20| davvero siamo qui a parlarne?

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Non so che ore siano, e per qualche secondo non capisco neanche dove mi trovo, quando la vibrazione mi fa tremare la mano che regge il telefono, svegliandomi. Probabilmente ieri sera mi ero addormentata lavorando e sistemando le ultime cose che avevo raccolto nel weekend di gara. Mugugno sotto le lenzuola stropicciandomi gli occhi e, con la mia solita sbadataggine, faccio cadere il cellulare a terra che era attaccato alla presa della corrente. Sbuffo buttandomi di lato per recuperarlo e quando lo accendo la luce dello schermo troppo forte per i miei occhi ancora abituati al buio pesto della stanza mi obbliga a sbattere le palpebre più volte.
La prima cosa che controllo quando sono riuscita ad abituarmi alla luce accecante è l'orario. Sgrano gli occhi quando mi rendo conto che è l'una del mattino. Deve essere importante se mi hanno scritto a quest'ora, penso, così mi sbrigo a sbloccare il cellulare ed aprire Whatsapp.
Con sorpresa però il numero che mi ha scritto non è René, né Angelina...
...Ma Mick.
Leggo il messaggio senza entrare nella chat perché non voglio ancora visualizzare, quando appare la scritta sta scrivendo...
Qualcosa dentro di me si agita, ma poi ricordo le parole di Charles e decido di premere sulla conversazione.

'Ehi'

Il primo messaggio non era niente di che, anche se se lo era studiato bene. Quel ehi, amichevole ma comunque abbastanza distaccato, faceva sì che la conversazione restasse in bilico tra ambito lavorativo e amicizia.
Improvvisamente, forse a causa delle spunte blu che gli sono arrivate quando ho visualizzato il messaggio, Mick si ferma dallo scrivere probabilmente aspettando una qualche mia risposta.
Premo sullo schermo per digitare qualcosa, ma rimango con le dita per aria senza sapere che parole usare.
Passa qualche secondo poi compaiono altri due messaggi da parte del tedesco.

'Scusa l'orario, non ricordavo del fuso diverso'
'Ti è piaciuto il GP?'

A quel punto la mia risposta è più che ovvia.

'Si. Charles mi ha fatto fare il giro del paddock e ho anche incontrato alcuni piloti di F1'

Non so se si aspettasse davvero una risposta, o comunque non una di questo genere, così sincera e cordiale, e soprattutto senza brutte parole verso di lui.
Tamburello le dita sulla cover, mentre aspetto neanche io so bene cosa. Mi ritrovo a fissare lo schermo col tedesco online e le spunte blu in tutti i messaggi, mentre nessuno dei due sembra sapere come continuare.
Guardo fuori dalla finestra dove sembra sia cominciato leggermente a piovere, il cielo è scuro e le stelle non si vedono, ma qualcosa, forse solo la ragione, mi dice che ci sono, insieme alla luna.

'A te invece? Come va?'

Ci avevo pensato sopra e mi era sembrato giusto chiederglielo visto che lui aveva fatto lo stesso con me.

'Bene. Callum e Marcus hanno organizzato una pizzata in camera e abbiamo appena finito di mangiare'

È il momento. Devo farlo, ora.
Forse sarà la mia unica occasione.

'Mick, voglio mettere le cose a posto'

Probabilmente l'ho preso alla sprovvista perché rimaniamo per parecchi secondi immobili, senza che nessuno abbia il coraggio di scrivere una parola.

*

Mick non è che non avesse avuto il coraggio. Gli era mancato l'autocontrollo. Quello che faceva parte della sua vita da pilota e che gli serviva quando saliva sulla sua monoposto afferrando tra le mani il volante, quello che gli permetteva di rimanere concentrato sulla gara senza pensare al mondo esterno e che ora l'aveva abbandonato appena la sua testa si era resa conto di cosa avesse letto. Era, invece, uscito il suo animo da ragazzo semplice che aveva paura di affrontare i problemi e il suo cervello si era come fermato, mentre le sue gambe erano subito saltate in aria, raggiungendo Callum che aveva preferito lasciarlo solo perché, a detta sua, doveva imparare ad affrontare Aley senza il suo aiuto.
Il tedesco aveva urlato il nome dell'amico che si era girato per capire cosa fosse successo; Mick poi gli aveva allungato il cellulare facendogli vedere il messaggio da parte della ragazza e Callum aveva sorriso, non tanto per il messaggio in sé, ma per la faccia del suo compagno di squadra che sembrava vagasse in un banco di nebbia. Allora l'aveva preso per una spalla e gli aveva sussurrato all'orecchio qualche parola di conforto che sperava lo avrebbe smosso da quel blocco.
Ma Aley fu più veloce di lui.

Cɪʀᴄʟᴇs |𝙼𝚒𝚌𝚔 𝚂𝚌𝚑𝚞𝚖𝚊𝚌𝚑𝚎𝚛|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora