Capitolo 15

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Raisa

Ho molti clienti di cui occuparmi questa sera, ciò nonostante, il desiderio di ispezionare l'apparecchio telefonico è molto più elevato. Il Signor Sempton tamburella il pugno sul bancone per richiamare l'attenzione, la barba bianca è incolta sulle gote e gli occhi imperlati di una vita stentata, sono stanchi e spazientiti.
«Quant'è?» ha la voce roca e le labbra sottili. Fisso la pelle rinsecchita delle dita, accosta l'asta di legno alla gamba. Da giovane sarà stato delizioso, il naso piccolo ne è la conferma. Analizzo il sacchetto e verifico che ci sia tutto: due porzioni di focaccia all'aglio e qualche salsa. In questi casi antepongo l'umanità a tutto il resto e non invoco l'attenzione di Miles, lui farebbe la medesima azione. Porgo la pietanza e arruffo qualche salvietta dall'apposito raccoglitore.
«Offre la casa» dico, mentre digito la ricevuta.
«Rivolga un bacio a sua moglie da parte mia» strizzo la palpebra per incitarlo ad andare via, ma permane dov'è situato. Alcun passo avanti, neppure uno indietro.
«Posso pagare tutto quanto!» insiste lui, gesticolo in modo teatrale e addito l'ingresso.
«Vada a casa, a quest'ora non dovrebbe girare per Southdell!» rassicuro. Riporto lo sguardo sul resto dei presenti, non hanno notato lo scambio di frasi. Nessuno, tranne Nevaeh. Incurva l'orlo delle labbra, intanto rifornisce il refrigeratore di alcolici e di bevande gasate. L'anziano incurva le spalle, prima che possa proferire il consueto congedo, rotea il tronco.
«Hai un'anima pura, ti ringrazio Raisa» veste il cappellino di lana e si dissolve oltre il battente. Indugio sui movimenti, resto agganciata alla cassa. Bizzarro come una frase espressa da uno sconosciuto possa avere un'influenza così forte, la purezza non è una peculiarità. Non posso essere definita pura, non in seguito a ciò che è avvenuto. Clay mi ha derubata, ha trafugato ogni tratto d'innocenza e non sono candida, non sono armoniosa. Non più almeno.

«Andiamo, dai! Ho l'obbligo di acquistare un vestito nuovo per il mio compleanno! Non posso indossare qualcosa che ho già!» ribadisco il concetto con la stessa enfasi di quando ho scorto il cartello. Southdell è piccola, ma il fulcro sono proprio i grandi empori. Il ragazzo sorride, nonostante sia sfinito. Fra due giorni è il grande giorno e compirò quindici anni, mia madre ha pianificato l'intero itinerario e fremo dal desiderio di conoscere ogni dettaglio. Clay è il mio fidanzato da qualche mese, non ha dimestichezza con i nostri modi di fare e non percepisce la passionalità. Ha ribadito che dopotutto siamo italiani: pizza, mafia e mandolino.
«Qui è perfetto!» emetto qualche schiamazzo alla vista del tessuto esposto. Il vestito è completamente rivestito in pizzo, il tulle ricopre le spalle e cala fino ai piedi. È bellissimo, perfetto per l'occasione.
«È decisamente troppo» schiarisce la voce con dei leggeri colpi di tosse. Un bagliore di fastidio perfora l'iride scura, pressa il ciglio in una linea dura. È adirato? Per quale motivo?
«Non l'ho ancora indossato, entriamo!» trascino la sagoma davanti ai camerini. Il negozio è abbastanza grande per una decina di persone, osservo alcune madri in compagnia delle proprie figlie e altri ragazzi che speculano i capi.
«È perfetto, non credi? » formulo la domanda, ma vorrei che stesse zitto. Allungo la tendina sui cerchi d'acciaio, sfilo via il cardigan e le calzamaglie. La carne nuda riflette attraverso lo specchio, ho disposto qualche chiletto sui fianchi ma non me ne curo. Le guance sono colorate di rosso e gli occhi azzurri luccicano di una luce diversa adesso, l'amore rende splendidi. Introduco prima le gambe e poi le braccia, centra perfettamente i punti giusti. Compio qualche giravolta per osservare la magnificenza del vestito. È quello giusto, non ho dubbi a riguardo. Ingoio fiotti, la salivazione si azzera. Devo mostrarlo? Non posso semplicemente comprarlo e andarmene a casa? Respiro piano prima di scostare il sipario, l'uomo dinanzi a me non ha l'espressione che desideravo. Squadra i piedi nudi, ispeziona la gonna ampia e intoppa nello scollo profondo. Accolgo occhiate curiose e sguardi eloquenti, non sono infastidita e, per la prima volta, mi sento davvero me stessa. Clay non è corrisposto, rosso di rabbia sovrintende sulla sagoma minuta. China il busto verso l'orecchio e sfiora piano l'anca.
«Sembri una puttana, una di quelle che sostano sulla quindicesima strada» emette.
«E poi ti segna sui fianchi, quanti chili hai messo su?» vomita crudele. Non ho l'audacia di prenderlo a schiaffi, non colpisco duro. È lui a menare me, non agisce con il corpo, ma è consapevole: le parole feriscono più delle azioni. Piego la nuca, respingo le lacrime e il naso pizzica. Forse è incollerito dalla presenza di altri, sicuramente è furioso per la lite avvenuta con sua madre quest'oggi e, probabilmente, quest'abito mi sta davvero male come dice.
«Dovresti rimetterlo a posto» tuona, annuisco.
Giustifico il suo comportamento, scagiono l'insulto e il maltrattamento.

𝑭𝒊𝒐𝒓𝒊 𝑵𝒆𝒍 𝑩𝒖𝒊𝒐.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora