Somewhere I Belong [Lee Felix]

27. can't pretend

Lo sguardo preoccupato e persistente di mio fratello sembrò tagliarmi in due l'anima. Chi aveva il coraggio di aprire bocca in una giornata del genere?

Preparai un caffè amaro per Chan, e glielo posai sotto al naso. Poi, silenziosamente, mi diressi nella mia stanza per cambiarmi. Non sarei andata a lavoro, la mia intera giornata l'avrei dedicata a tenere viva la memoria dei nostri genitori, ma soprattutto a piangere per conto mio un dolore troppo forte da superare. Mio fratello aveva troppo a cui pensare, e l'idea di fargli pesare anche questo, mi faceva stare male.

Dopo aver indossato qualcosa di comodo, alle 07:45 ero per strada, pensierosa e avvolta nella mia giacchetta di pelle. La città frenetica si muoveva attorno a me, piena di vita, di rumori e profumi. Sensazioni che avevo ben sperato di abbandonare in una parte della mia anima.

 Alcuni bambini piagnucolanti sbattevano i piedini a terra, mentre le loro madri cercavano di convincerli a non tardare a scuola, e un sorriso pieno di malinconia si formò sul mio viso. Non avevo mai fatto storie con mia madre, perché la scuola mi piaceva molto. Quando avevo la febbre - quelle rare volte - desideravo uscire dal letto e affrontare qualsiasi tipo di ostacolo mi si presentasse davanti. Soltanto in quel momento mi resi conto di quanto fossi cambiata, dopo la sua dipartita. Non avevo più coraggio alcuno.

I miei piedi si fermarono difronte ad un cancelletto arrugginito, che presentava a caratteri cubitali ''cimitero''. Il cielo terso dava un senso di malinconia a quel luogo così triste, pieno di alberi e profumo di fiori. Aprii il cancelletto ed entrai; ad attendermi c'era Jom, il custode. Un vecchietto dolce e gentile che per quattro anni cambiava sempre i fiori alla tomba dei nostri genitori, teneva pulito il cimitero e si assicurava che non ci fossero problemi.

''Lilja'' mi salutò dolcemente. Le rughette ai lati degli occhi increspavano quel suo viso segnato dalla vecchiaia. ''Ciao Jom..''