«Tabita, ti sei di nuovo addormentata.» Commentò Durga, con la sua solita calma piatta.
La ragazza ebbe un lieve sobbalzo e spalancò gli occhi. Aveva ancora la schiena dritta e le mani chiuse sulle ginocchia, cos'era andato storto?
«Le mani. Il mudra. Il pollice e l'indice...»
«...devono toccarsi, giusto!» Sbuffò Tabita, alzandosi. Diede le spalle alla classe – che non sdegnò di sospirare di sollievo – e si allontanò.
Erano passate tre settimane ormai da quando lei e i suoi amici erano arrivati a Città degli Alchimisti e se c'era una cosa che aveva capito di sé stessa era la sua totale inettitudine nella meditazione, e in tutto ciò che le chiedeva di stare immobile con la mente sgombra, come i morti. Tabita aveva raggiunto un livello tale di consapevolezza – o esasperazione – che non si lamentava nemmeno più e di certo non sperava di averla vinta con Durga, che pareva indifferente al mondo intero.
Era riuscita a spazientire persino Sofia, a tal punto che questa aveva cessato di seguirla durante il giorno, e ora trascorreva le giornate leggendo, raffinando le sue competenze erboristiche e l'abilità nel tiro con l'arco. Daniel si vedeva di rado, passava tutto – davvero tutto – il tempo nei laboratori degli Alchimisti, studiando e dimenticando completamente il resto del mondo. Tutti tranne Tara, dato che lei a sua volta trascorreva il tempo nel quartier generale di suo zio, collocato esattamente nella Biblioteca, ovvero il luogo prediletto da Daniel per "rilassarsi".
Suo fratello Samuel invece... non le era ben chiaro quel che faceva, dato che le rispondeva sempre in modo vago. Samuel, di contro, le nominava spesso Mastro Kumara, il quale gli stava insegnando a "comprendere meglio Diana" e a "governare meglio i venti"; e il più delle volte a Tabita veniva voglia di tapparsi le orecchie. Si era data più di una possibilità; aveva provato a chiacchierare con Mastro Kumara almeno tre volte e addirittura con Mastro Sanat, ma quei due parlavano una lingua diversa dalla sua. Tabita non riusciva a capire una parola di quello che dicevano, e ciò che la mandava su tutte le furie era che lei sembrava l'unica ad avere quel difetto; persino suo fratello si sentiva a suo agio, con le loro buone maniere e tutta la loro bontà, in quel luogo così retto e così sicuro.
Mai una volta Samuel le aveva chiesto di discutere sul significato di quelle parole, una porta, una coppa, una chiave; la possibilità che sua madre fosse ancora mezza viva non lo sfiorava nemmeno, e avrebbe rischiato volentieri di umiliarsi per l'eternità nel caso in cui quella mezza vita fosse davvero sopravvissuta, per poi morire sola, abbandonata dai propri figli, che sapevano. Tabita no, questo non poteva accettarlo. La frustrazione le ribolliva nelle vene ogni giorno di più, non riusciva a darsi pace.
Quella mattina si era alzata con un terribile batticuore; avrebbe dato di matto se non lo avesse già conosciuto. Era Paura. Eppure lì non c'erano demoni, in quel paradiso terrestre, cosa diamine le scatenava allora quel subbuglio interiore? Com'era possibile avere paura da soli, in un comodo letto, con delle coperte pulite e la promessa di una colazione abbondante?
Non era riuscita a darsi una risposta, così si era alzata ed era filata dritta da Durga. Questa era la sua unica certezza: trovare Durga là fuori, all'aperto, nell'Oasi o nell'Arena. In effetti, l'aveva trovata, in piedi sotto la palma dove alcuni suoi allievi si radunavano ogni mattina per meditare, ma nemmeno quel giorno Durga le aveva fatto fare qualcosa di diverso dal raddrizzare la schiena. Nonostante fosse l'unica creatura vivente con cui Tabita riusciva a parlare, aveva l'impressione che la domatrice di demoni non avesse capito quanto fosse importante per lei riuscire nell'impresa che le aveva affidato.
Dopo la lezione, Tabita si sedette su di una panchina, di fronte alla fontana dell'Oasi; era una fontana davvero spettacolare, l'acqua spruzzava dalla proboscide curvata all'insù di un grosso elefante scolpito nella pietra.
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Il canto della civetta. La Signora della Morte (Vol. 1)
FantasyDa secoli i cacciatori di demoni tramandano un motto: benedetta dove poggia, maledetta dove guarda. Tabita aveva sempre sognato di udire il canto di una civetta. Ora che è successo, però, la sua casa è distrutta e i suoi genitori sono scomparsi, e n...