Capitolo 17

285 7 1
                                    

Isabelle

Quattro anni prima...

Ero appena tornata dal mio primo giorno di scuola. 

Lo zaino che portavo sulle spalle pesava come un macigno, come fossi schiava di quel peso che non volevo. 

Sedermi, ascoltare le lezioni e regalare sorrisi falsi ai miei compagni mi aveva davvero sfiancata. 

I rumori, le chiacchiere e gli schiamazzi della mensa mi avevano completamente distrutta. Mi dolevano perfino le orecchie mentre ascoltavo quelle che una volta erano le mie amiche parlare di una festa avvenuta qualche giorno prima. 

In un certo senso mi mancava avere una vita sociale, mi mancava divertirmi con le mie amiche, ma non riuscivo a spogliarmi dalle paranoie e indossare un vestito. 

Avevo incontrato anche il mio ex ragazzo nei corridoi. Avevamo deciso di intraprendere strade diverse, non ci portavamo rancore a vicenda. Ma avevo notato quel lampo di pietà nei suoi occhi quando mi aveva guardata dall'altro lato della mensa mentre mangiavo con le cuffie nelle orecchie. 

Io non volevo la pietà delle  persone, non volevo sembrare debole ai loro occhi. Volevo solamente sparire e rifugiarmi sotto le coperte dove il mostriciattolo non mi avrebbe raggiunto. 

E la piccola diagnosi che mi aveva riferito la psicologa pochi giorni prima mi rimbombava ancora nelle orecchie. Lo aveva chiamato "panico bloccante". Come se i miei attacchi di panico mi stessero dicendo di prendermi una pausa dalla vita. 

Di prendermi una pausa dai problemi degli altri e pensare ai miei, snocciolare ogni singola scheggia dei miei pensieri e trovare una soluzione o accettazione ad essi. 

Mi aveva riferito che, da quello che le raccontavo, ero una ragazza troppo empatica e invece di "schermarmi" dai problemi altrui, li assorbivo come fossero miei. 

Di conseguenza, la sofferenza collettiva era la mia totale distruzione. 

E quel panico bloccante voleva rendere tutto il resto del mondo statico, fermo. In modo tale che io potessi, in una situazione del tutto tossica, sistemare le mie sofferenze che avevo lasciato indietro. 

Quando mi sedetti sul mio letto, la prima cosa che feci fu prendere quel diario e ricominciare a scrivere. Come se da quello ne dipendesse la mia vita. 


Caro diario, 

Oggi sono tornata a scuola. 

Sono al terzo anno di liceo e l'unica cosa che tutti i miei compagni vorrebbero è divertirsi, ridere e condividere parole sussurrate. 

Io mi sento così diversa da loro. 

Così diversa dalla persona che ero prima. 

Ricordo ancora come Jillian mi ha guardata quando è venuta a trovarmi prima dell'inizio delle lezioni. Aveva preso un aereo da sola e si era fatta strada fino alla mia cameretta con le braccia colme dei miei donuts preferiti. 

Ma nemmeno la vista di quelle prelibatezze mi era servita per accennare un sorriso. 

Mi guardo allo specchio e non mi riconosco. Non riconosco la persona che vedo. 

Quella ragazza con il viso scarno per il poco cibo, le occhiaie violacee a rendere il sguardo color smeraldo così spento e vuoto da fare male. Quei capelli, una volta sempre acconciati, così disordinati. 

Non so più chi sono. 

Chi sarò, se mai sarò qualcuno. 

Il mostriciattolo si sta cibando perfino dei miei organi interni. Lo sento come vuole stritolare il mio stomaco ogni volta che provo a mangiare qualcosa. 

Perfino guardarmi allo specchio è diventata un'impresa assurda. Quelle clavicole troppo sporgenti e la mascella così affilata, quel ventre troppo piatto e quel seno quasi vuoto, mi fanno male. 

Mi fa male vedere come questo panico si stia divertendo a mordere e dilaniare la mia carne. 

Lo ammetto, sono stanca. 

Vorrei solo dormire e risvegliarmi quando tutto sarà finito. 

Il dolore, la rabbia, la tristezza, il senso di colpa di non essere più una persona ma solamente un fantasma, la delusione...

Time out, vi prego. 

Mind (Soul spin-off)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora