10. "No"

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Noam conosceva ogni stanza di quel rifugio, avrebbe potuto chiamare per nome una ad una persino le pietre a vista: vent'anni di vacanze con la sua famiglia, vent'anni di gite fuori porta, vent'anni di suo padre che annunciava "E oggi, per premio, tutti a cena da Vòrkne!". Vent'anni, appunto, di cene da Vòrkne. Cene in cui suo padre, per qualche ora, smetteva di parlare di politica per godersi la compagnia e i liquori. Cene in cui, una volta diventato adulto, era stato lui a parlare di politica, coi suoi fratelli e con chiunque altro fosse presente, strappando definitivamente al padre quella sana pausa della mente. Cominciando a sbagliare.

Vòrkne lo aveva abbracciato con un calore che aveva stemperato le sue ansie; non poteva essere certo di quell'accoglienza, quando aveva scelto di fermarsi lì, anche se un po' lo aveva sperato. Vòrkne lo aveva fatto sentire come una persona che torna a casa, non come una spia del governo infame che viene a fare l'imbonitore.

Però non riusciva a dormire.

Innanzi tutto per i brividi, che gli percorrevano la schiena nonostante la doccia calda e il riscaldamento acceso per l'occasione: prendersi tutta quella pioggia era stata una mossa veramente cretina, e si sentiva in colpa nei confronti di Adrian che aveva fatto le spese, ancora una volta, di uno dei suoi colpi di testa.

Ma in quell'auto stava soffocando. Le montagne lo stavano soffocando.

La lieve fluorescenza dell'orologio appoggiato sul comodino indicava le tre di notte, e lui si stava ancora girando nel letto. Decise di alzarsi e andare in cucina a prepararsi qualcosa di caldo, era abituato a muoversi in quel luogo come a casa propria, Vòrkne non si sarebbe offeso.

Invece Vòrkne era sveglio, seduto sul divano con una luce da lettura e un bicchiere di vino in mano, gli occhiali a mezza luna calati sul naso e uno dei grossi gatti di casa acciambellato a fianco.

"Il piccolo Noam non dormiva perché non aveva mai sonno... Il Noam adulto perché?"

Lo disse nella loro lingua, che si era trattenuto, per rispetto verso Adrian, dall'usare durante la cena. Vòrkne detestava dover parlare in lingua Vàrnava, ma ci era tenuto per lavoro: avendo aperto un'attività sul versante ovest dei Mor-Darèuk, metà del suo turismo veniva dall'alta valle del Norav o dal basso Tàlvrand. Quando i suoi ospiti, invece, salivano da Mòrask, o comunque dall'altopiano, si poteva permettere – diceva – di parlare come mangiava, e (questo quando voleva essere poetico) di parlare in una lingua che dava corpo alle cose, non come quella cantilena troppo morbida e piena di vocali che sapeva di palude.

Era con pensieri così che avrebbe dovuto confrontarsi, e quello di Vòrkne era solo uno sbeffeggio poco ostile: il meglio, non il peggio, di ciò che avrebbe incontrato.

Perché Noam amava la lingua dar-breuk, ma amava anche le vocali larghe e dolci del mare.

Noam amava Mòrask, ma amava anche, per scelta e profondamente, Noravàl.

"Anche il Noam adulto spesso non ha sonno perché vuole fare troppe cose, Vòrkne. Ma non è questo il caso."

"E allora siediti qua e raccontami che caso è questo."

Si alzò, indicandogli di sedere al suo posto, e scomparve per un attimo in corridoio: tornò con una bottiglia che Noam conosceva bene, e ne versò subito due generosi bicchieri.

"Quest'annata è stata ottima per l'artemisia."

Noam annusò il liquore e si sentì pizzicare il naso. Chissà quanti gradi aveva quella roba! Ovviamente, né lui né lo stesso Vòrkne lo avrebbero mai saputo, dato che raccogliere (e distillare, principalmente) l'artemisia dei Mor-dareuk era diventato illegale da quando era stata dichiarata specie protetta. I darbrandesi di alta montagna imputavano anche questi provvedimenti alla tirannia del governo e nessuno si era mai davvero informato sulla problematica ambientale: si è sempre fatto così, con che diritto ci viene vietato? Erano questioni piccole, ma raccontavano una storia.

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