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SEBASTIÁN

La guardai mentre si sedeva di fianco a Jordan, su una delle sedie, casualmente di fronte a me, mentre aspettavamo il volo.

Sembrava stanca e prosciugata.

Jordan le offrì una brioche, che lei accettò con un sorriso, sorrideva sempre, a chiunque si mostrasse gentile nei suoi confronti, anche con i piccoli gesti.

Non mi guardava. Neanche una volta. Mi evitava come se fossi la morte, ma potevo capire le sue ragioni, sorrisi tra me e me, era divertente stuzzicarla.

—Ehi— Lenora si venne a sedere al mio fianco, mi voltai verso di lei —che?— le chiesi annoiato, lei sospirò e guardò Evelyn, poi guardò di nuovo me, attirò l'attenzione di Julián e ci guardò entrambi —evitate di fumare intorno ad Evelyn— ci avvertì, la guardai confuso —e perché mai? Alla signorina da fastidio il fumo e non ha il coraggio di venirlo a dire di persona?— chiesi io, irritato dalla maggior parte dei comportamenti di quella ragazzina.

Lenora sospirò —soffre d'asma, il fumo è l'ultima cosa della quale ha bisogno, Seb— mi spiegò, guardando sia me che Julián.

Spostai di nuovo gli occhi su Evelyn, che stava guardando qualcosa sul suo cellulare, mentre Sawyer e Jordan le parlavano.

Soffriva d'asma...

—Quindi si è sentita male? È per questo che s'è n'è scappata?— domandò Julián in conferma, Lenora gliela diede —su questa cosa non si scherza, davvero, evitate, ne va della sua salute— disse e poi si appoggiò sulla sedia. Wyn la raggiunse con Emerson, che le offrì un pacchetto di Oreo, la sua ragazza gli sorrise come se fosse una bambina la mattina di Natale e li aprì, mettendosi a mangiare.

Spostai lo sguardo sul mio migliore amico, l'unico che mi capiva davvero, mi guardò —che intenzioni hai con lei?— mi sussurrò, lanciando uno sguardo alla bionda seduta di fronte a me, sorrisi malizioso —che intenzioni credi che abbia, Julián?— domandai di rimando.

Non avevo nessuna intenzione con lei, sapevo solamente che nascondeva dei segreti e stuzzicarla (principalmente sulla sua famiglia) era un modo efficace per farla parlare. Non riusciva a tenermi testa, questa cosa giocava a mio favore, dovevo capire che cosa nascondesse, perché se voleva girare attorno ai miei amici, doveva essere completamente trasparente.

Non mi piaceva, Evelyn Robertson sembrava una finta buonista.

—Non credo che sia necessario creare drammi inutili, le farai del male prima o poi, perché non riesci ad essere gentile, ad un certo punto ci vai giù pesante e abbiamo già capito che lei se la prende facilmente— mi disse Julián, guardandola. Aveva ragione, le avrei fatto del male e lei sembrava parecchio permalosa, ma non mi sarei fermato.

—Non ci saranno drammi, non preoccuparti— dissi e accesi il mio cellulare, andai nella sezione dei messaggi, avevo contattato l'investigatore privato di mia madre e gli avevo chiesto di trovare quante più informazioni possibili su Evelyn e la sua famiglia, ma per il momento, mi aveva fornito solo alcune informazioni su Erin Robertson, la madre.

Informazioni che mi facevano ragionare molto su Evelyn come persona.

—I tuoi genitori saranno a Miami in questi giorni o sono ancora in Messico?— mi chiese poi, sospirai, certe volte Julián faceva fin troppe domande e mi innervosiva. Gli volevo bene, era come un fratello, avrei camminato nel fuoco per salvarlo se fosse stato necessario, ma avvolte avevo voglia di ucciderlo.

—La tua esistenza non viene migliorata da questa informazione, sai?— gli risposi e mi alzai, sentendo l'urgente necessità di allontanarmi da tutti.

Mi avvicinai alle vetrate dell'aeroporto e guardai fuori, con le mani nelle tasche dei jeans neri che indossavo.

Volevo semplicemente avere la possibilità di chiudermi nella mia stanza ed essere lasciato in pace per il resto della giornata.

I miei genitori sarebbero stati a Miami per un paio di giorni, non sapevo ancora quando precisamente, ma non era importante, qualunque fossero i giorni, io sarei stato lì comunque e non avevo voglia di incontrarli.

Ma loro invece sì.

Strinsi le mani a pugno e feci un respiro profondo. Odiavo quando le persone mi si avvicinavano solamente perché ero il figlio di mio padre, ex corridore automobilistico di fama mondiale, principalmente in Messico, il nostro paese d'origine.

Odiavo l'attenzione, gli occhi puntati addosso, odiavo le aspettative, odiavo tutto. Odiavo tutto così tanto che ero arrivato ad un punto in cui non me ne fregava più un cazzo e più mi chiedevano di fare una cosa, più io facevo l'esatto contrario.

Non provavo molte emozioni ormai, se non rabbia. Il mio cuore batteva, ero vivo, ma era come se non lo fossi. Ero diventato freddo, da un po' ormai.

Avvolte mi sentivo come se stessi annegando, come se faticassi a salire in superficie e a rimanere a galla.

Non sopportavo la notorietà che mi aveva trasmesso mio padre. Non sopportavo la freddezza che avevo ereditato da mia madre.

Mi voltai e notai Evelyn guardarmi, appena si accorse che l'avevo vista, distolse lo sguardo e si girò verso Sawyer, scossi la testa divertito. Non ce la faceva proprio a reggere il mio sguardo senza arrossire o imbarazzarsi.

Il nostro volo venne annunciato e i ragazzi si alzarono, pronti per partire. Mi avvicinai di nuovo a loro e presi la mia roba, una volta pronti ci muovemmo verso la pista, pronti per partire.
~~~

Non sapevo per quale motivo, ma io ed Evelyn eravamo finiti seduti vicini.

Ero salito per primo, mi ero seduto da una parte aspettandomi che Julián mi avrebbe seguito e invece, non capivo perché, Evelyn era capitata di fianco a me.

La sentivo rigida, aveva fatto ricadere i suoi capelli biondi davanti al viso e non aveva alzato la testa neanche una volta.

—Se ti spavento così tanto come mai sei seduta qui?— le sussurrai, volendo divertirmi un po'. La sentì sobbalzare e alzò i suoi occhi azzurri su di me.

—Non lo vedi che l'aereo è pieno? Non ho avuto molta scelta— rispose, riportando subito lo sguardo sulle sue mani.

—Perché non mi guardi?— le domandai, la vidi stringere le mani a pugno —e perché tu non mi lasci in pace? Io non sopporto te e tu non sopporti me, non dobbiamo per forza parlarci— ribatté infastidita.

La osservai, notando qualcosa in lei. Rabbia, esattamente come la mia. Voglia di urlare, di farsi vedere e di farsi valere, perché stanca di sentirsi messa da parte e non valorizzata abbastanza.

Percepivo la sua voglia di riscattarsi, anche quando ci eravamo scontrati in macchina, ma c'era qualcosa che la bloccava, forse perché pensava troppo agli altri e poco a sé stessa...

—Sei parecchio nervosa, o sbaglio?— domandai, lei mi guardò di nuovo —non puoi lasciarmi in pace?— disse lei irritata e vidi nei suoi occhi il fuoco, mentre le sue guance si coloravano di rosso.

Ci guardammo negli occhi per un po', mentre l'aereo decollava.

—Smettila di guardarmi— sibilò ancora, continuai a guardarla, lei sbuffò —ti odio— sbottò, poggiai la testa sulla mia mano chiusa a pugno, osservandola divertito.

—Mi odi perché non mi bevo la tua facciata da brava ragazza e so che lì sotto si nasconde un diavoletto che non vede l'ora di uscire allo scoperto?— le dissi, lei mi guardò ancora, la vidi deglutire, ma poi, senza aggiungere altro, si mise le cuffie e non mi guardò più per il resto del viaggio.

                              

My Darkest DesireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora