Stavamo camminando tra la sterpaglia da un paio di minuti e, solo in quel momento, realizzai che non sapevo dove mi stava portando e, nonostante tutto, non ebbi mai paura.
Sentii il rumore della mano di Zayn, di fianco a me, contro il materiale plasticoso del suo giubbotto imbottito, tastò la tasca, aprì la zip ed estrasse il solito pacchetto di sigarette. Come faceva sempre quando era nervoso, avvolse la Marlboro tra le sue labbra piene e carnose, la accese facendo un tiro così lungo che sembrò volerla consumare tutta insieme.
Sospirai nel vederlo così teso, mentre i suoi occhi si strinsero in due fessure, una mano raccolse la sigaretta per permettere alle sue labbra di espirare la nuvola bianca.
Il suo profilo era, come sempre, bello da togliere il fiato: i suoi capelli perfettamente ordinati, la sua barba tagliata simmetricamente e quasi geometricamente, le sue ciglia lunghe e folte.
Si bloccò, fece un ultimo tiro dalla sua sigaretta, ormai consumata, e trattenne il fumo a lungo prima di espirarlo sopra alle nostre teste e lasciarlo scomparire nell'aria. Lasciò cadere il mozzicone, lo pestò tra le foglie e poi guardò davanti a lui, quella che sembrava una piccola casa, o piuttosto una stanza circondata da quattro mura.
Ci avvicinammo e fu allora che capii che non era una casa, ma una cappella. Rimasi immobile, senza fiato, e non osai entrare ma mi appoggiai allo stipite della porta.
Lui, lentamente, quasi con la paura di fare rumore, raggiunse una delle due tombe in marmo bianco, su cui era affissa una piccola foto di una donna bellissima. Aveva gli stessi occhi scuri, intensi ed allungati di Zayn, le stesse labbra carnose e la stessa espressione dolce che assumeva sorridendo.
Il moro si chinò, passò la mano sulla cornice, come per spolverarla, poi si incantò a fissare la fotografia con aria pensierosa. Capii perfettamente la sensazione di impotenza, di tristezza, di malinconia e di rabbia che stava provando.
«So che non è colpa tua, Chloe, ma questo è quello che ha fatto tuo padre.» intervenne, con la voce austera che rimbombava nella piccola e vuota stanza.
Non ebbi il coraggio di dire niente. Rimasi lontana, in disparte, chiudendo gli occhi per un momento per riprendermi ed ignorare quel nodo in gola che non mi lasciava deglutire e respirare normalmente. Bastava affacciarsi all'interno della cappella per assorbire il dolore che emanava.
Spinsi indietro le lacrime, incrociai le braccia al petto e guardai Zayn che, ormai, si era voltato.
«Ricordi la sensazione che avevi quando hai scoperto che avevo ucciso tuo padre? Quella vocina che ti ha fatto raccogliere la pistola e ti ha consigliato di puntarla contro di me?» fece una pausa teatrale ed infilò le mani nelle tasche del giubbotto, «Ecco, io l'ho provata ogni singola volta che tuo padre uccideva qualcuno della mia famiglia. Perciò odiami quanto vuoi, non ti biasimo per questo, ma non dipingerlo come un santo perché, credimi, non lo era.»
Fu troppo tardi per evitare di piangere. Asciugai subito le mie guance con le mani fredde ma si rigarono di nuovo. Non riuscii a giustificare Zayn ma, per la prima volta, riuscii a comprenderlo. Mi ero sempre preoccupata del mio dolore, senza prendere mai in considerazione il suo.
La voce del moro mi fece trasalire ed abbandonai i miei pensieri, «Era bella, vero?» domandò, quando ormai si era voltato e aveva ricominciato a guardare la lapide di sua madre.
«Bellissima.» ammisi io, utilizzando le maniche della felpa per pulire il mio viso bagnato.
Il silenzio tornò ad avvolgerci, spostai lo sguardo mentre lui sfilò una rosa dal grande mazzo nel vaso, per appoggiarla sulla tomba di suo fratello. Aaron, lessi mentre i miei occhi diventarono di nuovo lucidi nel vedere il suo bellissimo e sorridente volto nella foto. Aveva la carnagione ambrata come quella di Zayn, gli stessi occhi scuri ed intensi, ma le labbra molto più sottili e i capelli corti e più chiari, forse tinti. La sua espressione buona, gentile, traspariva anche da una semplice fotografia ed era esattamente come quella di suo fratello.
«Andiamo.» disse lui voltandosi, il suo viso era serio, cupo, quasi arrabbiato.
«Di già?» domandai io, un po' sorpresa dalla mia reazione.
«Cosa dovrei fare qui?» fece spallucce per giustificarsi, piegando leggermente la testa.
«Non ti capita mai di parlare con loro?» chiesi.
«No.»
«Io parlo... Parlavo spesso con mio padre.» mi pentii subito di averlo detto, ma non potei rimangiarmi le parole e mi limitai a far sparire le labbra all'interno della bocca, a disagio.
«Che... Che cosa dovrei dire?» domandò lui, e si voltò dandomi le spalle.
«Quello che diresti se loro fossero qua con te e potessero risponderti.» gli spiegai e mi avvicinai a lui, d'istinto, per appoggiare la mia mano sulla sua spalla in un gesto talmente automatico, che quasi non me ne resi conto.
I suoi occhi saltellavano da una parte all'altra, «I-io...» balbettò, poi deglutì rumorosamente prima di continuare, «Io direi che mi mancano...»
«Allora fallo.» sussurrai io.
«Mi mancate.» cominciò, chiaramente in imbarazzo, poi fece un lungo respiro e si inginocchiò ai piedi della tomba di suo fratello, avvicinando la rosa alla sua foto, «Mi mancate e penso a voi ogni giorno.» insistette dopo aver preso un lungo respiro, poi si voltò alzando la testa nella mia direzione, come per chiedermi un aiuto.
Annuii, per fargli capire che stava andando bene ed infondergli coraggio e lui abbozzò un sorriso, quasi grato, anche se dal suo volto si poteva capire che non aveva nessuna voglia di sorridere.
«Non so se sareste fieri di me ma-» continuò a bassa voce.
«Sarebbero fieri di te, Zayn.» intervenni impulsivamente io, poi lasciai scomparire le labbra all'interno della mia bocca, sentendomi estremamente colpevole per averlo interrotto.
«Oh, lei è Chloe.» si alzò e mi sembrò più a suo agio mentre fissava la fotografia di sua madre, «Sembra timida ora, ma non lasciatevi ingannare, è una chiacchierona.» ridacchiò, facendomi spuntare un sorriso divertito.
Era strano, sembrava quasi che avessimo dimenticato tutto e fossimo tornati quelli di una volta.
«Aaron, tu avresti riso e scherzato tutto il giorno con lei, mi avreste preso in giro e avreste fatto continuamente battute.» continuò con la voce spezzata quando i suoi occhi si spostano su suo fratello, «E mamma, tu le avresti cucinato le tagliatelle perché l'avresti vista troppo magra, le avresti mostrato i tuoi bellissimi fermagli per capelli o i tuoi mille rossetti.»
Un mio singhiozzo lo interruppe, abbassò lo sguardo su di me ed incrociò le sue dita con le mie, ed io mi lasciai andare con la spalla contro alla sua, ci appoggiai la testa, e lui non esitò e ad avvolgermi con un braccio tirandomi ancora più a sé.
Affondai il viso nell'incavo del suo collo ed inspirai profondamente mentre il suo profumo invase le mie narici.
Perché la vita era così ingiusta?
Come si può accettare che le persone che amiamo, da un giorno all'altro, possano lasciarci senza preavviso, che un giorno pensiamo di poter ancora stare con loro per chissà quanto tempo e, all'improvviso, il giorno dopo dobbiamo accettare di non poterle vedere mai più, dobbiamo convivere con la sofferenza di averle perse per sempre.
«Scusa.» mi limitai a dire tra i singhiozzi.
Non disse niente, alzò il mio viso con il dito sotto al mio mento, stampò le labbra sulla mia fronte, premendo a lungo, e si staccò.
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CHOICE (sequel di Destiny)
أدب المراهقينSEQUEL DI DESTINY L'amore è la debolezza più grande e, allo stesso tempo, è una forza invincibile. Chloe e Zayn lo sanno bene e, a loro spese, hanno imparato che il destino può essere imprevedibile, perfido ed intransigente. Quando due mondi così d...