Si erano radunati nel salotto da pochi minuti quando una donna si presentò all'ingresso. La sua carnagione era scura come il bronzo e sulle sue gote vi era della polvere dorata. Portava una veste color porpora, proprio come quella di Sofia, e un paio di sandali. I capelli nerissimi erano raccolti in una crocchia così grande che subito Sofia desiderò scoprirne la lunghezza; poi vide la civetta appollaiata sulla sua spalla, dov'era legato un sostegno d'oro, come un'armatura, e spalancò la bocca: «Assomiglia così tanto a Diana!» esclamò.
L'uccello sgranò gli occhi gialli e volò dritto sul braccio di Samuel. «Ma questa è Diana...» sussurrò lui, profondamente colpito.
«Quindi tu sei il nuovo portatore.» Disse amichevolmente la donna. «Noi la chiamiamo Yama, ma Diana andrà benissimo.»
«Quindi lei viene da qui?» Domandò Samuel.
«Prima di te, Yama guidò Mastro Sanat. Poi un giorno ha dispiegato le sue maestose ali, e noi l'abbiamo semplicemente lasciata andare.»
«Perché ha scelto lui?» chiese Sofia. Sapeva che quella domanda pizzicava la punta della lingua di Tabita, così come che la sua amica non avrebbe avuto il coraggio di chiederlo subito.
«Le civette scelgono chi ha un compito importante da portare a termine, qualcuno che deve essere protetto. Ma sono certa che di questo ti parlerà Mastro Sanat, caro ragazzo. – disse, rivolgendosi a Samuel – Vieni con me, Lui vuole riceverti in privato.»
Samuel, Daniel, Tabita e Sofia si guardarono; si era instaurata una preziosa complicità che permetteva loro di valutare ogni circostanza attraverso uno scambio di sguardi. Difficile, tuttavia, poter anche solo immaginare il perché Mastro Sanat volesse interloquire con Samuel, e ciò agitò Tabita immensamente.
Samuel annuì e si avvicinò alla donna. Prima che i due se ne andassero, Tara si fece avanti. «Dove posso trovare il Profumiere?»
«Oh, ma certo. Quasi dimenticavo. Seguite Yama, lei vi guiderà. Benvenuti nella Città degli Alchimisti. Il mio nome è Durga, ci rivedremo molto presto.»
Nessuno ebbe il tempo di porre altre domande; Durga imboccò il corridoio di destra, mentre Yama si alzò in volo e si diresse nel corridoio di sinistra. Sofia prese per mano Tabita e Daniel e insieme le corsero dietro; Tara restava in prima fila, ansiosa ed emozionata. Man mano che proseguivano il soffitto diventava sempre più alto e folte dita di corteccia ricoprivano le pareti, finché l'ambiente non si trasformò in un curioso bosco dai pavimenti levigati, illuminato dalle numerose lanterne appese ai rami, che ora attraversavano il passaggio da una parte all'altra e dove Diana sostava per attendere i suoi amici umani. Ad un certo punto Sofia, travolta dall'euforia di correre in un luogo così bello, così pulito e così sicuro, non riuscì più a trattenere le risate, e di conseguenza anche Tabita e Daniel si lasciarono andare ad un umore più leggero. Il ragazzo si fermava, di tanto in tanto, per osservare una foglia o un fiore, e Tabita s'incantava a guardarlo, perché era certa di non averlo mai visto così sereno e affascinato dalla vita sulla Terra.
Giunsero nel punto in cui il corridoio s'interrompeva e di fronte a loro ci fu solo una piatta parete vegetale; Diana scomparve nel fogliame. Tara capì subito, si avvicinò e vi posò la schiena, poi chiuse gli occhi. Proprio com'era successo con l'Albero Divoratore, radici sinuose l'avvolsero, attirandola verso l'interno; questa volta tutti la imitarono senza discutere, Tabita persino rise, perché una radice le fece il solletico al collo. Ciò che trovarono oltre quella parete quasi fece venire a Daniel un capogiro. «Questi sono...»
«Libri... libri, libri!» Gridò Sofia, travolta da un incontenibile scoppio di gioia. Nessuno di loro ne aveva mai visti così tanti. Nemmeno a scuola. Ogni parete, di ogni corridoio e di ogni stanza era stipata di libri, di ogni colore e dimensione, lingua e argomento; e sul soffitto vi erano dipinti così raffinati che nessuno seppe dire con certezza se fossero di origine umana o divina, perché entrando in quel luogo sacro non vi era dubbio che un Dio sopravvissuto agli orrori del mondo esistesse e che sempre sarebbe esistito. Vi erano tavoli e poltrone, morbidi tappeti dalle nappe dorate su pavimenti color ocra. Alcune mensole risultavano assolutamente inaccessibili, a causa di un'edera fittissima costellata di misteriosi fiori bianchi che Daniel non aveva mai visto prima; le corolle somigliavano a un occhio di civetta, e pareva che sorvegliassero ogni visitatore.
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Il canto della civetta. La Signora della Morte (Vol. 1)
FantasyDa secoli i cacciatori di demoni tramandano un motto: benedetta dove poggia, maledetta dove guarda. Tabita aveva sempre sognato di udire il canto di una civetta. Ora che è successo, però, la sua casa è distrutta e i suoi genitori sono scomparsi, e n...