37. L'Evocazione

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Man mano che la distesa mortale della Valle si avvicinava, lo stomaco di Tabita si contraeva. Se prima di metterci piede il suo unico pensiero era stato rivolto a sua madre, ora che si trovava in un luogo così mitico, così angoscioso e pullulante di bestie, il suo unico pensiero era: da qui provengono tutti i demoni del mondo. E questo voleva dire solo una cosa: a ogni passo, a ogni movimento il suo corpo si impigliava in un filo di energia, lo attraversava, lo calpestava, lo respirava. Ebbe l'impulso di sforzarsi di guardare, ma si scoprì codarda. Poteva però immaginare. Se pensava a tutti i fili che sbucavano da quel cielo, da quell'occhio impenetrabile, e da quella terra bruciata, visualizzava un ammasso rosso nero sanguinolento e pulsante, una pozza oleosa i cui liquidi acidi si incollavano alle suole delle scarpe; e lei ci camminava in mezzo, vi immergeva la carne, le parve di attraversare il fantasma tormentato e furioso di milioni di esseri umani. Ciò che le impediva di vomitare, di sudare freddo o di sputare le budella erano le circostanze: non poteva perdere la concentrazione. Le formiche di palude spalmate sulla pelle di tutti e tre creava una cappa nauseabonda, ma non molto più puzzolente del luogo stesso. Samuel aveva i nervi a fior di pelle; di continuo allontanava demoni alati, ammassi putridi striscianti, chimere mostruose; mai Tabita aveva incontrato nel suo cammino creature così rivoltati. Emettevano versi irriconoscibili, di vomito che esce dalla bocca, di maiale sgozzato, strilli agghiaccianti, ringhi, gorgoglii. Puzza di zolfo, di bruciato. Puzza di decomposizione. Zifa aveva già vomitato una volta, ma nessuno era dell'umore di esprimere un commento ironico. Ora impugnava un fucile per mano, senza proferire parola.

Una volta sceso il pendio, si fermarono. Samuel prese sua sorella per un polso. «Sei sicura?»

Tabita annuì.

«Da qui in poi... sarà sempre peggio» calcò. «Fin dove vuoi arrivare?»

Lei si guardò attorno. Avrebbero potuto camminare per ore senza incontrare anima viva. L'unico punto di riferimento era quell'occhio maligno che si spalancava nel cielo, ma brillava – si rabbuiava – come una stella, che per quanto avanzi, avanzi... non si avvicina mai davvero. Lì sotto, però, in un luogo lontano, il miasma si addensava in una nebbia scura e impenetrabile.

«Ehi, ehi, – s'intromise Zifa – manuale di sopravvivenza per principianti: non andare in mezzo alla nebbia. Io non ci vado fin lì. Anzi, non so proprio perché vi sto ancora dietro al culo come una balia.»

«Di certo non te l'ho chiesto io» lo liquidò Tabita.

«Stupida ingrata.»

Samuel indossò la maschera e la testò. «Oh, Cristo. Funziona. Funziona decisamente. Mettila.»

Tabita eseguì. Dopo un paio di respiri rumorosi il bruciore ai polmoni cessò; eppure aveva l'impressione che quell'affare le rallentasse i riflessi, la rendesse più vulnerabile.

«Non ti addentrerai nella nebbia» disse Samuel. Lo turbava non riuscire più a distinguere l'espressione di sua sorella.

Lei fece di no con la testa. «Voglio sono fare una passeggiata.»

Zifa grugnì. «Be', vorrà dire che farò un giro nei dintorni. Mia moglie è un'ottima disegnatrice... le farò fare una mappa di questo posto e ci faremo una barca di soldi.» Roteò il fucile con una mano.

«Quale delle tante?» lo schernì Tabita.

«Fate silenzio. E statemi vicino.» Li ammonì Samuel.

«Oh, va bene babbo» ghignò Zifa.

Ma nonostante la strafottenza, non si allontanò, e continuò a camminare dietro di lui, per il semplice fatto che ogni volta che Samuel alzava un braccio per scacciare un demone, l'aria attorno a loro si puliva e Zifa poteva recuperare un filo di ossigeno relativamente pulito.

Il canto della civetta. La Signora della Morte (Vol. 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora