Il caso Igaway

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Salve a tutti, io sono il detective Jonathan K. Luks; tra poco andrò in pensione, nonostante io abbia poco più di trentacinque anni, e avrei piacere di raccontarvi di uno dei miei casi. Il mistero che vi propongo non è uno a caso, infatti si tratta del mio centesimo caso, ma soprattutto dell'unico caso in cui trovai la soluzione troppo tardi: il caso Igaway...

A quel tempo avevo circa venticinque anni ma avevo già allora ben novantanove misteri risolti alle spalle. Nel settembre del 2010 fui chiamato per risolvere un caso di omicidio. Arrivai alla tenuta di Philip J. Igaway alle undici e trenta di un soleggiato mattino, di quelli in cui si mischiano lo strascico di tepore dell'estate ormai finita e la freschezza pungente dell'autunno a malapena annunciato. Appena arrivato in prossimità della casa vidi una bambina che leggeva seduta su di una poltroncina; chiesi alla piccola dove potessi trovare un adulto e lei mi rispose che avrei fatto meglio ad entrare senza troppi complimenti e senza aspettare maggiordomi o servitù di sorta. La sua risposta mi sembrò strana, soprattutto perché dalla casa di una persona così ricca ed altolocata ci si aspettava almeno una cameriera o una governante. Nonostante i dubbi decisi di seguire il consiglio della bambina ed entrai; appena varcai la porta fui travolto da molteplici situazioni differenti: una donna che piangeva e che veniva consolata, senza troppi risultati, da una cameriera; un uomo vestito elegantemente che girava in tondo brontolando ed accarezzando i sottili e biondi baffetti; una donna sui cinquanta che stava seduta in una compostezza disarmante che intimava l'uomo di calmarsi e molte altre persone, probabilmente della servitù, che giravano frenetiche per la casa affrettandosi a lasciarla. Improvvisamente sentii una voce apatica alle mie spalle. "Che vi avevo detto? Sono tutti fuori di senno ormai." Dopo aver detto questa frase, inquietantemente seria e composta, salì le scale e scomparse nel disordine. Decisi di andare a parlare con la signora che sembrava meno scossa e più lucida degli altri; appena mi vide si alzò e, dopo aver sistemato la gonna color prugna, si mise dritta e si presentò. "Marie Igaway, voi dovete essere il detective che ha assoldato mio fratello..." Le parole di Marie avevano un ché di acido e non sembrava preoccupata di nasconderlo. "Ehm... Signora non mi sembrate molto felice di vedermi." La donna mi scrutò con i suoi occhi grigi e, a primo impatto, privi di empatia. "Signorina prego, non sono sposata. Dovete scusarmi detective ma fosse stato per me voi ora non sareste qui, ma James a insistito tanto perché un investitore ci venisse a far visita..." Intuii che James era l'uomo agitato che girava in tondo perché appena si rese conto della mia presenza si bloccò e mi venne incontro spostando bruscamente la signora Marie. "Ah detective Luks! Che onore, io sono James Reginald Igaway ed è un vero piacere conoscervi, anche se avrei preferito circostanze meno... Come dire... Misteriose." James Igaway era un uomo biondo sui trentacinque anni, indossava un completo sui toni del marrone e del grigio. Appena il signor Igaway smise di parlare Marie sbuffo e si allontanò. James mi spiegò che la sorella non credeva affatto ci fosse bisogno di indagare, perché era fermamente convinta che il colpevole fosse la badante del padre: la signorina Marta Di Vincenzo; una ragazza sui vent'anni di origini italiane, capelli castani come gli occhi e con lineamenti delicati. In generale proprio una bella ragazza, ma in quel momento era solo una ragazza disperata ed inconsolabile seduta su una sedia in quercia. James mi spiegò anche le dinamiche della morte della vittima: Philip Igaway era morto durante la notte per del veleno scambiato con le medicine ed iniettato direttamente nel sangue del pover'uomo. Quindi la teoria della signorina Igaway era più che logica, ma un buon detective non si ferma di certo alle apparenze. Andai a parlare con l'infermiera che nel frattempo si era un po' calmata ed aveva smesso di piangere. Appena mi vide la ragazza si mise composta e, dopo essersi asciugata le lacrime con un fazzoletto di seta, fece cenno alla cameriera che le stava vicino di allontanarsi. Notai che, pur essendo una semplice badante, la signorina Marta aveva sicuramente una posizione ben più agiata di un semplice membro della servitù. "Salve, vi avranno già parlato di me suppongo, spero che le malelingue non mi abbiano messo in cattiva luce davanti ai vostri occhi." Mi limitai a fare un gesto con la mano per rassicurarla sulla mia totale imparzialità, dopodiché mi decisi a fare le prime domande. "Signorina Di Vincenzo, se non siete troppo scossa gradirei porvi alcune domande." Non appena vidi che l'infermiera non si opponeva incominciai. "Dunque, in che rapporti eravate con il vostro datore di lavoro?" La ragazza non si scompose affatto per la domanda. "Oh ero in magnifici rapporti con Philip, è sempre stata la sua famiglia a darmi problemi." Notai subito che aveva chiamato il signor Igaway 'Philip', poco professionale ma non glielo feci notare. Piuttosto le chiesi che genere di problemi le causassero i familiari del defunto. "Beh a darmi problemi è soprattutto la signorina Marie, crede costantemente che io cerchi di impossessarmi dei soldi del padre. Poi c'è quella bambina, la nipote di Philip, all'apparenza è adorabile: ciuffetti biondi, vestitino lilla con un ficco dello stesso colore nei capelli... Ma è come se non provasse emozioni. Beh forse è anche normale, dopotutto è venuta a vivere con il nonno perché i genitori sono stati assassinati insieme al fratello neonato... Non posso neanche immaginare il terrore che deve aver provato quella povera piccina." Marta parlava con sentimenti autentici, provava davvero empatia per la nipote del defunto, così come provava un'autentico odio per la figlia di Philip Igaway. Dopo avermi salutato con un lieve inchino si congedò; decisi di andare al piano di sopra per cercare la bambina tanto chiacchierata dalle persone di casa Igaway. Trovai la piccola nella sua cameretta che sfogliava un libricino rosso; appena entrati dalla porta rosa e bianca la bambina si mise a fissarmi. Inizialmente tentai di instaurare un discorso con lei ma non mi degnò di una parola, ad un tratto le chiesi se avesse amici e finalmente parlò. "Ho un amico... È un po' più grande di me ma è molto simpatico. Pensa che è un mostro e si chiama John." Capii che stava parlando di un amico immaginario e tentai di convertire il discorso in qualcosa che mi potesse essere utile. Le chiesi se suo nonno avesse dei nemici ed ottenni una risposta che mi disorientò non poco. "Nonno non aveva nemici, ma molta gente aveva un buon motivo per volerlo morto. La zia Marie aveva litigato con lui la sera stessa della morte e anche lo zio James aveva avuto una mezza discussione con lui." Dopo aver ringraziato la bambina, che chissà perché non aveva voluto dirmi il suo nome, tornai nel salotto per parlare con James e Marie. Dopo che il signor Igaway si era versato un bicchiere di scotch si accomodò sul sofà. Gli chiesi a proposito del suo litigio con il defunto e vidi subito la calma abbandonarlo. Mi spiegò che lui gestiva da anni le compagnie del padre ma all'improvviso era stato congedato dall'incarico senza spiegazioni. Mi spiegò che quella sera era andato a chiedere spiegazioni ma senza ottenere risposte. Dopo essersi scusato innumerevoli volte per aver dimenticato di raccontarmi di questo, a detta sua, disdicevole particolare uscì dal salone e lasciò il posto alla sorella maggiore. Marie era decisamente meno accomodante di James; era seduto come suo modo con la schiena dritta e gli occhi imperscrutabili. Mi chiese accigliata cosa l'avessi chiamata a fare, sembrava quasi che quella donna fosse impossibilitata di sorridere. Dopo averle spiegato che avrei voluto più informazioni sul litigio che aveva avuto la sera dell'omicidio con la vittima, Marie, accennò quasi un sorriso. "Vede detective, ora fugherò ogni dubbio sul mio coinvolgimento in questa storia; quel giorno avevo appreso che mio padre era malato di cancro e che non aveva intenzione di curarsi. La nostra discussione infatti volgeva sul mio disaccordo con la sua avventata decisione. Ora le chiedo, perché mai avrei dovuto ucciderlo se fino a poche ore prima mi ero battuta a spada tratta per convincerlo a vivere? Se non avete altre domande io andrei." Congedai la signorina e mi appuntai le nuove informazioni sul mio taccuino. Il ragionamento di Marie era senza dubbio ragionevole, James poteva essere arrabbiato dopo essere stato liquidato in quel modo ma esclusi che potesse essere contrariato a tal punto da uccidere. E poi non sembrava abbastanza acuto da strutturare un piano così ben congegnato, senza contare che non avrebbe avuto motivo per chiamarmi. La servitù quella sera non era in casa quindi preferii non fare troppi interrogatori. Ero a corto di piste... Ero talmente disperato da considerare che il signor Igaway si fosse suicidato, ma la scartai subito. Proprio quando stavo perdendo le speranze la signorina Marie corse in soggiorno sventolano con aria vittoriosa una lettera. Tutti ci avvicinammo alla trepidante donna che appena ci vide tutti, perfino la nipote di era scomodata, ci mostrò una lettera firmata dalla signorina Di Vincenzo. Nella lettera in questione vi era scritto che se il signor Philip non dava la metà del suo patrimonio a lei, l'infermiera, l'avrebbe ucciso. Tutti, compreso me, si voltarono verso la ragazza che nel frattempo era rimasta pietrificata; appena si riprese dallo stupore, tentando di trattenere le lacrime, si sedette e cominciò a parlare. "Sentite, per me Philip non era solo il mio datore di lavoro, io l'amavo! Ma lui diceva che una ragazza giovane e bella come me avrebbe trovato senz'altro qualcuno di meglio. Ero delusa... Ma non puntavo ai suoi soldi! Mai gli avrei fatto intenzionalmente qualcosa che gli potesse nuocere! Non ho scritto io quella lettera, dovete credermi." La povera  ragazza scoppiò in lacrime. Decisi di lasciare quel clima di odio e salii nuovamente si piani superiori. Le parole della signorina Di Vincenzo mi rimbombavano nella mente: "Mai avrei fatto qualcosa che potesse nuocergli... Intenzionalmente. Entrai nella camera della bambina e la esplorai un poco; notai una botola sul soffitto che non avevo visto, decisi di vedere dove conduceva e mi trovai sopra ad una piccola torretta confinante con il tetto. Trovai quello che sembrava a tutti gli effetti il diario della piccola Igaway. Ne lessi le prime pagine:

12 agosto: oggi John mi è venuto a trovare e abbiamo riso tanto, lui è l'unico che mi capisce.

1 settembre: volevo fare lezioni di danza ma il nonno mi ha detto che non sono adatta per fare la ballerina. Lo odio perché crede sempre di avere la verità in pugno.

Man mano che leggevo le pagine si trasformavano da riflessioni di una dolce bambina a strani pensieri.

10 settembre: oggi John è venuto a vedere come stavo e il nonno ci ha visti. Ho paura che faccia qualcosa di stupido...

11 settembre: il nonno mi ha detto che non posso più vedere John perché non si fida di lui. Non sa l'intesa che c'è tra me e John, non capisce proprio. Non deve permettersi di darmi ordini.

13 settembre: quel detective mi infastidisce e John è d'accordo con me, eliminarlo sarebbe sospetto ma depistarlo sarà facile. So imitare la scrittura di Marta e posso tranquillamente fare cadere la colpa su di lei.

Sconvolto scesi le scalette e tornai nel salone, non sapevo cosa avrei fatto ma sicuramente non ero pronto a ciò che avrei trovato. I fratelli Igaway erano spariti esattamente come l'infermiera. Seduta su una poltroncina di velluto rosso stava la bambina con una faccia che era tra lo stupore e l'apatia. "Dove sono andati i tuoi parenti?" La piccola fece una smorfia. "In realtà non lo so... La zia ha cominciato a dare di matto contro Marta, lo zio è corso fuori insieme a loro." Ero confuso, anzi più che confuso, ma non ebbi il tempo per pensare perché poco dopo bussarono alla porta. Difronte a me si palesò un ragazzo con i capelli corvini lisci e ben curati, aveva un abito elegante e un paio di anelli dall'aria costosa. "Salve, il mio nome è Black Dalton. Sono qui per Daisy Igaway, starà bene ve lo prometto." Il ragazzo aveva un ordine firmato da un giudice, quindi mi limitai a vedere la piccola Daisy e il suo accompagnatore uscire dalla casa e scomparire nella nebbia tipica delle mattinate inglesi.

Dopo mesi arrivai ad una conclusione: la signorina Di Vincenzo quel giorno aveva iniettato normalmente le medicine al signor Igaway, ma qualcuno aveva intenzionalmente scambiato il contenuto della boccetta con l'insulina.Purtroppo ancora oggi non ho idea di chi sia "quel qualcuno".
Non seppi mai più niente su Daisy o sul misterioso Black Dalton, ma circa due anni dopo quel fatidico weekend trascorso a casa Igaway,bfui costretto a tornarci per una notizia che avrei preferito ignorare: nella cantina della casa erano stati rinvenuti i cadaveri di Marta Di Vincenzo e di Marie Igaway. Ancora oggi non ho idea di chi avesse ucciso effettivamente gli Igaway, né chi fosse quel Signor Dalton... Per sapere tutto questo avrei dovuto sapere cose che evidentemente non so. Beh ora, prima che io vada definitivamente in prigione, mi occuperò del mio ultimo caso: Jason Tharron... Chissà, forse il caso Igaway non è archiviato definitivamente...

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