31. Ravi e il Rubino Rosso

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Soran era l'artigiano mastro della gilda del Focolare. Maurine lo descrisse come un uomo dal cuore tenero, ma ricoperto da uno strato di roccia piuttosto spesso. La vita era stata dura con lui, aveva perso moglie e figli a causa dei demoni e ora passava il tempo costruendo oggetti e levigandoli con la stessa precisione con cui si affila una lama. Tollerava suo fratello a malapena, ma lei aveva imparato a prenderlo per il verso giusto.

«Credi che ci prenderà tutti e due?» domandò Tabita.

Maurine rallentò il passo, guardandola sorpresa. «Oh, no... tu dovrai venire con me con le lavandaie. Qui le donne non possono lavorare nelle gilde.»

«E per quale sciocca e bigotta ragione?» Tabita evitò il pizzicotto di Samuel. «Io so lavare i piatti meglio di chiunque altro, così come so usare questi pugnali meglio di qualsiasi uomo presente qui dentro.»

Maurine arrossì, non si capiva se per l'ammirazione o l'imbarazzo. Le altre donne che passavano, tutte in vesti scialbe da lavoro, le guardavano con curiosità, sospingendo via i bambini che sostavano per spiarli.

«Non lo metto in dubbio, ma qui funziona così.»

Tabita fece una smorfia. Aveva l'urgente bisogno di parlare a Samuel dello scrigno e aveva sperato di poterlo fare lavorando. «Lo vedremo domattina.» Riferì, per vantarsi in realtà dell'invito del generale della Guerra.

«No no no, non andare. È meglio così, credimi. Lui vuole umiliarti, ti farà del male. Combattere contro una donna, poi.» Maurine sembrava davvero sconvolta da quella possibilità. Tabita si chiese se avesse mai visto qualcosa oltre le mura di ossa della sua città e ribadì che si sarebbe presentata a maggior ragione. Samuel, che conosceva bene il temperamento di sua sorella, chiese un momento per parlare con lei in privato.

La prese per le spalle. «Che ti costa, maledizione! Hai pur cucinato con Manu.»

«Ho scelto di cucinare, è ben diverso!»

Samuel sbuffò, strinse la presa. «Ricordati perché siamo qui.»

Con quelle parole Tabita si calmò. Raddrizzò la schiena – quando parlava con Maurine si sentiva misteriosamente costretta a raddrizzarsi come lei – e acconsentì a lavare le sporche vesti di quella gente. La ragazza non rispose nemmeno e la guardò storto, come se fosse stato ovvio che sarebbe andata con lei. Tabita allora realizzò di non essere affatto una viaggiatrice, ma una prigioniera.

Si fecero coraggio e Maurine li condusse nel cuore della gilda del Focolare. Attraversarono un passaggio sotterraneo claustrofobico e sbucarono in un'ala separata della città, anch'essa circondata da un recinto munito di aculei di ossa. Tabita restò senza parole; ci saranno stati almeno cinquanta uomini, lì dentro. Lavoravano ai banchi disposti in gruppi, e ognuno eseguiva una mansione specifica, chi seduto chi in piedi. Non aveva mai, mai visto così tanti uomini lavorare insieme. Anzi, non aveva mai visti degli uomini lavorare insieme, che non fossero piccoli gruppi familiari. Levigavano, scolpivano, lucidavano, dipingevano, incidevano, incollavano... ossa. A montagne, a file, a drappelli. Possedevano un numero sorprendente di strumenti di ferro e Tabita dubitava che molti di quelli avessero potuto fabbricarli da soli.

Spettava ai più giovani, bambini compresi, il compito di dividere le ossa; quelle più piccole da quelle più lunghe, quelle appuntite da quelle arrotondate, la mascella con le mascelle, il femore con i femori, la falange con le falangi, i teschi di scoiattolo da quelli di corvo. E c'era un forno, un'altissima pira, nel cuore dell'accampamento, e le fiamme sbuffavano in alto impenetrabili coltri di fumo che annerivano il cielo.

Tutti si giravano al passaggio di Maurine, le chiacchiere e le risate si affievolivano, ma lei li ignorava con il portamento di una principessa. Al passaggio di Tabita, invece, sgranavano gli occhi, restavano perplessi e talvolta imbarazzati, o schifati: una donna, una ragazza, che indossava la tenuta di un cacciatore? Doveva averla rubata, per forza. Straniera, poi, chissà quali guai avrebbe portato. Tabita reagì sfoderando un kartika; lo roteava sopra la spalla con una mano, fingendosi indifferente.

Il canto della civetta. La Signora della Morte (Vol. 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora