Il demone che possedeva Nitocris alzò lentamente la testa dal suo tesoro. Si mise in piedi, con la calma di chi ha l'eternità di fronte a sé, e inclinò curiosamente il capo in direzione di Tabita.
Tabita iniziò a sentire freddo. Un freddo viscerale, ma non le parve strano; aveva smesso da un pezzo di preoccuparsi di come si sentisse il suo corpo. In un posto come quello era anche difficile accorgersi che il buio si stesse infittendo, che quel poco di luce rossastra filtrata dalla spessa coltre di nuvole stesse svanendo nel nulla, e che ogni cosa, granello dopo granello, si stesse rivestendo di brina. Tabita sbuffava nuvolette di condensa. Dalla bocca e dalle narici di Nitocris non usciva nulla.
E poi esplose, un turbinio di gelo siderale, di vento e di ombra. Un vortice nero, denso, agitato come il vento intrappolato tra le montagne; i demoni stridettero e fuggirono, la terra si congelò.
Era apparso Zampacorvo.
Tabita respirò quel gelo in profondità, fissando di fronte a sé la forma della sia personale vendetta. Le si dipinse un sorriso sinistro in volto.
Il Negromante era esattamente come se lo ricordava. La pelliccia untuosa, il barbone e gli occhi vuoti di un morto. L'uomo-demone si guardò attorno, e con bramosia fluttuò verso la ragazzina che lo aveva così sconsideratamente evocato. Quando gli fu abbastanza vicino allungò una mano artigliata, con il palmo grigio e ossuto rivolto verso l'alto. Lei vi posò sopra l'osso di corvo.
«Voglio esprimere un desiderio» disse.
Una risata gutturale gli vibrò in gola.
«Cosa mi dai in cambio?»
«Quello che vuoi.»
«Oh... ma tu lo sai, cosa voglio, bambina.»
«La mia anima» sussurrò Tabita. Le venne quasi da ridere. Ma che vuoi? Quale anima? Qui non c'è più niente. «Vuoi legarmi una zampa di corvo al collo?» fece un passo avanti per semplificargli l'impresa.
«Mmmh... tu non hai paura.»
La sua voce sembrava provenire dalle profondità di una caverna.
«Non più.»
«Forza, dimmi allora. Che cosa desideri? Cosa mai potrà desiderare un essere umano, di cui possa godere senza la sua anima?»
Lo sguardo di Tabita slittò poco più in là. La donna demone pareva particolarmente interessata alla presenza del Negromante, al punto che ora camminava curiosa verso di loro. Tabita serrò la mascella. L'avrebbe spazzata via, quella tranquillità, quella convinzione. L'avrebbe strappata fuori dal corpo di sua madre con le unghie e con i denti, e poi si sarebbe messa seduta, comoda, in prima fila, per guardarla soffrire sotto i colpi di uno stregone. Si sarebbe gustata la sua vendetta fino all'ultimo istante della sua miserabile vita. D'un tratto, ricordò che qualcuno le aveva detto che la speranza è l'ultima cosa a morire. Tabita ghignò. Quel qualcuno non aveva capito niente. L'ultima a morire era la vendetta.
Indicò la donna con un dito.
«Tirala fuori da quel corpo... e distruggila. Quel demone deve morire.» Man mano che esprimeva il suo desiderio, la furia si impossessava di lei. «Uccidila! Uccidila! Zampacorvo!» gridò.
Il Negromante guardò l'oggetto del desiderio.
«è davvero questo quello che vuoi? Gli uomini barattano la propria anima per il potere, e la vita. Mai per la morte.»
Zampacorvo iniziava a spalancare le braccia. Tabita sentiva il proprio corpo scosso dai brividi, le dita blu così rigide che non riusciva nemmeno più a muoverle.
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Il canto della civetta. La Signora della Morte (Vol. 1)
FantasyDa secoli i cacciatori di demoni tramandano un motto: benedetta dove poggia, maledetta dove guarda. Tabita aveva sempre sognato di udire il canto di una civetta. Ora che è successo, però, la sua casa è distrutta e i suoi genitori sono scomparsi, e n...