Adrian si era addormentato.
Noam pensò che quella era la seconda volta, in pochi giorni, che lo guardava dormire, e che questa era una sensazione strana: aveva vegliato più volte su ciascuno dei suoi fratelli, da bambino aveva ascoltato in segreto le conversazioni di suo padre e i suoi compagni mentre tutti lo credevano a letto, era abituato ad essere quello vigile, - "il piccolo Noam che non dorme", diceva Vòrkne – ma con Adrian non era mai capitato: Adrian non aveva mai ceduto il controllo prima, era sempre stato lui quello che rimaneva con gli occhi aperti.
Si sentiva forte: era sconvolto, il mondo gli tremava sotto i piedi, non sapeva cosa gli sarebbe accaduto domani e dopodomani, cosa avrebbe fatto Lant, dove sarebbe andato a finire il suo progetto, come sarebbe cambiata la sua vita dopo essere stato ad un soffio dal perderla, eppure in quel momento gli sembrava che tutto andasse bene.
La fiducia di Adrian gli avrebbe permesso di fare qualsiasi cosa.
Non aveva più paura.
Si stava facendo sera, Noam sentì dei passi nel corridoio; il silenzio era così assoluto che ogni piccolo suono arrivava amplificato e al tempo stesso dilatato. Riconoscere delle voci, e poi delle parole, fu quasi disturbante, come un risveglio brusco da un sonno ovattato.
"Come sarebbe a dire che non ho l'autorizzazione? Ma lo sa chi sono io?"
Un attimo dopo, un poliziotto stava scortando Zjam Karkoviy fino alla stanza di Adrian.
Noam si alzò stancamente dalla sedia e gli andò incontro sulla porta, sfoderando il suo sorriso più rassicurante: si aspettava di dover sdrammatizzare, e si sentiva anche in grado di farlo, invece Zjam lo osservò per un attimo con sguardo incredulo e grato e poi lo abbracciò.
"Noam!" esclamò, incurante della presenza dei poliziotti e del giovane medico, che era rimasto qualche passo indietro "Dio, Noam, Noam, perdonami!"
"Sto bene, Zjam."
Non sapeva cos'altro dire, gli pareva che gli fosse sfuggito un passaggio.
Zjam fece un passo indietro, gli tenne le mani sulle spalle, continuò a guardarlo come se la sua riposta avesse bisogno di una conferma.
"Sì, grazie a Dio. Se ti fosse accaduto qualcosa, io... "
Adesso davvero non capiva.
Era fin troppo sensibile alle manifestazioni di affetto e si rendeva conto che questo offuscava la sua capacità di leggere tra le righe. Kàrkoviy però non aveva intenzione di tenergli nascosto qualcosa, al contrario, non appena riuscì a mettere da parte l'emozione e recuperare il suo abituale contegno placido e sicuro, chiese ed ottenne di parlargli in privato, a porte chiuse e con la sorveglianza a debita distanza.
"È colpa mia." disse, tutto d'un fiato, con l'espressione rammaricata di un attimo prima "Non riesco a non pensare che sia solo colpa mia."
Noam provò a scherzare.
"A meno che tu non sia un bombarolo a mia insaputa, immagino di no."
"Non hai proprio capito." fece lui, scuotendo la testa, mortificato "Sono stato io a far mettere in giro quelle minacce, Noam. Doveva essere una mossa pubblicitaria. Doveva servire solo ad attirare l'attenzione. E invece... Invece... "
Zjam abbassò la testa e non aggiunse altro. Per la prima volta a Noam sembrò di vederlo in tutta la sua disperata piccolezza: un uomo arrivato al capolinea, che non vuole sparire nel nulla, che sogna di lasciare una grande eredità e che pure sa benissimo che quello che lascerà sarà solo il ricordo sbiadito di un pacifico e monotono politico, incapace di grandi slanci, incapace di grandi cambiamenti, incapace di grandezza.

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"Orizzonte"
Ficción GeneralUna città immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diversa da una qualunque città europea oggi. Un giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma anche di...