Damen
Crescendo ho imparato che la speranza è l'unica cosa certa che ci resta in un mondo che cade a pezzi, un solo filo che unisce finzione e realtà. Zio Tourus fu trovato morto sei mesi dopo l'anniversario dei miei genitori, di quegli attimi rammento il caldo afoso e il tessuto sintetico della t-shirt appiccicato sul petto. Il nero era sempre stato il mio colore preferito, ma quel giorno lo odiai con tutto me stesso. Tempo prima non avevo atteso molto per ricevere l'auto dei miei sogni e, permanere due giorni sul pavimento dell'ospedale, fu come trascorrere anni senza sole. La sensazione di sentirsi impotenti e inutili opprimeva il petto in una morsa senza via di fuga, la salute era qualcosa che il denaro non poteva comprare e, se ci fosse stata una somma da offrire per garantirgli l'immunità, l'avrei donata a occhi chiusi. Mio padre aveva perso un fratello, Jeremy un padre e io mi chiedevo se le preghiere pronunciate in piena notte fossero state ascoltate e se qualcuno le avesse, almeno in parte, considerate. Nel contempo formulavo come sarebbe stata la nostra vita senza di lui: triste e buia. Impose il mio nome come un volere del fato e non quello di mia madre, io per lui ero forte come un re. Mi ha insegnato sin dal primo giorno a Villa Anderson il rispetto per il prossimo, la serietà di un uomo d'altri tempi e l'amore per la famiglia. Avrei voluto rivederlo seduto infondo al tavolo da pranzo, il solito cappellino di raso nero con visiera rigida e la Marlboro fra il pollice e l'indice. È stato nell'istante in cui ho visto sotterrare la bara che ho compreso a pieno il senso dell'inaspettato: prevedere il futuro non è necessario, ma limitante. Non ci sono limiti, il tempo è imprevedibile e gli attimi fuggenti. Quattro giorni dopo il decesso, sulla terza costola sinistra, ho impresso l'iniziale del suo nome come un tributo per quello che aveva fatto per noi. Una volta ho letto in un libro che ci sono cinque fasi da attraversare in un lutto e che la rassegnazione era l'ultimo stadio prima della completa rinascita, allora mi chiedo: perché sono tutti fermi in un limbo? Perché non procedono in nessuna direzione? Andrew riserva ancora del rancore verso i medici di turno e denunciato l'ospedale per mancato salvataggio. Joel pattuglia tutte le sere la vecchia casa in cui risiedeva e Jeremy cerca l'assassino come se ne valesse la sua sanità mentale. La testiera di legno è rigida contro la nuca, sono steso sul materasso della mia camera con le palpebre serrate e la mente in subbuglio. Fuori è buio, l'unica fonte di luce deriva dal soggiorno e dalla camera dei miei genitori. I brontolii di Drew sono il suono che colma l'assordante silenzio, intuisco il mal umore di quest'ultimo e il turbamento di mia madre, parlottano sottovoce per non smuovere la quiete e, senza volerlo, compio passi per raggiungerli. Mio padre è in piedi, chino sulla sagoma snella di Heliana, il palmo sulla testa e l'altro sulla spalla ossuta.
«Non accadrà, non lo permetterò Hel» sfiora la chioma castana in gesto affettuoso, punto lo sguardo sulla parete bianca del soggiorno. Un comportamento così raro da rendermi spettatore di uno spettacolo pregiato.
«Non capiterà nulla ai nostri figli, l'ho promesso a mio padre nel giorno della sua morte e a me stesso. Finché vivrò, non sperimenteranno mai ciò che ho vissuto io» ingoia il magone con la mano destra poggiata sul petto. E ci credo quando sussurra che non vorrebbe vederci tormentati, i modi bruschi e duri sono stati l'involucro dei sentimenti reali. Ci ha sempre dato e perdonato tanto, persino nel momento i cui mi ha recuperato in piena notte dalla stazione di polizia. Non ha proferito una parola, ma ho letto nei suoi occhi ammonimenti e percussioni che hanno smosso persino i granelli impercettibili della mia persona.
«Damen non andrà in prigione, ho già avvertito gli avvocati...» e la frase di Jay si ripete nella testa come una premonizione.
«Lui ha paura Dam, non te ne rendi conto?»
Per la seconda volta, in ventiquattro anni di vita, osservo un uomo con dubbi e incertezze. Sono le lacrime sul volto della donna a ricaricare la dose di dolore, la vista s'offusca e cedo contro lo stipite per sorreggere il peso. Non succederà, non accadrà ciò che ho rinnegato fin dalla nascita. Un detenuto è ciò che diverrò se non porterò a termine il piano. E se Raisa dovesse testimoniare il vero? E se non riuscissi a conquistarla in tempo per le indagini? Non potrei più cavalcare al ranch, l'aria in cella sarebbe irrespirabile e dovrei combattere con la Rupofobia da solo. I germi s'impregnerebbero sugli abiti, nessuna vitamina mi salverebbe dalla pressione psicologica e le difese immunitarie si annullerebbero in breve tempo. Resterei privo di docce roventi e mi resterebbero solo unghie a raschiare via lo sporco e le colpe. Respira, respira. Il subconscio incoraggia il cervello nel compiere ciò che dovrebbe essere un'azione involontaria. Miro al cuore e ne conto i battiti come una dose di morfina dritta in vena.
«È così che affronti la realtà? Piagnucolando come un poppante?» scatto come un felino verso la voce sprezzante di Akiro che sbuca da una delle camere padronali, il sorrisetto derisorio dipinto sulle labbra e la chioma ossigenata tirata indietro da un'enorme quantità di gel. Ha i palmi conficcati nelle tasche dei pantaloni classici e la camicia arrotolata sugli avambracci tatuati.
«Vattene» scrollo la testa e tossisco.
«Vattene o giuro su Dio che ti uccido con le mie stesse mani» incito rabbioso, il tono non promette nulla d'egregio. Inclina il capo e sghignazza come un pazzo, la situazione lo diverte a tal punto da procedere verso il sottoscritto. Un altro passo falso e lo azzanno così forte da strappargli la carotide a morsi.
«Sei un codardo» sputa fuori sprezzante, le espressioni non mentono.
«Tutti sappiamo che è stato Jeremy ad uccidere Simon Dowell, perché ti ostini a mentire?» e se uno sguardo potesse uccidere Akiro sarebbe sepolto accanto al corpo di nonno Gerard già da tempo, con una pallottola piantata fra le clavicole. Dilato le narici per espirare con urgenza, davvero crede che lo lascerò andare facilmente dopo la frase che ha pronunciato? I suoi occhi entrano in collisione con i miei, Jay è nascosto nella penombra con la t- shirt sollevata oltre l'ombelico, il calice di cristallo nella mano destra e il solito sorriso sornione che scema nell'udire la conversazione. Sbianca come un lenzuolo, le pupille s'ingrossano per lo shock e vorrei abbracciarlo fino a percepire caldo nelle ossa. Non pretendo che sia lui a confessare e non voglio che sia Akiro ad infrangere la nostra legge. Adesso ditemi, come posso sabotare i piani di mio fratello? Non ho aspettative per il futuro e sogni da realizzare, Jeremy ne possiede abbastanza per entrambi. Quella notte ho promesso, giurato che mai e poi mai avrei confessato l'artefice dell'omicidio. Non tradirei Jay e lui non passerebbe al nemico per mettersi in salvo. Schiocco la lingua sul palato per beffeggiarlo, elogio la dote innata del biondo di sabotare un legame radicato nelle fondamenta. Batto i palmi fra loro in un applauso, i colpi secchi rievocano i miei genitori dal salotto. Ottimo spettacolo, l'attore principale è davvero valido. Non mi curo della presenza di altri ed estraggo la Glock dalla cinghia, punto dritto alla star della storia e maneggio con cura l'arroganza della sua postura.
«Cosa state facendo?» Andrew non è spaventato, leggo il bagliore della fiducia attraverso le labbra schiuse. È spaventoso, ma riconosco ogni movenza e anche se non vorrei, sono le stesse che compio anch'io.
«Ripetilo Akiro, se hai coraggio ripeti ciò che hai detto a noi. Mostra la tua natura, non essere un coniglio» esprimo rabbioso, la canna è a due centimetri dallo sterno.
«Akiro cosa hai detto a Damen?» chiede mia madre, completamente ipnotizzata dall'oggetto, acconcia gli occhiali sul naso ed attende una risposta al quesito posto.
«Stavo semplicemente invitando i ragazzi al mio brunch di compleanno nel fine settimana» solleva le spalle ed estrae un pacchetto di Marlboro dal taschino della giacca, me lo porge con eleganza e lucidità come un manipolatore doppiogiochista. È una scena da film quella che stiamo vivendo: cinque adulti di cui, uno armato e consapevole, di avere una pistola puntata contro un componente della sua famiglia.
«Se è vero ciò che dici allora non posso far altro che incoraggiare Damen ad abbassare l'arma» ammonisce, «Abbassala immediatamente!» continua, ma nego con un cenno. Gli antagonisti è meglio eliminarli sin dall'inizio del racconto, attendere la fine per scorgerli sanguinanti è da masochisti.
«Hendrick...» ed è lui a porre fine al gioco, usando quel nome così giusto e sofferente. Sentirlo con la sua voce è così reale da far male. Perché mi hai abbandonato e rinnegato? Quali colpe avevo e che adesso non addosso? Ero tuo figlio anche nel Sedicesimo distretto ma per te, con questi abiti e quest'odio, lo sono di più. Somiglio a voi, sono squarci che non verranno mai curati.
«Non Hendrick, ma Damen e...fanculo! Fanculo ad ognuno di voi!» stendo la mano sinistra sui capelli corti e lascio che lo strumento di difesa scivoli sul pavimento, tuona come una tempesta in arrivo. Mi dirigo verso l'uscita dopo essermi contrapposto alla carogna presente. Petto contro petto, tempia sulla tempia.
«Non è finita qui, ti farò vedere di cosa sono capace e non avrò pietà. Mirerò alle palle così che tu non possa generare altri esseri meschini come te» puntualizzo, «Non sei un Anderson e non lo sarai mai, hai occhi troppo chiusi e pelle troppo pallida per essere uno di noi» presso così forte la mascella da percepire i denti stritolarsi fra loro. Espello con forza saliva dalla bocca per innestarla sul viso etereo, non reagisce all'esplosione di una guerra. Vorrebbe infliggermi un pugno ed io vorrei fare la stessa cosa. La gocciolina solca la guancia, non l'asciuga per sfidarmi a compiere di peggio. «Ti aspetto alla baita per il brunch» mormora, non ha smesso di ridacchiare sotto gli occhi degli spettatori.
«Non attendermi perché non ci vengo alla tua stupida festa di merda!» sollevo il dito medio e serro la porta d'ingresso con un tonfo così forte da risvegliare i morti.In conclusione nulla di quello che avevo programmato è andato a buon fine, un po' come se il Karma si fosse rovesciato contro di me. Sfreccio lungo le vie di Southdell con una strana malinconia conficcata nelle costole, oltrepasso il bowling di Alan e fingo di non notare lo strano gruppo di ragazzini che tentano di scassinare le auto parcheggiate. Penso a quando eravamo io e Jay a combinare guai, in questo momento non abbiamo la stessa spensieratezza di quei tempi, ma siamo pur sempre noi. Lo siamo sempre stati, inseparabili un po' come Robin Hood e Little John. Inserisco la marcia e stringo forte il volante, gli alberi saettano veloci come immagini su un tabloid e, ad ogni rombo del motore, qualche anziano maledice il mio passaggio. M'accorgo solo dopo minuti di essere giunto dinanzi alla pizzeria del padre di Raisa, scorgo dalle vetrate alcune chiome scure e decelero fino al retro perché so che lei e lì. È il suo posto preferito per scappare dalla folla e dagli assalti dei clienti, seduta sugli scalini dell'uscita d'emergenza con una cicca spenta fra le labbra rosee e piene. E se non fosse solo uno stupido piano? Scrollo l'ipotesi come se fosse una stupida idea di Mad e suono bruscamente il clacson, interrompendo la bolla di quiete intorno a lei. Solleva il volto dallo schermo del cellulare contemporaneamente al trillo delle notifiche: Raisa Ugon ha aggiunto una reazione al tuo stato.
«Mi stai spiando?» grido, sobbalza per lo spavento e punta la torcia dritto nei miei occhi, «Damen, sei tu?» strilla in risposta, nonostante i pochi metri di distanza.
«Il lupo è venuto a soccorrere Cenerentola per ricongiungerla al Principe Azzurro» dico, «Mi stavi spiando Raggio di sole?» .
Mi ignora e torna sulle scale, rimugina sul da farsi e credo voglia fuggire per sbarazzarsi del sottoscritto, ma è errato. Compie un giro dell'automobile e spalanca la portiera. Non si scompone, non arrossisce e non acconcia i capelli sulle spalle. Inchioda le pozze chiare nelle mie e blatera senza freni, «Avrei dovuto?» alza un sopracciglio, indispettita. «Sei sparito, completamente vaporizzato nell'aria e per giunta senza lasciare un messaggio! Ah, dimenticavo...buon compleanno Damen...Hendrick o chi diavolo sei! Non è stato divertente lo scherzetto al club, ma ti ringrazio perché David è sparito dalle nostre vite» e poi continua, ma sono fermo sulle clavicole scoperte e sulla scollatura profonda dei seni. La chioma dorata pende sulle spalle come una cascata di lucciole e le ciglia folte incorniciano il volto.
«Vieni con me Raisa, voglio mostrarti una cosa» confesso.
«Ho del lavoro da sbrigare» giustifica, ma è incline ad accettare. Non demordo, non posso lasciarla andare. «Ti aspetto qui» si volta con aria di gratitudine.
«Non ti dispiace?».
«No» rispondo.
Faccio tutto questo per uno scopo. E lo ripeto più volte per convincermi che sia l'unica ragione.#spazioautrice
Buona Domenica a tutti!
Questo pezzetto è solo di passaggio, ma il prossimo sarà un vero SPETTACOLO. Sono già in opera per regalarvi uno degli appuntamenti migliori che io abbia mai scritto, nulla a che vedere con prati e Luna Park.😌
In questo capitolo c'è un frame che non è lasciato al caso, ma abbiate pazienza e tutti i nodi verranno al pettine.
Un bacio, Fatima.❤️🐞
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𝑭𝒊𝒐𝒓𝒊 𝑵𝒆𝒍 𝑩𝒖𝒊𝒐.
Random🔞 Questa storia contiene: violenza, linguaggio scurrile, scene che possono urtare la vostra sensibilità e uso di stupefacenti. E se ci fossero due sentieri da esplorare? Tu, quale sorte tenteresti? Raisa è una ragazza di diciannove anni, uno spic...