Kevin provocò un rumore debole quando scivolò indietro con la sedia per alzarsi, lentamente, quasi come se avesse paura di provocare una reazione sbagliata nel suo capo.
I suoi passi erano quasi impercettibili al mio udito, l'unico suono ritornò ad essere quello delle gocce che cadevano sul materiale ferroso, mentre il silenzio ci avvolgeva ed il mio sguardo era catturato dalle cuciture delle tasche dei miei jeans, che ormai conoscevo a memoria.
La porta si chiuse delicatamente e mi fece intuire di essere rimasta sola con lui, il cuore sembrava volermi uscire dal petto per colpa dei battiti accelerati, lo stomaco mi bruciava per colpa della paura, un nodo alla gola sembrava impedirmi di respirare bene e di deglutire e la saliva si era ormai accumulata nella mia bocca.
Sentii i passi, lenti ma decisi, alla mia sinistra che si facevano via via sempre più udibili man mano che si avvicinava.
Le mie mani tremavano, le mie gambe tremavano, la mia mascella tremava e, nonostante io cercassi di fare in modo di non lasciar intendere la mia paura, tutto il mio corpo mi tradiva.
«Hai fatto un grande errore...» cominciò lui, aveva ormai raggiunto le mie spalle e la sua voce profonda, dietro di me, mi provocò un brivido gelido, «E sai qual è questo errore?» domandò, poi rimase in silenzio, come per darmi la possibilità di parlare.
Aprii la bocca, non so bene per dire cosa ma, ovviamente, non uscì alcun suono e la richiusi subito lasciando sparire le labbra all'interno della mia bocca. Il tremolio delle mani provocava un dolore sopportabile quando la stringa di plastica graffiava la mia pelle.
«Non avermi ucciso.» concluse in un sussurro, con la voce estremamente bassa, avvicinandosi finché il suo mento non fu pericolosamente vicino al mio orecchio.
Il suo tono mi gelò il sangue e, per la prima volta da quando lo conoscevo, fui terrorizzata da lui.
Nonostante l'odore nauseante di acqua putrida, la sua inconfondibile colonia invase le mie narici. Avrei voluto non sentirne il bisogno, ma inspirai a fondo per sentirla ancora meglio.
Spostò il viso sopra alla mia spalla destra prima di parlare: «Non tremare, Sophia...» marcò bene il mio nome con aria divertita, per poi fare una pausa teatrale che mi obbligò ad alzare gli occhi al cielo, «Non ti ucciderò, se è questo che ti fa paura.»
Non osai parlare ma scossi leggermente la testa e mi resi conto di non aver mai, neanche per un momento, pensato che avrebbe potuto uccidermi. Per un mese avevo avuto paura delle conseguenze delle mie azioni ma, per qualche strano motivo, ero sicura che non mi avrebbe mai fatto del male, anche se io lo avevo fatto a lui.
«Non ti ucciderò, ma renderò la tua vita un inferno... Mi impegnerò talmente tanto che ogni giorno, ogni attimo della tua vita, pregherai di poter tornare a quella sera e uccidermi.»
Capii che stava trattenendo una risatina e che aveva piegato le sue labbra in un sorriso beffardo.
La freddezza e la tranquillità del suo tono di voce mi immobilizzarono.
Non era l'odio che trasudava dalle sue parole a spaventarmi, ma l'indifferenza con cui riusciva a pronunciarle, come se non avessimo condiviso qualcosa di importante, come se rivedermi, dopo un mese e mezzo, non scatenasse in lui alcuna emozione o sensazione.
Ad un tratto, senza averlo previsto, sentii le mie braccia cadere ed aprirsi e mi resi conto che aveva tagliato il nastro in plastica per liberare i miei polsi. Rimasi ferma per un attimo, per poi portare le mie mani indolenzite sulle mie cosce. Lentamente, camminò per trovarsi davanti a me. Il suo sguardo pesò sul mio corpo infreddolito mentre io osservavo i suoi anfibi neri, alzando lo sguardo sui suoi jeans dello stesso colore, poi sulla sua maglietta bianca, coperta in parte da una chiodo di pelle. Seguii le sue mani che, dalle tasche del giubbotto, si spostarono quando incrociò le braccia al petto e rimasi incantata a fissare il grande e bellissimo tatuaggio, forse il mio preferito, sul dorso della sua mano.
Distolsi lo sguardo quando, con un altro gesto deciso, l'affilato coltello tagliò la corda che teneva legate le mie caviglie e, finalmente, potei appoggiare la suola delle scarpe al pavimento e regalare un po' di sollievo ai miei piedi formicolanti.
Ritornai a squadrarlo, alzando le mie iridi castane sul suo collo possente e, anch'esso, coperto dai tatuaggi, per poi salire fino alle sue labbra carnose e piene, contornate da un filo di barba, sul suo naso ornato da un piccolo piercing e poi sui suoi occhi. Un boccolo scendeva sulla sua fronte, i capelli erano perfettamente ordinati all'indietro e piccoli cerchi decoravano le sue orecchie. Era bellissimo, ancora più bello di come ricordavo.
Non mi spaventavano la sua bocca corrucciata in un broncio, la sua mascella che risaltava per colpa dei denti digrignati, le sopracciglia unite in un'espressione dura o la fronte corrugata, ma mi terrorizzavano i suoi occhi.
Quegli occhi profondi, magnetici, intensi e buoni erano spenti, freddi, impassibili e maledettamente cattivi.
«Andiamo!» gridò afferrandomi il braccio per farmi alzare, io trasalii al suo tocco e i nostri occhi si fissarono intensamente. Lui distolse lo sguardo, avvolse il mio polso stritolandolo e mi strattonò, costringendomi a seguirlo.
Camminava trascinandomi dietro di lui, diretto verso il grande portone, ma io non riuscii a pensare ad altro che a quelle iridi scure. Nonostante mi fossi persa milioni di volte nelle sfumature di marrone, nel suo sguardo capace di infondermi fiducia, coraggio, amore, in quel momento non riuscivo a riconoscerle, mi sembrò di non averle mai viste prima.
Quello davanti a me sembrava Zayn, ma non era il ragazzo che avevo conosciuto e di cui mi ero innamorata.
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CHOICE (sequel di Destiny)
Teen FictionSEQUEL DI DESTINY L'amore è la debolezza più grande e, allo stesso tempo, è una forza invincibile. Chloe e Zayn lo sanno bene e, a loro spese, hanno imparato che il destino può essere imprevedibile, perfido ed intransigente. Quando due mondi così d...