25. "Trappola"

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"Alla salute delle tane!" disse Noam, e ogni cosa andò avanti da sola, come se non potesse andare in altro modo che così.

Come se fosse già tutto previsto.

Quella volta aveva progettato tutto, quella volta sì che era stato capace di pianificare: e lui non aveva intuito un accidente.

"Alla salute delle tane!"... e poi gli bastarono poche altre frasi – ma pronunciate in quel modo così autentico, leggero e sicuro insieme, rispettoso e sfacciato insieme – per trasformare il K-32 nel palcoscenico del comizio più strepitoso a cui Adrian avesse mai assistito.

Noam parlava con la sua voce morbida, che non saliva mai di tono ma che era dappertutto, ed in una manciata di minuti era diventato una presenza non ignorabile, catturando l'attenzione del locale intero. Le persone gli si raggruppavano intorno, gli facevano domande e lui rispondeva con la solita sorridente semplicità, senza orpelli, senza compiacimento, senza nessuna paura nel dire "non lo so" o "non posso". Era completamente alieno alla retorica delle promesse e alle posture studiate: prima seduto sullo sgabello addossato al bancone, poi, per poter essere sentito meglio, seduto con le gambe penzoloni sul bordo di un tavolo, visibilmente a proprio agio e visibilmente felice di essere lì, parlava con assoluta spontaneità sia delle cose che aveva fatto che di quelle che non era riuscito a fare, dei suoi progetti ed anche, senza ombra di vergogna, di ciò che gli faceva paura.

Il popolo della Tana lo ascoltava rapito: l'ex-leader di FDL che ancora incantava la gente di Mòrask, l'uomo che che faceva paura a Kàmil Òraviy e che Zjam Karkoviy era disposto ad assecondare pur di averlo dalla propria parte, il ragazzo gentile e un po' confuso che approdava a Noravàl da immigrato e ci fondava il movimento più creativo di tutti i tempi.

Era magico, era travolgente, era assoluto.

Nessun Kàrkoviy, Òraviy o Thièl sulla terra aveva alcuna possibilità di misurarsi con lui.

La serata scivolò con naturalezza dalla politica alla convivialità, due chiacchiere, due bicchieri di troppo, qualche canzone: la Mòrask sotterranea non era un pericolo, per Noam, era un alleato.

"Perché non andiamo in un'altra tana?" fece un ragazzotto che doveva essere un universitario ed aveva sommerso Noam di domande prendendo persino appunti "Ti facciamo parlare col nostro collettivo!"

Si davano già tutti del tu.

Si chiamavano per nome.

"Volentieri!" fece Noam "La propaganda è propaganda!"

E via da un locale all'altro, per tutta la notte, in situazioni sempre più affollate, più caotiche e più alticce.

Alle cinque del mattino, Adrian era l'unico rimasto lucido, l'unico che non si era lasciato sfuggire neppure un dettaglio e l'unico testimone attendibile degli eventi di una nottata che avrebbe reso superfluo ed insipido qualsiasi altro discorso.

Noam era un maledetto genio: non solo aveva trasformato il suo viaggio a Mòrask da una vuota comparsata ad un piano di auto promozione ad effetto, ma, mettendosi all'apparenza in pericolo, si era invece costruito una rete di sicurezza. Nessuno, l'indomani, - transenne o non transenne – lo avrebbe guardato come una marionetta del Governo: Adrian non poteva che prendere atto e ammettere che era stato un passo avanti a tutti.

***

"Pensi di dormire un paio di ore o nel tuo piano diabolico c'è il presentarti a parlare in pubblico con quella faccia?"

Ma quale faccia...! Noam era radioso.

"Devo ancora smaltire la sovra-eccitazione," rispose "ma tu, invece, è bene che riposi un po': non sarò io a dover avere cento occhi domattina." Guardò l'orologio "Emh, stamattina!"

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