Capitolo 36

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(Canzone consigliata: Say You Won't Let Go - James Arthur).

Aaron.

Isabelle era dietro di me mentre guidavo la mia moto con una certa attenzione.

Ero sempre attento quando lei era con me, non solo nella guida, cercavo sempre di tenere d'occhio il suo respiro.

Soprattutto in una giornata come quella.

Il sole illuminava Manhattan come una lampada enorme e il vento caldo che ci accarezzava stava rendendo quel piccolo tragitto veramente piacevole.

Era quasi estate ormai e l'unico mio desiderio era far conoscere i miei genitori a Isabelle.

Quando pochi giorni prima di ritrovarci sulla moto glielo avevo proposto, stava quasi per avere un infarto.

Continuava a farneticare sul fatto che non sapeva come vestirsi, come comportarsi e come respirare.

Quello che lei ancora non aveva capito era che in qualsiasi circostanza era sempre perfetta nel suo essere sé stessa.

Logicamente, ci erano voluti alcuni giorni prima che accettasse senza avere una crisi esistenziale.

Quel giorno indossava un vestito leggero, adatto a quelle temperature, bianco con qualche dettaglio in viola e aveva legato i suoi capelli.

Era così meravigliosa nella sua semplicità che per poco non mi si era fermato il cuore quando l'avevo vista uscire dal suo dormitorio.

Sapevo anche che, avendo quelle problematiche che tanto odiava, fare un passo così importante, come conoscere la mia famiglia, non era facile.

Mi aveva spiegato molte volte che il mostriciattolo, così l'aveva chiamato, si verificava anche quando era emozionata. Quindi, prima di portarla a casa mia, avevo parlato un po' con mia madre che, essendo un'infermiera, sapeva benissimo come comportarsi se quelle emozioni troppo forti avessero bussato alla porta della mente della mia piccola Belle.

Non lo avevo fatto assolutamente per tutelare i miei genitori. In fondo, anche mio padre era un cardiologo parecchio rinomato in quasi tutto il paese.

Lo avevo fatto perché non volevo che Isabelle si sentisse sotto pressione.

Quando le persone sanno che soffri di cose del genere, è più facile lasciarsi andare e godersi la giornata. In quanto, se mai dovesse accadere, ti sentiresti al sicuro lo stesso.

Queste erano le cose che mi aveva spiegato mia madre, ma che Isabelle non seppe fino a quando non arrivai davanti al cancello di casa mia.

Quindi, prima di inserire il codice per aprire il cancello, mi tolsi il casco e la guardai da sopra la spalla. «Ci sei?»

Lei alzò la visiera del casco integrale e mi guardò annuendo.

I suoi occhi erano luminosi, ma un po' sgranati guardando la vastità della casa.

«Sei al sicuro qui, lo sai?»

Si accigliò.

«I miei genitori sanno.»

Vidi che stesse trattenendo il respiro mentre disse: «Sanno cosa

«Del piccolo mostriciattolo che ti vive nella tua splendida testa.»

«Oh... Oh, Dio.» Si tolse il casco con un movimento brusco. «Come... Perché...?»

«Perché mia madre è un'infermiera e mio padre un cardiologo.» Sospirai continuando a guardarla da sopra la mia spalla. «Ascolta... Mia madre al pronto soccorso ne vede di tutti i colori e, purtroppo, una cosa che vede spesso sono proprio persone che non sanno di soffrire di attacchi di panico fin quando lei non gli spiega cosa sono.» Decisi di girarmi totalmente verso di lei, così scavalcai e mi rimisi a cavalcioni sulla moto in modo da guardarla negli occhi. «E mi ha anche spiegato che se le persone intorno a te sanno della tua problematica, che poi odio chiamarla così, tu ti saresti sentita più a tuo agio e al sicuro in caso il mostriciattolo tornasse.»

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