Ritorno a casa

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E come diceva Dorothy Gale, nel film
Il mago di Oz "Nessun posto è bello come casa mia" aveva ragione.

Decisi di andare direttamente al pronto soccorso, con la mano ancora sanguinante, passando dall'interno dell'ospedale.
Appena mi vide un infermiere venne immediatamente in mio soccorso, mi ricordava Mark.
All'improvviso svenni, forse per il dolore, per la paura, non lo so.

Passai la notte in pronto soccorso, volevano tenermi sotto osservazione,
nel frattempo mi ingessarono la mano, mi ero procurato una frattura della nocca.

Nella maggior parte dei casi, una frattura della mano guarirà bene con un trattamento non chirurgico.
A seconda del tipo e della posizione della frattura, ciò può includere l'uso di un gesso, per un certo periodo di tempo. Per fratture più gravi o per fratture che non si allineano correttamente, potrebbe essere necessario un intervento chirurgico per riallineare i frammenti di osso fratturati.

Per fortuna la mia frattura era composta, quindi non era necessario un intervento chirurgico, altrimenti mi avrebbe complicato parecchio la vita, essendo un chirurgo.
Il medico del reparto che era anche abbastanza giovane, mi dichiarò che molto probabilmente ero svenuto per la paura, mi ero così talmente spaventato da perdere completamente i sensi.
Dovevo stare a riposo per un paio di mesi, a me stava bene, perché finalmente potevo ritornare a Roma, e chiarire una volta per tutte con Stella.

Ritornai in ortopedia con la mano ingessata, tutti i colleghi mi chiesero cosa fosse successo, ma io non volevo dare nessuna spiegazione.
Andai immediatamente dal direttore sanitario, e chiesi le dimissioni, perché non potevo più lavorare.
Feci l'ultimo giorno da insegnante agli specializzandi in chirurgia, presto sarei ritornato ad insegnare di nuovo agli studenti del terzo anno di infermieristica, nel mio amato Sacro Cuore, nella mia Roma.

La dottoressa Martini era sicura che lo avevo fatto di proposito, perché volevo andarmene, ma non era affatto così è stata un'azione senza volerlo, ma voluta.

"Cosa ti sei messo in testa? Vuoi giocarti la carriera da chirurgo? Così non risolverai nulla, ormai la tua amata Stella l'hai persa per sempre!" Mi rinfacciò la Martini.

Mi arrabbiai con lei, mi aveva stancato, non volevo essere più il suo giocattolino, che la consolava nei momenti di depressione.

"Tu non devi interferire nella mia vita privata, non devi più rivolgermi la parola. Io sono il tuo superiore e devi pormi rispetto, ora basta mi hai rotto le palle! Ritorna dal tuo cardiologo, non si merita quello che gli stai facendo. Lui sta aiutando nostro figlio, devi essergli grata per questo" le urlai a squarciagola, davanti a tutto il personale del reparto.

"Cosa? Guarda che tu qui non sei nessuno! Sei solo un sostituto, il nostro primario ritornerà presto, così tu ne andrai. E non ti permettere di parlare così di mio figlio e di Giulio, tu di me non sai nulla!" Mi urlò Maria.

"Ma io me ne vado proprio adesso non hai capito?! Mi avete rotto tutti le palle in questo ospedale, non dovevo accettare di venire qui. Ho accettato solo per stare un po' con la mia famiglia, anche se preferivo stare con l'amore della mia vita. Ti è piaciuto venire a letto con me, eh? Sei solo una vedova allegra, MI FAI SCHIFO!" Le urlai più che potevo.

Tutti rimasero increduli, c'era un silenzio assordante, non si sentì volare nemmeno una mosca.
Mi voltai, vidi Luna che era con suo padre fuori dalla stanza, aveva sentito tutto, sentii il mio volto sbiancare.
Mi guardai intorno, tutti avevano gli occhi puntati su di me.

"Lo spettacolo è finito, ritornate alle vostre attività" dissi guardando tutti. E me ne andai da quel ospedale per sempre.

Mentre ero fuori, mi venne incontro Luna.

"Angelo aspetta, te ne vai così?" Mi gridò da dietro le spalle.

Mi voltai di nuovo verso di lei, era molto dispiaciuta, in fondo era stato bello conoscerla.

"Luna, grazie di tutto. Voglio andarmene, in questo ospedale sento che sto impazzendo. Guarda come mi sono ridotto, non so quando potrò ritornare in sala operatoria" le confessai guardandola negli occhi.

Le offrii per l'ultima volta un caffè al bar, restando un po' insieme.
Mi confidò che in realtà il signor Pietro, non era proprio esattamente suo padre. Il suo papà rimase ucciso in una sparatoria, avvenuta nel centro di Milano, quando lei aveva solo otto anni. Dopo tre anni la madre si sposò di nuovo, conobbe il suo attuale marito ad una festa.

I due hanno avuto anche un figlio, Simone, aveva trentacinque anni, ed era un fantino e un veterinario.
Suo padre era molto orgoglioso di lui, mentre lei è si è sempre sentita la pecora nera della famiglia, era laureata in economia aziendale.
Oltre ad occuparsi della sua agenzia viaggi, nel tempo libero puliva anche le stalle del maneggio del suo patrigno, ma lui non si dimostrava mai affettuoso con lei, anzi la trattava anche male delle volte, ma per amore di sua madre per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa.

Usciti dal bar, Luna mi abbracciò stretto a se, era come se non voleva che andassi via, mi fece molta tenerezza.

"Avrei voluto avere un padre come te"
Mi confessò con occhi lucidi.

"Sei molto dolce, mia piccola Luna. Ma io sono sicuro che il tuo secondo padre ti vuole bene, guardalo negli occhi, nei momenti in cui ti prendi cura di lui. E vedrai tutto il suo amore, lui secondo me è orgoglioso di avere una figlia come te" la rassicurai perdendomi nei suoi occhi verdi.

Lei mi ringraziò, mi diede un bacio sulla guancia, e poi aggiunse: "Grazie di tutto dottore, è stato bello incontrati. Sei davvero un Angelo, di nome e di fatto" e se ne andò.

Appena mi incamminai verso casa, mi squillò il telefono, pensai subito che fosse Stella, ma non era lei.
Qualcuno mi stava chiamando dal Sacro Cuore, mi preoccupai, ed ebbi uno strano presentimento.

Era il dottor Ferra, mi imprecò di ritornare immediatamente a Roma al Sacro Cuore, perché Stella aveva avuto un incidente con la autoambulanza, appena sentii la notizia rimasi scioccato.

Corsi immediatamente a casa di mia madre, spiegai a tutti del mio infortunio e di quello che era successo a Stella. Dovevo ritornare a Roma, in modo o nell'altro, mia sorella mi accompagnò alla stazione insieme a mia figlia, che partì con me.

Presi il primo treno per Roma, in compagnia di Morgan.
Sul treno ero nervoso, il telefono di Stella era staccato, chiamai Mark e lo stesso aveva il telefono staccato, chiamai Ada e lo stesso, stavo impazzendo.
Non sapevo se la mia piccola donna era in fin di vita, avevo già rischiato di perderla una volta, non volevo perderla di nuovo.

Non avrei dovuto lasciarla sola, le avevo promesso che non me ne sarei mai più andato e invece lo fatto di nuovo, e le ho fatto anche del male.

"Papà, ma la smetti di agitarti? Se fai così non risolvi nulla!" Mi rimproverò Morgan.

"Hai ragione piccola mia, ma non riesco a stare calmo. Il solo pensiero che Stella stia male di nuovo, mi tormenta. Mi aveva anche chiamato, forse perché voleva chiedermi aiuto.
Adesso nessuno più mi risponde al telefono... nemmeno il dottor Ferra, ed è stato lui a darmi la notizia!"

Mia figlia cercò di rassicurarmi, prendendomi per mano, subito dopo mi abbracciò, e ricambiai calorosamente l'abbraccio.
Quel viaggio di ritorno sembrava eterno, così mi addormentai tranquillo tra le braccia della mia bambina.

Amore in Corsia 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora