Mentre Maggie stringe la mano a Charles, guardandolo con occhi a cuoricino e iniziando a balbettare cose senza senso per provare a togliersi dall'imbarazzo ma risultando ancora più in difficoltà, e papà è intento a chiacchierare con René che gli ha gentilmente offerto un caffè per parlare un po', probabilmente di quello che sto facendo e delle impressioni del team manager riguardo al mio lavoro, i miei occhi si spostano verso gli altri ragazzi che stanno aspettando il loro turno per presentarsi. Noto subito che manca Mick e mi avvicino a Callum per sapere se gli è successo qualcosa.
«Mi ha scritto poco fa. Ha detto che arriva»
Annuisco, fiduciosa del fatto che si presenterà, mentre Maggie spunta da dietro la mia spalla e allunga una mano verso l'inglese per presentarsi.
Per non annoiarci nell'attesa, visto che sono passati già più di cinque minuti e Mick non si è ancora fatto vivo - cosa strana perché solitamente è in orario, se non in anticipo -, prendo Maggie per un polso e la portiamo tutti insieme a fare un giro della sede.
«Verrà?» mi chiede sottovoce, in modo che gli altri non ci sentano, mentre attraversiamo un lungo corridoio.
«Sì» rispondo prontamente, ma poi mi rendo conto che per l'ennesima volta sono ferma a sperare. «Deve arrivare». Maggie alza un angolo delle labbra, impietosita dal mio modo di fare ma dovendo comunque supportarmi come sorella. Faccio un respiro profondo ad occhi chiusi, poi mi volto verso i ragazzi dietro di noi sfoderando un enorme sorriso.
«Charles hai voglia di farci da guida mentre guardiamo le monoposto? Potresti spiegare qualcosa a questa ignorantona» il monegasco, super felice di sentirsi utile, si fionda subito al fianco di Maggie che arrossisce leggermente quando lui la prende sotto braccio.
Sospiro, restando un po' indietro e guardando i ragazzi camminare lungo il corridoio felici. Tiro fuori il cellulare dalla tasca sperando, per la centesima volta, in un messaggio da parte del tedesco, ma non trovo nessuna notifica, così rimetto le mani in tasca e seguo il gruppo verso il box, avvolta da un alone di sconforto.
È quasi passata un'ora, il giro di visita è praticamente finito e gli animi, a parte il mio, sembrano sereni. Alla fine, dopo la prima mezz'ora, ho deciso di scrivere a Mick chiedendogli personalmente se gli fosse successo qualcosa o se avesse avuto dei problemi, ma le spunte blu non sono mai arrivate. Forse devo smetterla di corrergli dietro, di pensare che possa fare uno switch. Dovrei arrendermi, ma non ci riesco, perché una parte di me continuerà sempre a ricordare la parte bella di lui. Non riesco a convincermi che possa davvero finire così tra noi, o comunque che possa continuare con tutti questi alti e bassi: quando l'ho rivisto il primo giorno ho dovuto mostrargli una parte dura di me, che ce l'avevo fatta anche senza il suo aiuto, ma dentro di me sapevo che averlo di nuovo tra i piedi mi avrebbe reso felice perché, nonostante tutto non avevo mai smesso di volergli bene. Avevamo già battibeccato più volte, ma era tutto servito per farmi capire che quando lui non c'era, sentivo qualcosa mancare.
«Lo vuoi un caffè?»
«Mh?»
Charles in risposta indica la macchinetta poco più avanti e io, dopo essermi resa conto che tutti intorno a me ne hanno già in mano un bicchierino, annuisco, scusandomi per non esserci con la testa.
Mi scaldo le mani, avvolgendole attorno al bicchiere e sorseggiando il caffè bollente che mi pizzica la lingua, poggiata con la schiena contro un muro perimetrale del corridoio affianco a qualche poltroncina dove sono seduti gli altri.
Sto fissando il rimasuglio di caffè nel bicchierino quando la porta d'ingresso si apre mostrando la figura del tedesco in tuta rossa e bianca del team e il cappello calato sugli occhi.
«Finalmente sei arrivato, eh?» urla Callum, facendo girare Mick verso di noi. Dall'espressione che ha e dalle movenze penso sperasse di entrare senza essere visto.
«Vieni, dobbiamo presentarti a una persona»
C'è un attimo di silenzio dove spero che Mick si risvegli da quello stato, come se fosse solo stata un'impressione, e venga verso di noi con un dolce sorriso sul viso stringendo la mano a Maggie per poi spostare lo sguardo verso di me e farmi vedere la luce azzurra dei suoi occhi.
Ma evidentemente doveva andare diversamente.
Le sue iridi si fiondano subito sulle mie, che resistono al forte contatto visivo e sperano - ormai mi ritrovo più a sperare che a respirare - che l'espressione che ha sul viso cambi; invece si gira su se stesso e sparisce dietro l'angolo che porta nella sala dei meeting lasciando tutti di sasso.
«Oggi è un po' così...» lo asseconda l'inglese, rendendosi conto che nessuno sa cosa dire «È meglio che lo segua». Fa' un segno di saluto con la testa a Maggie e lancia un'occhiata verso di me, prima di sparire come il suo compagno.
Passano pochi secondi, il silenzio ha preso possesso della stanza e io non riesco a capire cosa ci sia che non va nella mia testa, ma soprattutto in quella del tedesco. Mi lascio scappare una risata tra me e me, che però riescono a sentire tutti, e scuoto la testa guardando verso il basso.
«Devo prendere un po' d'aria, scusate» senza guardare nessuno mi dirigo verso l'uscita, pregando che l'aria fresca possa farmi smettere di pensare a Mick. Mentre passo affianco ai ragazzi allungo il bicchierino al vuoto aspettando che qualcuno lo afferri; è la mano di Marcus a prenderlo e, quando non lo sento più nel palmo, mi ficco le mani in tasca ed esco dalla sede.
Appena fuori mi guardo attorno cercando un posto dove sedermi e restare un po' da sola nonostante qui intorno, a parte gli ingegneri e qualche anziano che passeggia con le mani dietro la schiena ogni tanto, non passa quasi nessuno. Trovo un muretto di pietruzze che delimita un parchetto poco frequentato, dove di solito i padroni portano i loro cani il mattino presto o la sera tardi, e mi ci siedo sopra lasciando penzolare le gambe. Butto la testa indietro e faccio un respiro profondo sentendo l'aria frizzantina fare il giro dei polmoni per poi uscire e portarsi via un po' di stress. Non c'è nessun rumore se non un leggero venticello e qualche auto che passa per le strade vicine.
Ad un tratto percepisco il cellulare vibrare nella tasca della giacca e lo prendo fuori con poca voglia, sperando che non sia un messaggio da René o una comunicazione lavorativa, ho la testa ancora troppo piena per poter anche solo accendere un computer. Stranamente la notifica arriva da Instagram, ma - cosa ancora più strana - non dal profilo del team, bensì dal mio profilo personale che uso davvero raramente. Corruccio le sopracciglia quando leggo "dan_ticktum ha iniziato a seguirti". Inizialmente cerco di fare mente locale per capire chi sai questo Dan: non vado molto in giro se non per seguire il team, solitamente la mia giornata fa casa-sede sede-casa e non ricordo di aver incontrato nessuno che si chiamasse così in quei dieci minuti di viaggio che faccio ogni giorno, che siano all'andata o al ritorno. Decido di aprire il social per provare a capirne un po' in più su questo ragazzo e quando la pagina si apre la metà delle domande che mi ero fatta trovano una risposta.
La descrizione recita: "RedBull junior team; Eurocup Formula Renault 2.0; team Arden".
La cosa che mi attira di più però, e che fa spostare i miei pensieri su questa nuova scoperta, sono le prime tre parole sotto la foto profilo: "Born to race". Decise, forti e con una punta di arroganza che però non dà troppo fastidio. Scorro un po' tra le foto e scopro un pilota diciottenne, che passa le sue giornate in pista o al simulatore, prendendosi liberi solo i weekend per svagarsi in discoteca con i suoi amici e spassarsela un po', ma sempre senza sgarrare troppo. Ha un sorriso dolce che gli disegna due fossette ai lati delle labbra, un ciuffo esageratamente biondo che se non tenuto in ordine gli copre parte della fronte e uno sguardo sicuro e determinato che potrebbe benissimo fulminare gli avversari a ogni occhiata.
Sto continuando a scorrere tra i post quando sento dei passi veloci avvicinarsi e alzo la testa per vedere di chi si tratta.
«Ti ho cercata ovunque!» mi sgrida Marcus con un accenno di fiatone «Tua sorella sta per andare via, voleva salutarti».
Io lo guardo ridendo e lui storce il naso.
«Che c'è tanto da ridere? Ho qualcosa in faccia?» chiede preoccupato prendendo fuori il cellulare per specchiarsi nello schermo e sistemarsi i capelli. Io continuo a sorridere, quando fa così è proprio buffo.
«No, non hai niente. Dai, andiamo»
«Non mi stai prendendo in giro vero?»
«No, hai solo una faccia stupida»
«Dovrebbe essere un complimento?» chiede capendo che sto giocando e mettendo su anche lui un sorriso furbetto.
«Cretino» dico solo scendendo dal muretto e affiancandolo. Istintivamente sento qualcosa che mi spinge a buttarmi su di lui, così gli salto addosso da dietro prendendolo alla sprovvista e facendogli quasi perdere l'equilibrio.
«Cos'ho fatto per meritarmi tutto questo amore?» chiede guardandomi da sopra la spalla.
«Tutto e niente» rispondo stringendolo ancora più forte «So che non ha senso, ma è così»
Lui sorride scuotendo la testa, forse prendendomi per pazza, ma dopotutto anche lui non scherza; mi prende le gambe da sotto facendomi salire sulla sua schiena, io avvolgo le braccia attorno al suo collo e attaccati come due koala ci incamminiamo verso la sede. Forse finalmente posso dire di avere la testa libera.
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Cɪʀᴄʟᴇs |𝙼𝚒𝚌𝚔 𝚂𝚌𝚑𝚞𝚖𝚊𝚌𝚑𝚎𝚛|
Фанфикшн[IN SOSPESO] Per molti motorsport significa soltanto correre in cerchio su vetture guidate da stupidi ragazzini che occupano le loro giornate sfidando la morte a 300km/h. Per Mick e Aley, invece, anche se entrambi si ostinano ancora a non volerlo c...
