Qualsiasi cosa le avessero iniettato, stava facendo effetto. La lusingò solo sapere che un cavallo, al suo posto, sarebbe stato steso a terra.
Rafael le aveva ficcato di nuovo un sacchetto nero sulla testa. Tabita sudava e quell'affare puzzava da morire. Si sentiva ondeggiare, priva di appigli, e da qualche minuto le veniva pure da vomitare. Prima di perdere i sensi, era riuscita a udire qualcun altro saltare a bordo, almeno due uomini. Ora Tabita udiva il loro respiro grosso, ma da quando avevano capito che si era svegliata, dopo un commento di sorpresa, non si erano più scambiati una parola; non che lei fosse nelle condizioni di seguire o comprendere un discorso. I suoni le giungevano distorti, amplificati, a volte attutiti. L'odore del motore, l'abitacolo asfissiante, la polvere, le davano l'impressione di soffocare. Non riusciva neanche a pronunciare il nome di suo fratello, o a percepire il suo respiro.
Tabita non sapeva da quanto erano in viaggio. Stava così male che potevano essere passate delle ore, anche se ricordava che il punto di ritrovo non doveva essere lontano, forse dieci minuti di auto appena.
Se aveva avuto l'occasione di fuggire, era sfumata da un pezzo. Cosa poteva fare, ora, se già trattenere il contenuto del suo stomaco le chiedeva troppa fatica?
D'un tratto udì degli spari e sobbalzò; forse si era addormentata e aveva avuto un incubo. Gli spari si fecero più forti e ripetuti. All'ennesimo colpo, Tabita, che ogni sparo la scuoteva come se avesse la testa ficcata in una campana e non in un sacchetto, gridò, incapace di distinguere il sogno dalla realtà. Suo fratello non pronunciava una parola, e questo la inquietava profondamente. Come poteva farsi sopraffare da un sonnifero in una situazione come quella? Non aveva steso del tutto lei, a lui avrebbe dovuto procurare una flebile sonnolenza, quel tanto che bastava per poterli spingere a terra con una spinta in mezzo alle scapole. E se Rafael avesse esagerato con la dose? ...apposta?
Un soldato la colpì con il calcio di un fucile; dovette centrarle un nervo, perché le fece un male cane. Tabita si appiattì alla parete come un cane ferito. Iniziava a perdere il controllo. Se qualcuno non le avesse strappato via subito quel sacco dalla testa... non sapeva cosa avrebbe potuto fare. Avrebbe iniziato a sbattere la nuca contro il metallo, a gridare a squarcia gola, a mordere le corde che le tagliavano la pelle dei polsi.
In quel tratto la strada era irregolare e pericolosa, gli spari continuavano a popolare la notte. Sembravano più che altro delle minacce, perché non si udivano grida. Siamo armati, state alla larga.
Tabita provò a riprodurre mentalmente l'immagine della mappa, ma ogni disegno che prendeva forma davanti ai suoi occhi la trascinava in un mare di vomito e agitazione. Avevano perso tutto. La slitta con l'intero bottino del Torneo. Avevano perso le scorte di cibo, gli utensili, i vestiti... tutto, di nuovo. Il sudore le si congelava sul collo, facendola rabbrividire. Pensò intensamente ad Ali; mai come in quel momento fu così grata di indossare l'uniforme dei cacciatori: ergo, niente pezze sotto le ascelle.
D'un tratto il furgone subì uno scossone più forte degli altri. Frenò bruscamente, si udirono degli scoppi e un'imprecazione. Quell'iniezione di adrenalina aiutò Tabita a recuperare un briciolo di lucidità. «Samuel?» sussurrò, con le palpebre serrate, come se fosse una preghiera. Fu di nuovo zittita; poi vennero aperti gli sportelli; il trambusto e il silenzio le confermarono che entrambi i soldati erano scesi.
«Qualcuno ha messo dei chiodi sul sentiero. Si sono fermati in tempo.» Le rispose finalmente Samuel.
Tabita soffiò fuori l'aria, accogliendo un sospiro di sollievo. «Devi farci uscire, subito!» lo pregò, strattonando i polsi.
«Ssh...»
Si udirono tre spari, uno dietro l'altro; un grido animalesco, qualcosa cadde rumorosamente addosso al furgone. A Tabita sfuggì un altro urlo, in preda al delirio; il respiro accelerato le portava in gola il sapore del sangue. Qualcuno salì a bordo e lei fu pronta a spaccare il naso a chiunque si fosse avvicinato a lei; forse sarebbe stato meglio fingersi già morti, ma ormai era troppo tardi. Le tolse il sacchetto dalla testa con la stessa indelicatezza con cui l'aveva fatto Rafael, ma questa volta di fronte a lei c'era Zifa e Tabita non sapeva chi avrebbe preferito trovare. Uno Zifa affannato e sorridente, per giunta.
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Il canto della civetta. La Signora della Morte (Vol. 1)
FantasyDa secoli i cacciatori di demoni tramandano un motto: benedetta dove poggia, maledetta dove guarda. Tabita aveva sempre sognato di udire il canto di una civetta. Ora che è successo, però, la sua casa è distrutta e i suoi genitori sono scomparsi, e n...