Capitolo 33

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(Canzone consigliata: Another Love - Tom Odell).

Isabelle.

La sensazione di tranquillità che aleggiava nella mia testa era del tutto nuova. E forse era merito proprio di quel giocatore di football che continuava a fissarmi mentre mi stavo vestendo.

Era passata una settimana da quando si era presentato con la spesa nella mia stanza.

Una settimana in cui avevamo convissuto nella stanza del mio dormitorio.

Una settimana piena di sesso e di risate.

E, in quei giorni, avevo scoperto anche che avesse un rapporto meraviglioso con la sua famiglia. Aveva chiamato la madre tutte le mattine e il padre tutte le sere, ma senza risultare morboso. Dal modo in cui aveva conversato con loro mi era sembrato che li considerasse anche suoi amici. 

Per me era fantascienza, ad essere sincera.

Avevo sempre avuto un buon rapporto con mio padre ma, gli ultimi avvenimenti, mi avevano fatto capire anche quanto potesse essere fragile. Quando in realtà, il rapporto tra un genitore e il proprio figlio, doveva essere più forte di qualsiasi altra cosa.

Ma ero così contenta che lui avesse quella serenità con le persone più importanti della sua vita. E quello spiegava anche perché fosse così gentile e premuroso nei confronti del prossimo.

Andiamo, era gentile perfino con Nathan. E, ammettiamolo, quel ragazzo era davvero l'emblema del cinismo.

«Vuoi dirmi almeno dove stiamo andando?», chiesi ad Aaron che ancora non la smetteva di fissarmi.

Quella mattina si era svegliato di soprassalto e, dopo avermi portato la colazione, aveva deciso di farmi vestire in fretta per andare da qualche parte.

Dove, ancora mi era ignoto.

E per una maniaca del controllo come me, non era affatto piacevole.

Quando si hanno delle problematiche come le mie, avere il quadro completo della situazione aiuta a prevenire le crisi. Ma non sempre era così. Se per esempio organizzavo la mia giornata e qualche imprevisto mi avrebbe fatto inciampare nelle ore che scorrevano, sarei andata fuori di testa. Non mi erano mai piaciute le sorprese, mi donavano quel senso di agitazione nello stomaco che induceva la mia mente a correre su sé stessa senza trovare un filo logico. 

Perciò, avevo bisogno di sapere dove stessimo andando.

A New York stava per arrivare il caldo estivo, quindi avevo potuto indossare un jeans e una maglia con le maniche corte. Non conoscevo il luogo, né come avrei dovuto vestirmi ma avevo optato per qualcosa che mi avrebbe fatto sentire a mio agio. 

«Belle, smettila di chiedermelo», rispose appoggiandosi allo stipite della porta. «Ti piacerà, promesso.»

Solitamente, dopo una risposta di quel tipo, sarei andata nel completo panico. Invece, mi limitai ad annuire senza far girare la mia testa su sé stessa. 

Non ero agitata, ero solo tremendamente curiosa di sapere dove volesse portarmi. 

Quella sì, che era una novità. 

E, a dire il vero, era anche una settimana che non prendevo le mie solite gocce. 

Forse, Aaron, riusciva a portare un po' di pace e tranquillità nella mia vita, facendomi sentire bene nella mia stessa pelle. Senza dover ricorrere alle mie abitudini. Mi resi conto che in quei giorni nemmeno una volta il mio stomaco si era contratto impedendomi di mangiare un pasto completo, oppure il mio respiro era sempre stato più o meno calmo e regolare. Ammisi a me stessa, però, che dipendere così tanto da un'altra persona mi spaventava a morte. 

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