27. "Perdono"

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Capitolo 27 - "Perdono"

Chiedere perdono.

A chi?

Non lo sapeva, ma sapeva che l'uomo che stava seduto al suo fianco era la ragione per cui desiderava farlo.

Aveva avuto paura: una paura feroce e profonda, un tipo di paura che non pensava di essere capace di provare. Le sue emozioni, positive o negative che fossero, non erano mai state abbastanza forti da fare male. Né, in realtà, abbastanza da fare bene. Le aveva addormentate vent'anni prima.

Noam aveva visto giusto: lui aveva smesso di respirare, lo aveva fatto per sentire meno dolore, per addomesticare il cuore e insegnargli ad obbedire. Per sopravvivere.

Ma mentre correva in macchina temendo di non fare in tempo, mentre immaginava quello che sarebbe accaduto a Noam se non avesse fatto in tempo, Adrian si era trovato tutto ad un tratto a sentire fin troppo bene ogni cosa.

A pensare di essere disposto a qualsiasi cosa, pur di salvare la vita del suo unico amico.

Ci era riuscito, e adesso stava respirando.

Forse era l'effetto dell'anestesia o forse il colpo alla testa, ma gli sembrava di non essere mai stato così in pace.

Avrebbe dovuto fare mente locale, rimettere insieme i pezzi, capire cosa fosse successo davvero e progettare la prossima mossa, invece la sua mente era vuota e ariosa, il cuore era leggero, leggeri anche i pensieri, era assolutamente e limpidamente sereno.

Perdono a chi.

A Noam, per non essere la brava persona che meritava di avere a fianco.

A se stesso, per aver pensato di non meritare di esserci, e invece l'esserci stato aveva fatto la differenza.

"Proteggere te è bello e facile" disse "È un istinto, è un desiderio. Mi rende felice farlo non solo perché siamo amici, ma anche perché vorrei essere come te. Avrei voluto essere te, tanti anni fa."

Aveva davvero voglia di raccontare quella storia?

Di sprofondare ancora?

Noam aveva gli occhi stanchi e fissava con espressione colpevole il cerotto sulla sua tempia. Sembrava aver perso la sua capacità di riempire il silenzio di parole vaghe, era scosso e spaventato: doveva essere stato terribile per lui, rivivere il momento peggiore della sua vita.

Voleva raccontargli il momento peggiore della propria?

Sì, a lui sì, perché non si affronta la morte per una persona con cui non si è disposti a condividere il momento peggiore della propria vita. Perché Noam non doveva pensare mai più di non avere la sua fiducia.

"Hai ragione tu: c'è stato un giorno in cui ho smesso di respirare" cominciò "e forse questo è il momento più fuori luogo per mettere in piazza i fatti miei... ma vorrei che tu sapessi perché è successo."

Noam si strofinò gli occhi col dorso della mano: si assestò sulla sedia e sforzò un esile sorriso.

"Ventiquattro ore di osservazione:" disse "abbiamo un sacco di tempo."

Come accidenti faceva a sorridere in quel modo, nonostante qualcuno avesse appena cercato di ammazzarlo? Soave Dolbruk sempre, anche dopo che gli era esplosa accanto una bomba.

"Quando respiriamo" iniziò Adrian "c'è un momento, tra l'inspirazione e l'espirazione, in cui anche i polmoni si fermano. In quell'istante, tecnicamente non stiamo respirando, ma siamo vivi. Io mi sono fermato in quello spazio lì, ed è accaduto il giorno in cui un ragazzo è morto per colpa mia."

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