16. "Verità"

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Raccontare ogni maledetta cosa.

Le due altalene ciondolavano piano, mosse dal loro peso.

Si era seduto lì stancamente ed Adrian aveva fatto lo stesso, ma sistemandosi dal lato opposto, in modo da poterlo guardare in faccia.

Raccontare.

Ogni.

Maledetta.

Cosa.

Non sapeva se sarebbe stato solo straziante o se in fondo gli avrebbe fatto bene, ma per la prima volta sentiva un feroce bisogno di dire la verità, e voleva dirla a lui.

Cominciare sarebbe stato l'ostacolo più duro, perciò partì dalla fine: dalla cosa più difficile, da quel dolore atroce che non avrebbe mai addomesticato.

"Mio padre, Fidòr Dolbruk, è morto nell'esplosione della galleria sotto il monte Nòdoask. Ma non è stato una vittima, lui era l'attentatore. Una volta ti dissi che chi è nato a Mòrask non può non essere coinvolto nel secessionismo...ma la storia della mia famiglia va oltre il semplice coinvolgimento: io sono cresciuto immerso nella retorica separatista, la politica è stata il perno della mia vita, passivamente prima e attivamente poi. Fin da piccolo ho vissuto a contatto con i più accesi dissidenti darbrandesi, che a volte si incontravano a casa nostra, nel nostro seminterrato, per cospirare di cose che, nonostante fossi appena un bambino, iniziavo già a capire. Scivolavano in casa mia di notte con il silenzio dei fantasmi, attratti dal carisma di mio padre come insetti dalla luce, e prima dell'alba sparivano. È stato così che ho imparato che per essere al sicuro bisogna essere capaci di non fare rumore, di camminare senza peso, di diventare invisibili... Eppure, già allora, io desideravo, invece, che qualcuno mi vedesse. Che mio padre e mia madre mi vedessero. Ma non poteva succedere, perché per mio padre la politica era la vita intera, annebbiava tutto il resto, e per mia madre invece la vita era lui, lui con la sua luce abbagliante e la sua passione che spazzavano via ogni cosa. Le piccole quotidianità, la scuola, gli abiti puliti, le mie amicizie, i successi e gli insuccessi, erano dettagli poco importanti di cui mi occupavo io: li gestivo per me e per Thièl, mio fratello minore, l'uomo che hai visto poco fa. In seguito, ho avuto questo ruolo anche per gli altri tre, che sono nati quando ero già un adolescente e quando ormai avevo ben chiari sia gli ideali di mio padre sia i miei. Credo sia stato proprio grazie agli occhi dei miei fratelli che mi sono reso conto di quanto in famiglia il vero carisma non fosse quello di mio padre, ma il mio. Ed io me ne sono servito per definire me stesso in opposizione a tutto quello che di lui detestavo: dove lui gridava, io abbassavo la voce, dove lui alzava le mani, io sorridevo, dove lui incitava, io argomentavo, dove lui divideva io conciliavo, e se il personaggio del soave Dolbruk è stato mai una costruzione, quella costruzione non è nata con Orizzonte, è nata lì. A quindici anni ho cominciato a partecipare alle riunioni clandestine di FDL, il Fronte per il Dar-breuk Libero, il più attivo e numeroso tra i tanti gruppi più o meno secessionisti che pullulano nel mio paese. Mio padre era uno dei capi della cellula di Mòrask, e la posizione sua e dei suoi compagni è sempre stata piuttosto radicale: il governo centrale era a tutto tondo un nemico, e la resistenza ad ogni costo era l'unica strada percorribile. Ho contribuito a numerose azioni di sabotaggio, alcune delle quali forse ricordi anche tu perché hanno avuto un qualche impatto mediatico: il taglio della corrente durante l'inaugurazione della nuova centrale elettrica, il blocco del passo del Sùrbruk, il furto dei materiali da costruzione durante la realizzazione della tangenziale di Mòrask. Ho partecipato a tante manifestazioni che sono degenerate in scontri armati, mi sono trovato più volte a scappare dalla polizia, ho subito pestaggi ben peggiori del paio di pugni che mi ha dato oggi mio fratello: le autorità non sono mai tenere con chi protesta e non c'è molta differenza se davanti a loro hanno uomini adulti con le spalle larghe o ragazzini spiantati, il che non aiuta il partito della conciliazione... non è facile scendere a compromessi con chi ti ha spaccato il naso, a volte senza che tu avessi fatto proprio niente. Dunque, quando sento frasi come i separatisti (o peggio, i darbrandesi, in blocco) sono tutti violenti non ce la faccio a non essere almeno un po' di parte. Lo sapevi che i due terzi delle forze dell'ordine del Dàrbrand non è costituito da gente nata nel Dàrbrand? C'è una ragione anche per questo, chi lo nega è ipocrita. Ma tu sai anche che non credo nello scontro aperto, né nella violenza, né, nemmeno, nella dissidenza passiva. La lotta politica come la praticava mio padre per me era solo l'espressione di una frustrazione: magari ci faceva sentire un popolo, magari rafforzava un senso di identità o forse permetteva a qualcuno di vendicarsi per qualche ingiustizia subita, ma poi, a conti fatti, produceva una sola cosa, odio che si somma all'odio, conflitti esacerbati senza fine, e nessuna, nessuna possibilità di cambiamento. Alle scuole superiori, come membro del comitato studentesco, iniziai a occuparmi di piccoli conflitti interni all'istituto: non me ne rendevo quasi conto, ma quando si trattava di risolvere un problema, studenti ed insegnanti venivano a cercare me. La capacità di essere visto che mi aveva reso il punto di riferimento di tutti i miei fratelli diventò la mia caratteristica peculiare, e la mia arma. Cominciai ad entrare sempre di più in contrasto con i metodi di mio padre e con l'impronta che aveva dato a FDL, e non so bene come mai, forse perché non è vero che la politica è rabbia, forse perché la gentilezza a volte paga, o forse perché molti, negli anni, si erano stufati di reiterate battaglie inutili, ma in tanti, in troppi cominciarono a vedere in me un leader. Mio padre credo mi odiasse e al tempo stesso mi stimasse: ero diventato esattamente quello che desiderava da me e dicevo esattamente le cose che non desiderava. Litigavamo ogni santo giorno, soprattutto quando – e tu sai quanto purtroppo sia frequente – Mòrask veniva colpita da un atto terroristico: lui giustificava sempre, io non giustificavo mai; lui puntava il dito sulle motivazioni, io sulle conseguenze; lui parlava di eroi ed io di familiari delle vittime. Abbiamo sempre avuto una visione diversa del dolore e della paura: per lui erano sentimenti che potevano essere manipolati per fini politici, per me erano solo sentimenti... come dire... sbagliati. Da cui le persone, qualunque fosse il loro lato della barricata, andavano protette. Litigavamo, e più lo vedevo intraprendere una deriva che portava alla violenza, più cercavo di ingegnarmi nello sfoderare idee sorprendenti, e strappargli seguaci portandoli dalla mia parte. Mio fratello Thièl stava sospeso tra noi: amava mio padre molto più di quanto lo amassi io... ma credo amasse me un po' più di quanto amava lui. Devo avergli fatto passare anni davvero difficili, povero Thièl, sempre tirato in mezzo, sempre pronto a difendermi a viso aperto per poi biasimarmi in privato, ma sempre al mio fianco in ogni iniziativa che prendessi, anche la più idiota. E poi le cose sono precipitate e io..."

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