Capitolo 3 - Michael

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Resto immobile di fronte al tizio per un tempo che mi sembra infinito, fin quando avanza verso di me costringendomi a ruotare su me stessa e indietreggiare verso l'angolo della terrazza per mantenere la mia distanza di sicurezza.

Ha almeno trent'anni, se non di più.

Il suo aspetto non rispecchia i canoni standard di bellezza, ma l'insieme lo rende interessante: la postura perfetta, l'abbigliamento curato, la sicurezza dello sguardo.

Si passa una mano tra i capelli castano chiaro, quasi biondo, corti e pettinati con cura, ha lineamenti regolari, rasato.

Indossa un pantalone classico blu e una camicia bianca perfettamente stirata, con la fronte gli arrivo alla base del collo.

Lui cerca di incrociare i suoi occhi marroni con i miei, ma io mantengo lo sguardo basso e fisso sulla collana di caucciù nera che si intravede tra i primi bottoni della camicia.

Il pendente della collana è di argento o acciaio? Mi sembra un'ancora, forse una croce o una lettera, vorrei avvicinarmi di più per scoprirlo.

Quel tipo di collana è molto sexy, ma mi crea uno stato di inquietudine: è un simbolo che associo al maschio conquistatore e libertino.

Ruota con un movimento lento del polso un bicchiere con due dita di rum.

Seguo il suo movimento mentre avvicina il bicchiere alle labbra, ha una piccola ferita sul labbro superiore a sinistra. Cosa hai fatto con quelle labbra? Mi chiedo.

Mi stringo con una mano il palmo dell'altra, poi mi sposto i capelli dietro alle orecchie, guardo di lato e inizio a spazientirmi per questa attesa silenziosa.

MA CHE VUOLE? Sbotto nella mia testa.

"Ciao sono Michael" pausa lunghissima "Come ti chiami?" chiede con voce bassa e pacata.

Sollevo lo sguardo, punto i miei occhi nei suoi e mi viene da ridere.

Coosa? Ma che fa, ci prova?

No dai, non è possibile, mi sto sbagliando.

Devo essere professionale. Forse Alberto ci sta anche guardando, mi volto verso la cassa, ma lui è lì che fa dei conti.

Mi volto di nuovo verso il tizio, Michael, ha detto di chiamarsi, se non ho capito male, accenno un sorriso incerto, ma con tono sicuro e disinvolto dico:

"Ciao, sono Livia"

Aspetto speranzosa che mi chieda dell'acqua o del cacao per accompagnare il rum che continua a sorseggiare.

"Sono stato altre sere qui, ma è la prima volta che ti vedo. Sei davvero bellissima"

"Scusa?" lo dico troppo in fretta e alzando un po' la voce.

Lo osservo per capire se mi prende in giro, ma no, lui mi sta ancora fissando serio.

Mi sento avvampare il viso e cerco di controllare l'imbarazzo che mi sale. 

Inizio a non essere più così sicura di me, mi guardo intorno in cerca di un appiglio o di aiuto, non ci sta guardando nessuno però.

Alberto si è addirittura alzato e sta andando verso il Privé retro-magazzino.

Gabriele e Giovanna continuano a parlare e ridono tra di loro, Marco non lo vedo, sarà ancora sotto al bancone del Bar.

Antonio?...

Gli amici del tizio parlano e continuano a ridere senza guardare mai nella nostra direzione.

Tutto questo lo osservo come al rallenty e riguardandolo dico:

ERA AGOSTO 2001Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora