una colpa, anzi; era un giovane d'oltreoceano che si era concesso una "parentesi italiana": non era il primo, e non sarebbe stato neanche l'ultimo.
Quel pomeriggio erano stati invitati ad un concerto da Annalisa, che avrebbe cantato "Nel mio piccolo cuore" e altre canzoni, sia scritte per lei, sia successi di altri: mentre la vedeva muoversi sul palco, con lo sguardo sognante del suo produttore rivolto verso di lei, pensò che ne avevano fatta di strada, rispetto a quando erano due giovani di San Felice Circeo, ingenue e piene di sogni.
Quando l'esibizione finì, tutta la sala applaudì; Iris notò con la coda dell'occhio Tiberio, visibilmente fiero della propria sorella minore; poco lontani da lui, Luciana e Cesare sedevano accanto al commissario Valerio Durantini.
Dopo che Annalisa ebbe finito, avanzò verso di loro al braccio di Orlando Neri: aveva un gran sorriso.
<< Sei stata bravissima, tesoro! >> esclamò Tiberio, abbracciandola.
<< Tuo fratello ha ragione, sei stata straordinaria! >> si accodò Luciana.
<< Tutto merito dei testi, sono poesia pura... >> arrossì Annalisa.
<< Dei testi e della tua meravigliosa voce >> puntualizzò Neri, prendendole la mano.
<< D'altra parte, quando qualcuno ha un dono, non bisogna sminuirsi. O sbaglio? >> intervenne il commissario Durantini.
Iris non poté fare a meno di pensare che Cesare ammirasse tantissimo quell'uomo, come se fosse l'immagine di ciò che il ragazzo volesse diventare; chissà se Elsa fosse stata orgogliosa di lui, in quel momento.
Aspettò che tutti si fossero allontanati, per parlargli da sola: doveva chiedergli un grosso favore.
<< Cesare... >> lo chiamò.
<< Iris... Certo che sei diventata davvero una signora... >> osservò ammirato il giovane Belmonte.
<< Sai, a volte mi chiedo se non fosse stato meglio continuare a fare la commessa del forno di San Felice Circeo... >> sospirò la Cataldo.
<< Hai dei rimpianti? >> le domandò l'apprendista poliziotto, in tono comprensivo. Era uno dei pochi ad esserlo nei suoi confronti, da quando era scappata da San Felice Circeo con Menotti e i fratelli Filomusi.
<< Gianfranco dice di conoscere mio padre. Dice che se resto con lui, sicuramente lo conoscerò anch'io. E tu sai quanto vorrei capire di chi sono figlia... >> sostenne lei.
<< Ma? >> la esortò lui.
<< È un uomo cinico e violento. Non con me, ma con chiunque non sia d'accordo con ciò che afferma il Duce. Luciana mi ha raccontato che c'è gente che non può frequentare l'università per motivi politici e addirittura religiosi! Certe volte mi mette paura... E se ci fossi io, tra quelle minoranze che lo fanno tanto incupire? >> ribatté agitata l'una.
<< E come mai stai dicendo tutto questo a me? >> chiese allora l'altro.
<< Ho bisogno dell'aiuto del commissario Durantini. Vorrei che trovasse mio padre, Richard Carter, prima di Gianfranco. E poi vorrei tornare a San Felice Circeo, da mia madre... E da Rinaldo. Anche se forse non vorrà più saperne di me... >> replicò malinconica la prima.
<< Vedrò di fare quel che posso >> promise il secondo, rivolgendole un sorriso talmente sincero che la rasserenò.
Poté tornare tranquilla da Menotti, a fare finta di essere una compagna devota.

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