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SEBASTIÁN.

Non era ancora tornata.

Che diamine stavano facendo? Che cosa aveva Cassian da dirle, un'intera Odissea?

Non sapevo se odiare di più il fatto che Evelyn non fosse ancora qui, o il fatto che io fossi così in pensiero per lei.

Fanculo, cazzo.

—Menomale che non ti importa nulla di lei, che la odi e tutte le altre belle cose— commentò Julián, stravaccato sul divano con una birra in mano.

Mi osservava con i suoi occhi castani, palesemente divertito del mio malessere, lo avrei preso a pugni se  questo avrebbe potuto farmi sentire meglio.

Dovevo solo vederla e assicurarmi che non fosse di nuovo in lacrime per colpa di quella donna.

—Ha i ragazzi con lei, è in buone mani, Seb— mi disse Jordan con una nota di divertimento, cercando di rassicurarmi.

Ma non avevo bisogno di rassicurazioni, cazzo. Avevo bisogno di vederla.

Sarei dovuto andare con lei, sapevo che, probabilmente, avrebbe voluto che andassi, ma creare un legame ancora più stretto tra noi, facendomi coinvolgere nella parte più caotica della sua vita, non era una buona idea per nessuno dei due.

Non potevo lasciarmi coinvolgere dai sentimenti.

La porta d'ingresso si aprì e i ragazzi rientrarono.

Guardai Evelyn e notai che non aveva gli occhi rossi. Non aveva pianto, quindi.

Lei incrociò subito il mio sguardo e odiai la sensazione di calore che mi invase quando vidi di nuovo quei due occhi blu.

La mia rovina. Ecco cosa sarebbe stata.

Non sostenne lo sguardo a lungo e si avviò al piano di sopra. Non potei evitare di seguirla con lo sguardo.

—Che è successo?— domandò Jordan, ma prima che uno dei ragazzi potesse rispondere, io sfrecciai al piano di sopra.

Non me ne fregava un cazzo di quello che loro avrebbero potuto pensare, o delle mille domande che avrebbero potuto farmi più tardi.

Dovevo parlare con lei.

—Evelyn!— la chiamai, non mi importava neanche che i ragazzi ci sentissero.

Lei si voltò, bloccandosi con la mano sulla maniglia della porta della sua stanza.

—Cosa c'è?— chiese con voce spenta, non voleva parlarmi, era più che ovvio.

Neanche io avrei voluto se fossi stato in lei.

Ma non importava, io ero egoista.

—Cosa è successo?— le domandai, lei mi guardò confusa —me lo stai chiedendo così puoi prendere appunti e avere un quadro più completo della mia persona?— ribatté irritata.

Sospirai.

E pensare che io mi ero comportato in quel modo con lei per la maggior parte del tempo...

—No. Voglio sapere come stai tu— confessai, iniziando ad avvicinarmi leggermente —lo vuoi sapere per lo stesso motivo per cui mi hai preso quel set?— ribatté.

Stava cacciando un caratterino...

Potevo dire che mi piaceva.

—Possiamo dire di sì... A proposito del set, è un peccato che stia nel mio armadio a prendere polvere, dovrebbe essere nelle mani di una persona che sa come usarlo— le dissi, avvicinandomi ancora di più e osservando il suo viso angelico.

Perfetta.

—Non lo prenderò fino a quando non mi spiegherai perché lo hai fatto— ribatté lei, incrociando le braccia al petto e poggiandosi alla porta.

D'istinto, mi posizionai di fronte a lei, a pochi passi.

—Non tutte le cose hanno una spiegazione. Alcune succedono, o si fanno, e basta— le dissi, lei roteò gli occhi —tra queste cose, immagino che rientri anche il tuo odio per il mare— commentò.

Mi irrigidì e lei lo notò, infatti, la sua espressione, dal divertita passò alla leggera preoccupazione.

Si preoccupava per me?

—Non capisco che cosa ti possa essere successo di così traumatico da farti reagire così. Molto probabilmente è anche il motivo per il quale stavi avendo quell'incubo, non è così? E non me lo dirai mai. Mi fai regali, ora ti preoccupi per me, c'è attrazione tra noi, ma il nostro rapporto rimarrà sempre così instabile e indefinibile, ho ragione?— disse, quasi come se si stesse rassegnando.

Come se veramente ci avesse sperato.

—Non tutto deve essere definito.

Rise.

—Non tutte le cose hanno una spiegazione e non tutto deve essere definito. Quindi, bisogna solamente prendere le cose come vengono e viverci il momento senza porci troppe domande? È questo che mi stai dicendo?

Sorrisi. Non era affatto così quando l'avevo conosciuta all'inizio.

Ed ero più che certo che era un comportamento che stava sviluppando per proteggersi da me.

Ma battibeccare con lei in quel modo era più divertente.

Ed eccitante, cazzo. Anche troppo. Più di quanto avrebbe dovuto.

Sentivo il fuoco lungo tutto il corpo, speravo che io le facessi lo stesso effetto.

Il suo viso, poi, si contornò di nuovo di quell'espressione tormentata che ultimamente avevo iniziato a non sopportare.

Era molto più bella quando sorrideva, perché non riusciva a capirlo?

—Immagino che fino a quando io non mi aprirò con te, tu non lo farai con me— commentai —non capisco perché tu d'improvviso ci tenga così tanto— ribatté.

Credimi, vorrei capirlo anche io.

Odiavo quello che mi stava facendo.

Ma odiavo di più rendermi conto che ero disposto a fare un sacco di cose, in quel momento, per non farla sentire così tormentata.

Doveva solamente sorridere.

—Sebastián, finché non farai pace con la tua testa, non puoi pretendere nulla da me, capisci? Non ho le energie per sopportare anche i tuoi sbalzi d'umore— mi disse.

Strinsi le mani a pugno —ho le idee molto chiare, invece— mentii, non volevo avere a che fare con la confusione che lei mi aveva portato nella testa.

Aveva rovinato i miei equilibri. Quelli che mi avevano portato avanti per anni, ancor prima di finire in riformatorio.

Quelli che mi avevano aiutato a sopravvivere ai miei genitori.

—Ah sì? Allora perché stai cambiando nei miei confronti, Sebastián?— mi domandò ancora una volta Evelyn, avrei tanto voluto sapere la risposta a quella domanda.

Non ero ancora pronto ad affrontare il discorso.

Lei aveva della merda di cui occuparsi ed io la mia. Inoltre, non avevo interrotto le ricerche su di lei, solo che mi rendevo conto che avrei potuto scoprire molto di più parlando con lei che con un dannato investigatore.

Evelyn, notando che non avevo intenzione di risponderle, scosse la testa ed entrò nella stanza, senza aggiungere altro e chiudendomi la porta in faccia.

In quel momento, mi arrivò un messaggio, presi il cellulare dalla tasca dei jeans, mi pietrificai quando lessi il nome di mio padre:

"Io e tua madre siamo appena atterrato a Miami, figliolo. Sarebbe carino fare una riunione di famiglia, tu che dici?"

Lo rilessi più volte, rendendomi conto che era appena iniziato il mio Inferno personale.

My Darkest DesireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora