Il tempo era cambiato rapidamente. Da quando la strada si era incuneata tra le montagne, il cielo si era scurito, e non solo per l'ora tarda: nuvole spesse si erano addensate sui picchi e scendevano sempre più basse, borbottando roche, man mano che il loro viaggio proseguiva.
Finalmente scoppiò il temporale.
Per Adrian fu come un sollievo: quel cielo denso, rumoroso, gli aveva dato una fastidiosa sensazione di oppressione; pareva la testa di un grosso dio che non riusciva a sfogare un dolore. Ora qualcosa si era strappato, e il dolore si rovesciava fuori, a secchiate, sulla strada e sui vetri dell'auto, ma nel cadere giù già non era più dolore, era piuttosto rabbia e energia: aveva qualcosa di possente... non aveva mai visto piovere così.
Ad Adrian, che non aveva mai oltrepassato i Mor-Darèuk e che di Mòrask possedeva solo vaghe immagini trasmesse in televisione, quel paesaggio sembrava voler confermare tutti gli stereotipi del Dàrbrand: durezza, violenza, vigore. Ma Noam non aveva proprio nessuna di quelle caratteristiche: morbidezza al posto dell'asprezza, dolcezza contro aggressività, orizzonti anziché alte pareti di roccia.
"Certo che con un tempo così non si vede un accidente!" commentò, senza sgomento, aumentando la velocità dei tergicristalli.
Da un paio d'ore il suo compagno di viaggio si era fatto strano: più silenzioso del solito, ma soprattutto fisicamente teso, come se il sedile fosse diventato scomodo e l'abitacolo troppo stretto.
"Allora fermiamoci un po'." disse "Accostiamo di lato e riposiamoci."
"Siamo persi in mezzo al niente, dove vuole fermarsi?"
Lui accennò con la testa fuori dai finestrini, lavati prepotentemente dallo scroscio.
"Dai, accosta un attimo, non mi sento molto bene."
Adrian rallentò, uscì dalla carreggiata e spense il motore nello sterrato che costeggiava una distesa di prato ripida, che risaliva verso le pendici dei monti.
A macchina ferma, il rumore della pioggia sui vetri sembrava il chiacchiericcio di un ruscello che scorre.
"Durerà per poco ancora. La primavera, quando vuole sostituirsi all'inverno, quassù fa così. Noi diciamo che il cielo si lava. Quando la pioggia finisce si vedono le stelle, non c'è più l'ombra di una nuvola, e tutto è così limpido che sono le notti giuste per dormire all'aperto."
"Dormire all'aperto... " fece eco Adrian perplesso "In marzo, in cima ai monti."
"Dormire all'aperto. In marzo. In cima ai monti." gli fece il verso Noam, con nella voce un'allegria triste "Capisci perché vi chiamiamo gambemolli?"
"Lo posso anche capire. Ma per il momento sta ancora piovendo."
"Smetterà." Noam si massaggiò la fronte con le mani, poi alzò la testa verso il vetro, dove l'acqua scivolava, effettivamente, un poco più lenta "Sta già smettendo, guarda..."
Con naturalezza, e prima che Adrian facesse in tempo a realizzare quali fossero le sue intenzioni, aprì lo sportello, uscì, e in due lunghi passi superò il basso fossato che divideva lo sterrato dal prato.
"Porca puttana! Che le prende?"
Lo rincorse d'istinto, e lo afferrò per il polso come se si trattasse di acciuffare un bambino ribelle o, davvero, di strappare qualcuno a un pericolo mortale.
"Dio!" esclamò Noam, la testa rivolta per aria, mentre la pioggia gli lavava il viso "Perché non può essere tutto così semplice?"
"Lei è matto! Mi sto facendo la doccia!"
Stringeva il suo il braccio e non capiva perché non riusciva a far forza; non capiva perché non lo lasciasse lì, a lavarsi da capo a piedi, razza di deficiente; non capiva perché quell'uomo così irreale riuscisse a coinvolgerlo in pagliacciate simili senza che lui finisse per vergognarsi di se stesso, o di entrambi; non capiva perché si sentiva la gola stretta, il petto soffocato.

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"Orizzonte"
General FictionUna città immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diversa da una qualunque città europea oggi. Un giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma anche di...