L'attentato al traforo del Nòdoask.
Adrian, come di certo molti altri, ricordava quella storia più che per la tragedia (quattro morti e altrettanti feriti: niente di particolarmente epico rispetto a eventi simili nel Dàrbrand) quanto per il dibattito mediatico che aveva sollevato. Per settimane non si era parlato d'altro; all'improvviso, dalla sera alla mattina, un individuo su due era diventato un esperto di politica desideroso di elargire il proprio parere non richiesto: chi dava la colpa al movimento separatista, chi sollevava questioni ecologiche, chi riteneva che i darbrandesi non avessero alcuna responsabilità e che dietro l'attacco terroristico si nascondesse una questione di appalti, chi, più semplicemente, si riempiva la bocca di slogan facili contro una minoranza linguistica che proprio "non voleva integrarsi". Adrian lo trovava irritante, per questo aveva smesso da anni di accendere la tv o di leggere i giornali: l'umanità che commentava se stessa era sgradevole, prevedibile, ripetitiva e persino coloro che possedevano una reale preparazione su questo o quell'argomento di fronte a eventi drammatici cedevano alla retorica più trita. Quel senso di compassione facile mescolata all'altrettanto facile puntare il dito per il semplice gusto di gridare più degli altri gli dava sui nervi: gli lasciava un senso di appiccicaticcio, come d'umidità... e così tutt'oggi, della storia del Nòdoask ricordava solamente quella fastidiosa impressione.
Ma poter ricordare solo questo era un privilegio, lo sapeva: il privilegio di non vivere "nel paese dove muore un sindaco all'anno" (Un po' meno di uno all'anno, in vero – aveva detto Noam Dolbruk con sfacciato candore). Lui invece ci era nato, e suo padre era morto nell'attentato del traforo. Davvero questo evento non interferiva col suo lavoro? Noam non si era espresso in merito, anzi, non si era espresso proprio: non aveva commentato, né confermato, né smentito. E Adrian non voleva "farsi gli affari degli altri", ma conosceva gli esseri umani abbastanza bene da sapere che ci sono cose di cui non si è in grado di parlare.
Così aveva dovuto informarsi.
La "questione Dàrbrand" era una di quelle situazioni geopolitiche difficili da sbrogliare: impossibili da comprendere, secondo Adrian, se non guardate a decenni di distanza, con l'occhio di uno storico e non di un contemporaneo. Regione rimasta a lungo isolata per via del contesto geografico, aveva un'identità culturale e linguistica a se stante e solo nell'ultimo secolo era entrata a far parte della Repubblica del Kònorrand, con una decisione per lo più unilaterale. Ma una parte dei darbrandesi era stata in principio possibilista, nella speranza che l'annessione desse il via ad una rinascita economica.
Le cose erano andate diversamente e un ventennio dopo la regione si era autoproclamata autonoma con un referendum il cui risultato non era mai stato riconosciuto dal governo centrale. Al contrario. La politica della Repubblica era sempre stata reticente alle reiterate richieste di ottenere parziali forme di indipendenza, ed ogni proposta di legge in questa direzione aveva finito con l'essere affossata attraverso una strategia ormai diventata peculiare: rimandare sempre la questione "a tempi migliori". Ma i tempi migliori non erano arrivati, il terrorismo separatista si.
Il traforo del Nòdoask era stata una questione molto discussa fin dalla presentazione del progetto: la galleria avrebbe consentito il passaggio di autostrada e ferrovia attraverso i monti Mor-Darèuk e quindi un collegamento diretto e veloce non solo tra Mòrask e Noravàl, ma anche tra la capitale e l'alta valle del Norav, nonché i valichi di confine. Una "grande opera" ad alto valore simbolico, che aveva acuito i contrasti già in corso e il dibattito all'interno della comunità darbrandese stessa: indubbiamente il passaggio dell'alta velocità avrebbe portato respiro ad un'area del paese svantaggiata, dall'altra poteva configurarsi come un'ulteriore forma di sfruttamento, oltre ad apparire ai separatisti "duri e puri" un sistema per affossare il senso di identità di un popolo.
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"Orizzonte"
General FictionUna città immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diversa da una qualunque città europea oggi. Un giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma anche di...