21. La trappola di Zifa

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Tabita uscì dall'Arena e si fermò, non aprì nemmeno gli occhi. Affondò gli scarponi e riempì i polmoni d'aria. L'euforia distese le sue labbra in un sorriso, almeno finché non udì Zifa suonare. Soffiava dentro il suo piccolo flauto e il demone dondolava come se fosse sotto l'influsso di un incantesimo. «Santo cielo, non dovrai continuare così per tutto il tempo, vero?»

L'uomo le rivolse una specie di grugnito. Samuel le fece segno di tacere e le posò una mano sulla spalla, accompagnandola in disparte.

«Andiamocene, sveglierà tutti» sibilò Tabita.

Da come suo fratello la guardò, capì che stavano per discutere.

«Andiamo a Linguaverde. Saremo lì entro domani pomeriggio.» Le disse.

«No! Dobbiamo andare nella Valle, io posso...»

Samuel la scrollò. «Ascoltami. Qualunque sia la nostra destinazione, abbiamo bisogno di provviste e di armi, non sappiamo cosa ci aspetta.»

«Hai dimenticato chi c'è a Linguaverde? Danesh Gumpta! Ci ha venduto ai cacciatori!»

«E poi ci ha condotto a Città degli Alchimisti.»

«Ma intanto ci ha venduto!»

Samuel serrò la mascella e sospirò. «Non ho detto che mi fido, ok? Agiremo di notte. Prenderemo quello che ci serve e poi ce ne andremo.»

«Pensi di farla sotto il naso di Danesh Gumpta? Uno Stregone? Credevo che la compagnia di Mastro Kumara ti avesse reso più intelligente. Spero che tu non abbia rincitrullito pure lui.»

«Gumpta è uno stregone Commerciante. Legge nel pensiero, conosce segreti, non è un guerriero.»

«Ma l'accompagna un'avversaria degna di nota, non credi? Lui capterà i nostri pensieri e lei sentirà ogni passo che faremo sulla sabbia.»

Negli occhi di Samuel si accese una luce che valse più di mille parole. Tabita non sapeva se fosse il fuoco di un tormento o l'impeto della vita che tornava a scorrere anche nelle sue vene.

«Gita non mi spaventa. Io non ho paura di loro.»

Tabita ricordava cos'era in grado di fare, suo fratello. Era diventato più forte, era davvero cambiato e gli avrebbe affidato la sua vita. E anche se avrebbe voluto gridare al diavolo!, io non posso più aspettare, nostra madre potrebbe essere lì ora, e avere bisogno di noi in questo esatto istante, ogni secondo speso a chiacchierare potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte!, nonostante ciò, sapeva che lui aveva ragione.

«Ehi, mocciosi! Muovetevi, dobbiamo salire.»

Tabita esitò. «Ma come faremo? Lui non può suonare per tutto quel tempo.»

Samuel la sorprese con un mezzo sorriso storto. Guardò il cielo, ora di un rosso folgorante, e alzò il braccio. Fischiò. Dopo pochi secondi, Diana rispose, schizzò fuori dal tetto dell'Arena come un fulmine e planò sul braccio del ragazzo. «Li terrà buoni.»

Tabita, commossa, desiderò accarezzare la civetta, ma le suscitava troppa riverenza. Avrebbe giurato che finché Diana sarebbe restata con loro, tutto sarebbe andato per il verso giusto, e un giorno sarebbero riusciti persino a riconciliarsi con i loro amici.

Quel momento d'emozione non le impedì di notare una sorta di sguardo d'intesa tra suo fratello e Zifa. Avrebbero avuto mucchio di tempo per parlarne, quindi non indagò.

Zifa salì a bordo e si sistemò dietro la testa del demone. La bestia si limitò a mugugnare, stordita. Mentre Samuel si issava, Tabita cercò di vedere i fili di energia, senza successo. Avrebbe dovuto sedersi alla cieca, nella speranza che quel maledetto flauto e la presenza di Diana fossero sufficienti a tenerli al sicuro per tutta la durata nel viaggio. E santo cielo, si era dimenticata di quanto caldo faceva lì fuori di giorno; nel giro di un paio d'ore avrebbero iniziato a soffocare. Forse avrebbe dovuto prendere un paio di borracce in più. Sollevò il cappuccio del mantello.

Il canto della civetta. La Signora della Morte (Vol. 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora