Capitolo 11

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(Canzone consigliata: Coaster - Khalid.)

Aaron.

Ero scappato.

Ero scappato come un codardo e, forse, lo ero realmente.

Ma mi ero sentito sopraffatto, soffocare.

Soffocare dal suo profumo di orchidee, sopraffatto dai suoi occhi color smeraldo e dal suo nasino all'insù.

Era bella.

Fanculo, era bella come il sole e sapevo che se fossi rimasto con lei mi sarei bruciato. Perché, anche non conoscendomi, era riuscita a non farmi pensare ad altro.

Me ne ero scopate talmente tante che ormai ero abituato che quando ero dentro una ragazza, puntualmente la mia mente andava altrove.

Ma con Isabelle non era successo.

Ero con lei, in ogni spinta e in ogni morso la mia mente era con lei.

E sì, avevo avuto paura perché era una novità per me e non ero un grande fan delle medesime.

Mentre camminavo per il campus, cominciai a riprendere fiato.

Ma che cazzo mi stava succedendo?

Era veramente brava sotto le lenzuola, c'era da dirlo. E quando la sua lingua curiosa aveva voluto assaggiare anche parti un po' compromettenti, giuro, le avrei chiesto di uscire con me ufficialmente.

Ma io non uscivo con le ragazze, semplicemente perché non mi serviva.

Ma non seppi spiegarmi il perché, però, mi era venuta voglia di scoprire di più sul suo conto anche se dopo come mi ero comportato, sicuramente lei non avrebbe più avuto voglia di conoscere me.

Sapevo che aveva delle sue problematiche. Una persona che non ha nessun problema al mondo non si chiude in un bagno di un ospedale e sbatte la schiena al muro finché non torna in sé.

Mi era rimasto talmente impresso quel momento che quando ero nella sua stanza volevo controllarle la schiena per accertarmi che non ci fossero lividi, ma mi sembrava una cosa troppo intima.

E io non volevo essere intimo con lei, almeno non in quel modo.

Per la prima volta in vita mia ero rimasto senza una parola da dire.

Ero un chiacchierone pieno di sarcasmo, sempre pronto a prendere per il culo chiunque ma, cazzo, non sapevo proprio cosa dirle.

Né quella volta in ospedale, né quando ero nella sua stanza poco prima.

Forse era talmente brava che mi aveva lasciato come un coglione.

Doveva essere per forza così.

Non avevo mai avuto paura dell'amore. Avevo sempre avuto i miei genitori come esempio e sapevo che se avessi voluto provare amore nella mia vita, sarebbe stato come il loro che dopo venticinque anni di matrimonio, mia madre, arrossiva ancora quando vedeva mio padre.

Quello lo volevo.

Ma non mi ero mai sentito all'altezza di un sentimento di quel genere, quindi invece che rischiare, avevo scelto di non provarci nemmeno. 

Quando arrivai alla confraternita, vidi Nathan che stava caricando una valigia nella sua macchina.

«Dove te ne vai?»

«Nel Vermont.» Mi guardò accennando un sorriso. «Con Nives.»

Sorrisi sinceramente e gli due pacche sulla spalla.

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