Finalmente, la benda nera che copriva i miei occhi venne slegata e io non potei fare a meno di sbattere lentamente le palpebre cercando di limitare il bruciore che mi provocava la luce. Non sapevo da quanto tempo ero seduta lì, con le gambe legate da una corda e i polsi uniti dietro la schiena da una stringa di plastica che mi aveva lasciato piccoli graffi e dolorosi tagli alla pelle, forse perché avevo inutilmente cercato di liberarmi.
Erano passate ore, forse addirittura giorni e avevo perso la cognizione del tempo. Avevo capito immediatamente dove mi trovavo. L'inconfondibile umidità, il forte odore di acqua stagnante, il rumore delle gocce d'acqua che cadevano, forse su un tubo o su qualche pezzo di metallo: era un magazzino. E, ora che potevo guardarmi attorno, le mie ipotesi vennero confermate, ma potei notare che non lo stesso in cui avevo sparato. Chiusi immediatamente gli occhi perché la luce sembrò accecarmi.
Ingenuamente avevo pensato che, essendo passato un mese, non avrei avuto conseguenze ma, evidentemente, il mio gesto di sparare un proiettile contro al capo di una gang non poteva essere lasciato impunito.
Avevo avuto paura. Dopo aver sparato, avevo corso per ore in un bosco buio, mi ero nascosta per giorni, non avevo dormito per settimane con la paura che venissero a cercarmi e poi, stupidamente, avevo creduto che fosse passato abbastanza tempo per tranquillizzarmi.
Ma realizzai che non me l'avrebbero mai fatta passare liscia quando, su un furgone nero, avevo mani e piedi legati e una benda sugli occhi. Mi sembrava di stare in un film d'azione ma sapevo che quella era la realtà.
«Fa freddino oggi, eh?» sentii alle mie spalle, una risata profonda e maligna mi fece trasalire e voltai immediatamente il viso, aprendo con fatica gli occhi per vedere Carlos dietro di me.
Mi impegnai per deglutire nonostante la gola secca e mi girai di nuovo per fissare un'alta finestra di fronte a me da cui entrava una luce flebile, facendomi capire che, forse, erano le prime ore del mattino o le ultime della sera.
Una porta si aprì e poi venne sbattuta con forza, il rumore di passi alla mia sinistra provocò un gelido brivido lungo la mia schiena. Non ebbi il coraggio di spostare il mio sguardo sulla figura che era entrata nell'umido e sporco magazzino e avevo paura, avevo maledettamente paura che fosse lui e, allo stesso tempo, lo sperai con tutta me stessa perché avrebbe significato che era vivo.
«Carlos, lasciami solo con lei.» riconobbi subito la voce roca di Kevin e tirai un sospiro di sollievo mentre il bodyguard eseguì i suoi ordini e lasciò la stanza, non senza avermi lanciato uno sguardo di sfida.
L'uomo mi osservò per un attimo, poi scosse la testa con disapprovazione e potei leggere la delusione nei suoi occhi spenti, tristi, rammaricati. Capii subito che non avrebbe voluto trovarsi in quella situazione tanto quanto non lo volevo io.
«Ma come ti è saltato in mente?» cominciò lui, urlò con il tono di voce severo, trascinò una sedia di legno per posizionarla davanti a me, sedersi ed incrociare le mani, appoggiando i gomiti sulle sue ginocchia e sporgendosi in avanti, «Come cazzo ti è saltato in mente!» continuò, ma suonò più come un rimprovero che come una domanda.
I miei occhi spaventati incontrarono i suoi duri, austeri. Io non riuscii a mantenere il contatto e distolsi immediatamente lo sguardo per abbassarlo sul pavimento grigio ed irregolare.
«Io non volevo.» provai a dire con la voce rotta e spezzata dal terrore che mi provocava il suo sguardo infuocato, «Te lo giuro Kevin, non volevo.»
Scosse lentamente la testa, «Ma lo hai fatto!» gridò senza pietà, le parole rimbombarono all'interno della stanza vuota, facendomi saltare sulla sedia, poi fece un lungo respiro prima di continuare, chiudendo gli occhi per un attimo come se si stesse costringendo a calmarsi, «Gli hai puntato una pistola contro!»
«Ero scossa, nervosa, impaurita!» mi giustificai con un filo di voce, lasciai andare la testa all'indietro fissando il soffitto e sospirai, «Sai che non avrei mai sparato, io lo amavo con tutta me stessa, non avrei mai voluto sparare, mai.» ammisi mentre le lacrime presero a sgorgare dai miei occhi, percorrendo tutto il mio viso, per poi raggiungere le mie labbra e lasciare un fastidioso sapore salato.
Come se stessi guardando un film, mi ritrovai a rivivere esattamente il momento in cui raccolsi la pistola da terra, mi sembrò di sentire il materiale freddo impugnato dalla mia mano tremante, quella terribile sensazione nello stomaco, un misto di amore e odio che si fondeva e non mi permetteva di pensare lucidamente. Mi sembrò di rivedere i suoi occhi spenti, tristi, rassegnati, come se sapesse che non avrei mai potuto perdonarlo per quello che aveva fatto, per aver tolto un padre a me e mia sorella, per non avermi lasciato vivere la spensieratezza di una ragazza di diciotto anni.
Lo odiavo tanto, continuavo a farlo, ma lo amavo troppo per non pregare che fosse vivo.
«Ma hai sparato.» replicò Kevin, puntandomi l'indice contro, le sue sopracciglia erano unite al centro della sua fronte corrugata.
«Ho sentito uno sparo, ho preso paura ed ho sparato inconsapevolmente.» il mio labbro inferiore cominciò a farmi male a causa della forza con cui i miei denti premevano su di esso, «Sai che non avrei mai avuto il coraggio di sparare.»
«No, non lo so, so solo che io sono entrato e l'ho visto a terra, sanguinante, mentre tu avevi ancora la pistola puntata contro di lui.» sputò velenosamente, la sua voce era più bassa ma continuava ad essere austera, «E come se non bastasse, sei scappata e lo hai lasciato lì.»
«Kevin io...» mormorai prima di rimanere in silenzio e fare un lungo respiro liberatorio, «Ho avuto paura, non tanto delle conseguenze-»
«E di cosa?» mi interruppe spazientito.
«Di averlo ucciso.» ammisi finalmente, forse più a me stessa che a lui, lui alzò lo sguardo su di me e sembrò sorpreso di sentirmelo dire, «Avevo paura di avvicinarmi e capire di aver ucciso l'uomo che-» mi bloccai, abbassai lo sguardo lasciando cadere pesanti lacrime sui jeans che, lentamente, si riempirono di piccolissime chiazze.
Lui inspirò profondamente, poi trattenne l'aria all'interno della sua bocca e le sue guance diventarono più paffute e piene, per poi lasciarla andare espirando a lungo. Mi rivolse uno sguardo pieno di pena e compassione, scosse la testa velocemente e poi fissò le sue scarpe da ginnastica nere.
«L'ho ucciso?» osai chiedere subito dopo essere riuscita, a fatica, a deglutire. Non ebbi il coraggio di incontrare i suoi occhi, di capire dal suo sguardo.
Stava per rispondere, mentre io attendevo pazientemente, quando una porta sbattuta fece trasalire entrambi.
«Purtroppo per te, non mi hai ucciso.» sentii tuonare alle mie spalle e, nonostante conoscessi fin troppo bene quella voce, mi sembrò così diversa da chiedermi se appartenesse a lui.
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CHOICE (sequel di Destiny)
Teen FictionSEQUEL DI DESTINY L'amore è la debolezza più grande e, allo stesso tempo, è una forza invincibile. Chloe e Zayn lo sanno bene e, a loro spese, hanno imparato che il destino può essere imprevedibile, perfido ed intransigente. Quando due mondi così d...