Le mani in pasta

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San Felice Circeo, 2 dicembre 1941

Il fatto che tre membri della famiglia Belmonte fossero al fronte e altri quattro a Roma, rendeva i pasti alla villa molto più cupi: Viola, Livia e Cristina erano in pensiero per i rispettivi mariti, e sapere che i figli e nipoti fossero soli nella grande città le riempiva di apprensione.
Enrico ed Elena, da sempre vissuti in un clima protetto, da qualche anno risentivano di quel clima venuto con la guerra, che aveva coinvolto la maggior parte dei loro amici, meno che loro; come loro, ormai, c'era solo Giada.
Ai cantieri navali, poi, nessuno dei componenti rimasti a San Felice Circeo ci metteva piede: le tre signore ed Elena perché convinte che gli affari non fossero roba da donne, Enrico perché non gli interessava, perché andava nell'azienda di famiglia solo per fare il cascamorto con le operaie.
Quella mattina era particolarmente pensieroso, durante la colazione; non disse una parola e sua sorella se ne accorse.
<< Stai pensando a Giada? >> gli chiese, senza peli sulla lingua.
<< Non direttamente >> ammise il giovane.
<< In che senso? >> domandò lei.
<< Pensavo al fatto che tutti stanno facendo la loro parte, tranne noi. Cesare sta diventando poliziotto, Luciana ingegnere metallurgico, Annalisa cantante e presto anche Tiberio verrà chiamato alle armi. Poi Claudio e Mario Filomusi hanno fatto carriera in politica, Rinaldo e Maurizio sono già valenti soldati ed Elsa cucina per tutto l'esercito italiano a distanza. E noi, cosa facciamo noi? Stiamo qui ad aspettare che il tempo passi... Ma cosa ci resterà, alla fine della guerra? Ci pensi mai, a questo? >> argomentò lui, concitato.
Elena lo guardò come se davanti non avesse suo fratello maggiore, ma un uomo molto più maturo e innamorato, che si poneva domande sensate.
<< E cosa intendi fare, per dare il tuo contributo? >> replicò perciò.
<< Vorrei partire da dove la storia della nostra famiglia comincia: i cantieri navali >> rispose Enrico.
<< Vuoi metterti a lavorare in azienda? >> volle sapere l'una.
<< Ovvio. E voglio anche cominciare dal basso. Mettere, insomma, le mani in pasta. Fianco a fianco con i nostri operai >> spiegò l'altro.
<< La mamma non te lo permetterà mai. E nemmeno le zie >> gli ricordò la prima.
<< E tu credi che aspetterò il loro permesso? >> fece il secondo, girando i tacchi e andando in camera sua, a prendere il soprabito più semplice che possedesse.
Poi le passò davanti e si diresse verso la porta d'ingresso.
<< Enrico, dove vai? Enrico! Enrico! >> lo chiamò la sorella minore, correndogli appresso. Ma lui non si fermò, anzi.
Prese la bicicletta - preferì non usare l'auto - e pedalò fino ai Cantieri Navali Belmonte, parcheggiandola vicino a quelle degli altri operai.
Poi entrò e andò diretto in segreteria, dove l'addetta, Silvia Bigazzi, si intratteneva al telefono con i fornitori.
<< Buongiorno, signora Bigazzi! >> la salutò, non appena la vide.
<< Signorino Belmonte, come mai qui? >> saltò su lei, mettendo una mano sopra il telefono per non far sentire ciò che stava dicendo a coloro che si trovavano al di là della cornetta.
<< Vorrei parlare con il ragionier Olivieri >> rispose il ragazzo.
<< Ve lo passo subito >> lo rassicurò la segreteria. Chiuse la telefonata con il fornitore, con cui aveva finito di parlare, e rialzò la cornetta per chiamare il ragionier Ettore Olivieri.
<< Ragionier Olivieri? Sì, sono la signora Bigazzi. C'è il signorino Enrico Belmonte che vorrebbe parlare con voi >> aggiunse poi. In seguito riattaccò la cornetta.
<< Il ragionier Olivieri vi aspetta nel suo ufficio >> disse infine.
<< Grazie >> rispose Belmonte, sapendo dove si trovava l'ufficio dell'uomo di cui suo padre e i suoi zii si fidavano ciecamente.
Bussò alla porta.
<< Avanti >> fece la voce di Olivieri.
Enrico entrò nella stanza e si mise a braccia conserte davanti alla sua scrivania.
<< Voglio lavorare alle navi, ragioniere >> esordì, in tono sicuro.
Ettore Olivieri, un uomo minuto con l'aria severa, lo guardò, calandosi leggermente gli occhiali rettangolari.
<< Voi volete lavorare alle navi? >> chiese, certo di non aver capito bene.
<< Lo so cosa pensate. Che non ho mai alzato un dito in vita mia, che i miei parenti non lo permetterebbero mai e che in paese considererebbero il mio comportamento parecchio disdicevole. Ma ho ventidue anni, ragioniere, e i miei amici sono tutti con le mani in pasta. Voglio farlo anch'io. Il lavoro duro non mi spaventa >> motivò l'uno.
<< Si tratta di navi da guerra >> puntualizzò l'altro.
<< Non è un problema >> insistette il primo.
<< Andrete voi a spiegarlo agli operai >> commentò il secondo.
A quel punto, Enrico lo salutò e andò al piano di sotto, dove gli operai lavoravano alla costruzione di un'imponente nave.
<< Buongiorno a tutti! >> esclamò, richiamando l'attenzione di tutti.
<< Signorino Belmonte, come mai da queste parti? Sta cercando compagnia? >> esordì Calogero Romano, il sindacalista siciliano dei Cantieri Navali Belmonte.
<< Veramente l'unica compagnia che cerco è quella del metallo, dei bulloni e dei colleghi >> rispose a tono Enrico, avvicinandosi a loro.
<< Non vorrete mica mettervi a lavorare... >> lo squadrò Ruggiero Lojacono.
<< Certo che voglio. E voi, cosa ne pensate? >> li sfidò Belmonte.
<< Che siete il padrone più strano di tutto il Lazio e provincia. Mi piace! >> approvò Romano.
E a quel punto tutti acclamarono Enrico, applaudendo, dandogli pacche sulle spalle e guidandolo verso la sua postazione.
Il ragazzo sentiva che stava facendo la cosa giusta, per la prima volta nella sua vita.

Storia d'amore e di guerra - Il conflittoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora