8. La Foresta dei Ricordi Perduti

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La mattina seguente arrivò più in fretta di quel che Tabita aveva sperato. Le parve di aver chiuso gli occhi da pochi minuti quando udì una disperata richiesta d'aiuto; aveva l'impressione che quel feroce batticuore non la abbandonasse mai, nemmeno di notte.

Il sole splendeva alto nel cielo e proprio lì, fuori dalla tana, l'Albero Divoratore teneva Alaric per una caviglia, appeso a testa in giù.

«Ah!» Tabita si riscosse dal torpore. Scese in fretta, mentre gli altri ancora sbadigliavano. «Ben ti sta! Mangiatelo, Albero! Sa di sterco ma il suo cervello dev'essere gustoso!»

Alaric si dimenava inutilmente. «No, no! Mettimi giù! Ho una cosa per voi!»

«Anche io ho una cosa per te!» Rispose Tabita, piena di gioia, avvicinandosi minacciosamente.

«Cosa ci fai qui? Ci stavi spiando, vero?» chiese Sam, che era saltato giù in fretta e ora stringeva sua sorella per un gomito; quell'atteggiamento faceva sempre sentire Tabita come un cagnolino al guinzaglio.

«Ma no, siete così scemi! Però ho una cosa che vi può interessare... un'informazione...»

«Bugiardo! Non ci fidiamo più di te!» strillò Sofia dall'alto. «L'Albero Divoratore ti metterà giù solo quando ce ne saremo andati.» Ridacchiò.

«Perché mai dovresti dirci qualcosa di buono, eh?» infierì Tabita.

«Perché mia mamma mi ha insegnato che i debiti vanno sempre ripagati.»

«Bella questa! Dopo che ci hai traditi così! Albero!» Ordinò Tabita, sperando che quello eseguisse i suoi ordini. In effetti, sbatacchiò il bambino un po' di qua e di là, prima che lui urlasse: «Rubino Rosso! Rubino Rosso! Io so cosa è.»

«Sporco bugiardo!» lo accusò Tabita.

«No no, giuro! Io origlio tutte le riunioni di mamma. Perché così posso aiutarla.»

«Allora parla.» Quella era la voce di Daniel. Solo allora Tabita si accorse che lui e Tara erano appena tornati da una passeggiata.

«Prima mettetemi giù!»

Tabita protestò, ma Daniel non avrebbe mai torturato ulteriormente un bambino. «Hai visto lui cosa sa fare?» Chiese Daniel, indicando Sam. Alaric annuì con ansia e venne liberato; si limitò a pulirsi il moccio con la manica e a sistemarsi a gambe incrociate, come se stesse concedendo una grazia e ora fosse pronto a riceverli. «Qualche giorno fa ho sentito mamma e un cacciatore che discutevano. L'Esercito della Capitale ha scoperto un demone molto potente...» Alaric si guardò attorno; Tabita, spazientita, gli diede un calcetto su una scarpa: «Continua!»

«Va bene, va bene... dicono che quel demone custodisca qualcosa... con cui comanda i demoni e con cui può attraversare le dimensioni.»

Alaric non ne ebbe la percezione, ma nessuno gli credeva; fu Sofia a parlare, dopo un momento di sbalordito silenzio: «Qualcosa come... un rubino rosso?»

«Io non so cos'è un rubino...» commentò Alaric. Approfittò dello stordimento generale per alzarsi in piedi. Tabita lo agguantò subito.

«Non so altro!» Alaric si dimenò. «Poi mamma mi ha visto e mi ha cacciato!»

«Grazie Alaric» disse Daniel. «Lascialo» ordinò poi a Tabita.

«Ma ci farà scoprire!»

«Chissà da quanto è qui, probabilmente è da ieri che ci ascolta. Se quella fosse stata la sua intenzione, lo avrebbe già fatto.»

Alaric pestò il piede di Tabita, le mostrò la lingua e corse via. Tabita lo avrebbe anche seguito, se non si fosse accorta con qualche attimo di ritardo che il borsellino che portava in vita – quello con i nuovi unguenti cicatrizzanti, la pelle di serpente e la carne secca – non fosse stato aperto. Sbiancò, le venne un capogiro; poi trovò la forza di infilarci dentro la mano e scoprì che non era stato rubato niente. Anzi, c'era qualcosa di nuovo: un ossicino, grande quanto la falange di un dito. Tabita lo riconobbe subito: era un osso di corvo. Con quello, avrebbe potuto evocare Zampacorvo. Lo nascose nell'immediato e si schiarì la voce. «Cos'hai lì?» Chiese Sofia, guardinga.

Il canto della civetta. La Signora della Morte (Vol. 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora