32. Il Demone Pipistrello e la Missione Arturo

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Tabita ricordava bene il giorno lei e i suoi amici si erano infiltrati nella sede dell'Arma Sud. Una giornata epica. Pericolosa, sfrontata, che prima o poi avrebbero dovuto pagare, ma epica. Lei e Samuel avevano proposto di disfarsi delle guardie, ma infine avevano dovuto riconoscere che il piano di Daniel, ovviamente, fosse il migliore. Avrebbero sfruttato la sua posizione di, a tutti gli effetti, cacciatore. Non aveva di certo il permesso di assistere alle riunioni, o di partecipare a una missione, ma avendo completato l'addestramento di base aveva il diritto di accedere, perlomeno, nell'edificio. Gli avevano concesso quel privilegio con il solo scopo di vederlo un giorno varcare la soglia con un modulo di richiesta in mano: partecipare agli addestramenti speciali ed entrare a far parte dell'Esercito. Alla fine, quel vantaggio era servito solo per eludere la guardia all'ingresso. Fortunatamente, le circostanze erano state dalla loro parte. Fuori era scoppiato il finimondo. La notizia che un demone corvo aveva causato la distruzione di un palazzo aveva innervosito i cittadini, che vivendo ai piedi di una sede dell'Arma non erano abituati ad accettare nella loro quotidianità l'esistenza dei demoni in cane e ossa. L'intera periferia, un migliaio di anime appena, si era radunata ai piedi delle rovine. Durante un evento del genere si potevano rubare un mucchio di cose, in modo del tutto legittimo.

L'inquietudine era data anche dalla consapevolezza che i soldati che risiedevano in quella sede dell'Arma non erano affatto cacciatori affermati, ma uomini dotati di tenuta da combattimento che in vita loro si erano sempre e solo occupati della burocrazia, che ogni tanto si degnavano di far pervenire qualche cassa di viveri e medicine, per alimentare la convinzione di quelle quattro povere famiglie di cacciatori di basso rango di essere importanti. Insomma, l'Arma Sud teneva puliti i boschi dalle bestie possedute, un leone di montagna rabbioso, magari, ma un demone corvo gigante che piombava dal cielo?

E poi, c'era stata quella civetta. L'aveva sentita chiunque, una civetta cantare, tant'è che tutti e dieci i cacciatori presenti nella sede se n'erano andati in fretta. Non vedevano l'ora di mettere le mani su quella creatura, per addestrarla. Quel che non sapevano, era che la civetta, vero, aveva cantato, ma una volta sola. Quell'incantevole suono che sbucava da una parte all'altra della città da circa venti minuti era opera di Sofia, che portava a termine il suo compito con successo.

In poche parole, Daniel fece entrare Tabita e Samuel dalla porta nel magazzino sul retro. Il piano era stato di rubare delle armi: un arco per Sofia, una spada per Daniel e una per Samuel, un pugnale per Tabita. Ma rovistando in una cassapanca Tabita aveva udito delle voci; provenivano da un condotto. Lei e Samuel vi si erano infilati per poi giungere proprio sopra una stanza in cui stava avvenendo il fatidico interrogatorio: Alan Patrowsky.

Tabita tornò al momento presente. Ora era sola e doveva farsene una ragione, inutile crogiolarsi nel passato. Sollevò il cappuccio, girò alla larga dalle lanterne e si infilò all'interno del quartier generale. Quel dannato catenaccio alla porta fece un rumore della malora, ma quella sera il vento si era alzato e nessuno la notò.

L'impensieriva la facilità con cui era entrata. Forse quel luogo non aveva in serbo nulla per lei. Aveva notato, però, durante la sua breve permanenza nella cappella con i generali, un ulteriore scala che portava chissà dove, magari in un'altra area dell'accampamento. Avrebbe potuto trovarci dei registri, con segnate delle date o dei nomi. Se era davvero fortunata, avrebbe trovato il registro dei visitatori, e avrebbe potuto, chissà, trovarvi la firma di sua madre. L'Arma doveva sempre sapere dove si trovavano i suoi cacciatori, i suoi "figli".

Tabita aprì il mantello, così che la luce della pelle di serpente legata in vita rischiarasse i suoi passi. Scese le scale, percorse d'un fiato il corridoio sotterraneo e raggiunse la cappella dove aveva incontrato i generali. Non vi sprecò tempo, bastava fare il giro del tavolo e si era visto tutto. Le pareti erano troppo irregolari perché vi si potesse lasciare qualche mensola o infilare un chiodo, e il perimetro circolare non permetteva l'accostamento di mobili. Nessun cassetto in cui frugare, nessun quadro posto a nascondere una cassaforte segreta. Le collane d'ossa che pendevano dalle lanterne non facevano altro che inquietarla, ad ogni fruscio si sentiva sfiorata dall'alito di un fantasma.

Il canto della civetta. La Signora della Morte (Vol. 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora