Capitolo 31

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Damen

Qualche mese prima...

«Tuo padre vuole parlarci» dice Jeremy. Ha la camicia arrotolata sugli avambracci e il completo sartoriale cucito per l'occasione. La veglia funebre in ricordo di Tourus si è svolta qualche ora fa, ma è incline a svestirsi di quegli indumenti che lo fanno sembrare adulto. Ha pianto. Ho visto lacrime salate solcare le guance al di sotto degli occhiali scuri, mentre abbracciava Madelyn e si aggrappava a lei come unica parte illesa. Ci siamo guardati per tutta la cerimonia, consapevoli di non essere puri e casti. Di avere una sete più forte della remissione: la vendetta. Trovare chi ha ucciso suo padre è l'obbiettivo principale di Jay ed io sono suo fratello, come posso lasciare che faccia tutto da solo?
«Di cosa? Sono stanco e ho una fame da lupi» lamento, mentre poggio la giacca scura nella cesta degli indumenti da lavare. Fisso per qualche secondo il riflesso di me stesso allo specchio: occhiaie violacee contornano gli occhi, labbra secche e pelle irritata. Correggo il cerchietto argentato sul naso e distolgo lo sguardo.
«Cos'è, ti stai facendo crescere i capelli?» chiede.
«Non ho avuto un attimo di tregua, sono stati giorni pienissimi» strascico una mano nei ricci scuri, pendono sulla fronte e sulle orecchie.
«Dovresti tagliarli, visti così siamo troppo uguali. Non scherzo. È inquietante» esclama, non si getta a peso morto sul materasso perché sa benissimo quanto odio questa sua abitudine. Siede sulla poltrona con le gambe divaricate e i palmi intrecciati sul petto. Ed è vero. Potrebbe essere associato a me in tanti punti, se solo non avesse costantemente una faccia da schiaffi.
«Sì, certo. Fallo tu, hai sicuramente più tempo libero» sbuffo.
«A me stanno bene» alza le spalle. «Tu sembri innocuo, quasi gentile. E sai bene che sono io quello gentile fra i due» ridacchia. Cerco qualche oggetto da lanciare, ma blocco ogni tentativo non avendo nulla fra i piedi. Tutto è perfettamente in ordine, tranne il cappotto beige poggiato sul soprabiti che Jeremy mi ha supplicato di indossare. Due tocchi sulla porta distolgono l'attenzione, la testa bionda di Milly spunta della fessura con tanto di cesta ricolma di abiti da depositare. Composta e silenziosa si inoltra nella stanza, confisca quelli sporchi e volta il dorso verso l'uscita. «Vostro padre vi attende. Siete pregati di assecondarlo, oggi è un tantino adirato» imita una quantità con le dita e sparisce. Ci fissiamo per qualche secondo, incolpandoci a vicenda con vari cenni. «Cosa hai fatto?» gli chiedo con una punta di serietà nella voce. Alza entrambe le braccia sulla testa con fare comico, «Niente, lo giuro. Tu, invece? Dove sei stato nelle ultime ventiquattro ore?» sa benissimo dove mi rifugio quando le cose diventano difficili.
«Al ranch per il Gran Premio, sono stato con il team fino a tardo pomeriggio» dico, sollevo il sedere dal materasso e attendo che faccia lo stesso. Indossa il cappotto beige e attraversa il corridoio con il mento sollevato e le mani nelle tasche. Io, dietro di lui, rimugino su ciò che potrebbe essere il volere di Drew. La riunione della settimana scorsa non è andata a buon fine. Jordan Jones, capo dei Los Salvadores e associato alla mia famiglia, ha ceduto le redini ad uno dei suoi uomini esonerandoci dei carichi e scombussolando l'intero sistema. Abbiamo indagato a lungo sulla motivazione e pare ci sia stato un omicidio all'interno di una delle ville di El Diablo che ha messo a repentaglio la stabilità del Salvadores. Scelta ardua la sua, peccato per gli affari e i soldi non retribuiti. Una seccatura per noi che, oltre a trovare il presunto assassino di Tourus, dobbiamo occuparci dell'enorme carico d'armi da ritirare a TysonVille. Jay non attende, schiocca le nocche sul legno in attesa di un cenno da parte di suo zio.
«Entrate» comunica, indica le seggiole con un gesto della mano ed entro per primo senza timore. Siedo su una delle poltrone ai piedi del grande scrittoio, abbranco una cornice ed osservo una foto di quando eravamo bambini, sdentati e felici.
«Siete stati chiamati perché ho un incarico per voi» strappa dalle mani l'oggetto e punta le iridi nelle mie. «Una cosa grossa ed importante» cantilena, rimproverandomi. Schiocca un'occhiataccia e allenta il nodo della cravatta, scrive velocemente qualcosa su un pezzetto di carta e lo passa a Jeremy. «Questo è l'indirizzo di Simon Dowell, il banchiere sospettato di aver ucciso tuo padre» non una sola emozione trapela dal tono. È inespressivo, atono. Proprio come me. Mio cugino, dal canto suo, sobbalza in piedi con uno scatto e comincia a camminare lungo la stanza. Dritto come un treno, «Come l'avete trovato?» chiede.
«Arnold ha avuto un colloquio con uno dei Los Salvadores, in prigione le notizie circolano in fretta. Lo sai bene, noi qui fuori siamo in nulla in confronto a quello che c'è lì dentro» poggia la schiena sulla sedia rotante e incrocia le gambe.
«E quindi? Noi cosa dobbiamo farcene di un indirizzo?» chiedo, nonostante sia stato in silenzio fino a questo punto. Non ricevo risposta, Andrew Anderson è adirato per la domanda accusatoria. Vuole lavarsene le mani? Aggrotto le sopracciglia puntando su di lui, se crede che mollerò si sbaglia. Sono pur sempre suo figlio. Siamo fatti della stessa sostanza, ghiacciata e trasparente.
«Andate lì, recuperate il vecchio e tornante indietro. George vi aiuterà nell'impresa, avete bisogno di uomini nel caso in cui ci fossero altre bande ad attendere un nostro passo» ghigna. Ed è la prima volta che sul suo viso aleggia un'espressione crudele. Affonda le dita sul taccuino con una forza immane, prima di richiamare l'uomo.
«George!» urla, la porta si apre mostrando un omone alto quanto una statua di gesso. Tutto muscoli.
«Accompagna i ragazzi, Damen ti dirà cosa fare» dice, mentre scuoto la testa.
Come di consueto, tutto è nelle mie mani e non c'è un piano da seguire.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 10 ⏰

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