La mattina seguente non vedevo l'ora di trovare mio padre e mia sorella davanti all'aeroporto. Avevo avvisato René che mi sarei dovuta prendere mezza giornata libera per andarli a recuperare e vedere quale sarebbe stata casa mia d'ora in poi, nonostante avrei comunque continuato a soggiornare nell'hotel con i ragazzi, se non per qualche eccezione.
Avevo impostato la sveglia alle sei in punto, ma l'adrenalina si era fatta sentire prima e quando l'allarme si era azionato ero già pronta a scendere. Avevo aspettato un taxi che in meno di un'ora mi aveva portato al terminal dove avrei aspettato l'arrivo dell'aereo.
Alle otto e mezza, dopo parecchi minuti passati a scorrere tra i post Instagram dei piloti più affermati, quali Lewis Hamilton e Daniel Ricciardo, che tra i professionisti erano quelli che preferivo di più, dietro solo a Seb e Raikkonen, che a parer mio era e resterà sempre un'icona, finalmente agli autoparlanti annunciano che l'aereo proveniente da Gland arriverà tra pochi minuti.
Sono girata di spalle che guardo attraverso il grande vetro che fa da muro all'aeroporto, quando sento urlare il mio nome. Papà mi salta addosso come se potessi reggere il suo peso, mi riempie di domande, mi bacia la fronte e le sue braccia non smettono di stringermi. Maggie lo lascia fare - conoscendolo sa che non si staccherà prima di qualche minuto - poi mi abbraccia a sua volta, non meno calorosamente.
«Non dovrei dirtelo, ma mi sei mancata»
«Tu invece per niente»
«Ehi!» esclama spingendomi via con fare scherzoso «Non mi avrai mica sostituita con qualcuno del team, eh?»
«Ma che ti vai a pensare» rispondo di rimando, tirandole un pugno sul braccio «Scema»
Insieme decidiamo di chiamare un taxi e dirigerci verso la casa, tirandoci dietro le poche cose che erano permesse in aereo come bagaglio a mano, tutto il resto arriverà domani, insieme all'auto, grazie alla compagnia dei traslochi. Il tassista ci lascia davanti ad un bar poco distante dalla nuova abitazione e dopo avergli pagato il viaggetto entriamo, ordinando una pasta dolce a testa: io con la crema, Maggie al cioccolato e papà al pistacchio.
«Wow! Questo cibo è fantastico!» esclama papà dopo il primo morso; io rido notando i suoi baffi sporchi.
«E non hai provato ancora niente. Vedrai che pizza! E pensa che non siamo neanche a Napoli» rispondo sfoderando un po' delle mie nuove conoscenze culinarie apprese all'interno del team.
«Napoli?» chiede Maggie, storpiando la pronuncia. Dovrà abituarsi ad un po' di italiano d'ora in poi.
«Sì, è la città dov'è nata la pizza»
«In Prema parlano tutti in quel modo... strano?» chiede papà, ancora con la bocca mezza piena, alludendo alla nuova lingua, praticamente sconosciuta a lui.
«Non proprio. Solitamente parliamo inglese per capirci tutti meglio, ma a volte capita che scappi qualche parola» la mia mente torna alle piccole sfuriate di René, dovute a sbagli dei piloti in pista o solamente a uno spavento causato il più delle volte da Marcus, e che si chiudono abitualmente con un'imprecazione.
«Dovrete farci un po' d'abitudine» concludo pulendomi, per quanto possibile, con un tovagliolino di carta la bocca. Ecco, una delle poche cose che posso dire di odiare qui sono questi maledetti tovaglioli che invece di pulire trascinano lo sporco ovunque.
Mi lecco le labbra con la lingua, mentre papà mi allunga il portafoglio, insistendo nel pagare, ma costringendo me ad andare alla cassa per paura di fare qualcosa di sbagliato e di dare nell'occhio già il primo giorno nella sua nuova città.
Usciti dal bar percorriamo un piccolo tratto di strada, costeggiato da una fila di alberi e casette monolocali; dietro a una recinzione di queste sentiamo abbaiare un cane e io, personalmente, non posso non fermarmi a fargli qualche carezza: lo gratto dietro alle orecchie per poi passare alla parte sotto il mento, mentre il cucciolo mi guarda con occhi felici e la lingua a penzoloni.
La scena non può non ricordarmi l'ultima volta che ho accarezzato Angie...
Io e Mick avevamo quattordici anni e stavamo tornando a casa sua dopo parecchi chilometri di bicicletta. Adoravamo correre in strada, che fosse ghiaiata o asfaltata cambiava poco, per noi ogni scusa era buona per fare a gara. Solitamente cercavo sempre di batterlo sulla partenza, ma nonostante i miei scatti Mick riusciva quasi sempre a sorpassarmi, soprattutto durante i tragitti più lunghi, visto che aveva più resistenza nelle gambe.
Stavamo portando le bici a mano davanti al piccolo giardinetto di casa Schumacher quando Gina aveva aperto la porta, liberando Angie dalle mura domestiche per portarla a fare un giro. Era corsa verso di noi che avevamo poggiato le bici a terra, buttandoci su di lei e riempiendola di coccole. Gina si era avvicinata a noi e Mick si era alzato, mentre io ero rimasta in ginocchio a grattare Angie dietro alle orecchie.
Solo parecchi giorni dopo, prima che il legame tra me e il tedeschino si frantumasse, Mick mi aveva confessato che Gina, quel pomeriggio, lo aveva guardato con occhi piccoli facendogli intendete che per salvaguardare il padre, avrebbero dovuto rinunciare a qualcos'altro. E quel qualcos'altro erano le amicizie, che lei definì non necessarie, o comunque pericolose vista la situazione.
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Cɪʀᴄʟᴇs |𝙼𝚒𝚌𝚔 𝚂𝚌𝚑𝚞𝚖𝚊𝚌𝚑𝚎𝚛|
Fanfiction[IN SOSPESO] Per molti motorsport significa soltanto correre in cerchio su vetture guidate da stupidi ragazzini che occupano le loro giornate sfidando la morte a 300km/h. Per Mick e Aley, invece, anche se entrambi si ostinano ancora a non volerlo c...
