Se gli sguardi avessero potuto uccidere, io sarei già stata morta e sepolta. Ero seduta nel fondo di un furgoncino, nel punto più isolato e lontano possibile. Ero chiusa con persone che mi odiavano e, se il loro capo glielo avesse permesso, non ci avrebbero pensato un attimo prima di uccidermi.
Non avrei mai pensato di dirlo ma per fortuna c'era Carmen che, anche se non aveva avuto il coraggio di mostrarsi amichevole con me, davanti agli altri, aveva un'espressione meno minacciosa.
Mi ero tormentata di pensieri, domande, dubbi. Avevo pensato a quando io Zayn eravamo più innamorati che mai, a quando ci promettevamo di renderci felici e stare insieme per sempre. Avevo pensato anche al fatto che mia madre, al contrario, non aveva mai cercato di migliorare la mia vita. Certo, era mia madre, ma avevo bisogno di tornare da mia sorella, dimenticare tutto e riprendere in mano la mia vita e, se quello era l'unico modo per riuscirci, non avevo altra scelta.
Sbuffai mentre, distrattamente, sentivo Zayn parlare del piano che avrebbero dovuto mettere in atto, ma non lo stavo ad ascoltare.
«Ti ho portato una bottiglietta d'acqua, nel caso avessi sete.» Carmen me la porse, con un sorriso cordiale che mi fece sentire un po' meglio.
«Grazie.» annuii appena, prendendola e appoggiandola vicino a me.
«Hai una brutta cera, sai?» mi squadrò con una smorfia, poi scivolò con la schiena e si mise seduta in una posizione che sembrava piuttosto comoda, «Che succede?»
«Niente.» mi affrettai a rispondere.
Lei fece un sorriso furbo, guardando di fronte a lei, «Capisco che tu sia preoccupata, sembra che sulla tua testa ci sia un bersaglio e che tutti siano pronti a colpirlo.» scherzò, ma io non risi, «Siamo costrette a stare chiuse qua, tanto vale passare il tempo.»
Appoggiai la testa indietro, chiudendo gli occhi, ma avevo un disperato bisogno di un consiglio da un'amica e Carmen, in quel momento, era ciò che avevo di più simile ad un'amica.
«Perdoneresti qualcuno che ha ucciso tuo padre?» domandai, quasi senza neanche rendermene conto.
Lei fu chiaramente sorpresa di sentirmelo dire, a giudicare dall'espressione. Sembrò rifletterci un attimo, poi alzò le spalle e piegò leggermente il capo, «Non lo so, io neanche ricordo di avercelo avuto un padre...»
«Che cos'è successo?»
«Oh no, no, no!» protestò, alzando i palmi delle mani nella mia direzione come per zittirmi, «Questo non è uno di quei momenti tra amiche in cui ci si racconta della propria vita, ci si confida, e cazzate del genere.»
«Andiamo! Siamo costrette a stare chiuse qua, tanto vale passare il tempo!» imitai il tono della sua voce e il suo accento poco marcato, e lei fu costretta a nascondere un sorrisetto che avrebbe voluto colorare le sue labbra, «Prometto che non finiremo con un abbraccio, ok?»
«Beh...» iniziò lei, poi si schiarì la voce e fece un lungo respiro, «Mio padre è sempre stato un uomo violento. Quando non era pronta la cena, quando mia madre spendeva troppo per la spesa, quando la casa non era abbastanza pulita o quando aveva una brutta giornata al lavoro, era sempre una buona scusa per picchiarla. Ho solo un ricordo di lui. Avevo tre, forse quattro anni e stavo dormendo, quando le urla di mia madre mi svegliarono. Sapevo bene cosa stava succedendo e, di solito, me ne stavo chiusa nella mia cameretta, coprivo le orecchie e cantavo una canzoncina per distrarmi, ma quella volta pensai che, forse, avrei potuto salvare mia madre.»
Sentii il cuore in gola a quelle parole, un nodo si formò nel mio stomaco e non riuscii a dire niente. Lei lo capì, perché mi mostrò un debole sorriso, come per farmi capire che stava bene. Fece una lunga pausa, mordicchiò insistentemente il suo labbro inferiore e poi continuò: «Mi alzai ed andai nel salotto e mia madre era stesa a terra, con segni, tagli e graffi ovunque. Pensai davvero che stesse per morire, e corsi verso di lei. Quando mi vide, mio padre mi tirò uno schiaffo, poi mi scaraventò contro un mobile ed io persi i sensi... Non ricordo più nulla di quella sera.»
Fu strano sia per me, che per lei, ma non riuscii a fare a meno di appoggiare la mia mano al dorso della sua, che teneva sulla sua coscia. La guardai intensamente negli occhi e capii che non c'era bisogno di parole per dimostrarle quanto, davvero, mi dispiacesse per lei e lei abbozzò un sorriso di gratitudine.
«Quella, fortunatamente, fu l'ultima volta che lo vidi, perché mia madre si decise ad andarsene e a portarmi via.» concluse, poi sembrò quasi riprendersi e ritrasse anche la mano, «Se mia madre lo avesse ucciso, io l'avrei perdonata.»
Annuii con decisione, «Ma certo!»
«Capisci quello che voglio dire? Non dico che uccidere sia giusto, ma certe volte è... Giustificabile?»
«Giustificabile...» ripetei, pensierosa, «Non credo che sia giustificabile. Si può denunciare.»
«Perché non hai denunciato Zayn?» domandò, e io che avevo distolto lo sguardo lo riposai sui suoi bellissimi lineamenti, «Hai sparato e avresti potuto ucciderlo, no?»
«S-sì, ma-» provai a dire, ma lei non me lo permise.
«Chloe la rabbia, la sete di vendetta, la voglia di riscattarsi o liberarsi, qualche volta fanno fare cose ingiuste. Ma sai come si dice, no? Il fine giustifica...»
«I mezzi.» continuai io.
«I mezzi.» ripeté.
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CHOICE (sequel di Destiny)
Teen FictionSEQUEL DI DESTINY L'amore è la debolezza più grande e, allo stesso tempo, è una forza invincibile. Chloe e Zayn lo sanno bene e, a loro spese, hanno imparato che il destino può essere imprevedibile, perfido ed intransigente. Quando due mondi così d...