Prologo.🌻

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Con il termine violenza si intende un atto volontario, esercitato da un soggetto su un altro, in modo da determinarlo ad agire contro la sua volontà.

Non avevo mai pianto, nessuna lacrima aveva mai sfiorato la guancia. Non era orgoglio, non era rancore quello che provavo. Odiavo Clay, lo odiavo così tanto da desiderare la sua morte. Mi aveva reso una ragazza diversa, continuavo a guardare il riflesso e cominciavo a non riconoscermi. Spenta, interrotta, placata. L'unico sguardo era rivolto al pavimento, il viso chino e le voci nella testa.
«Non parlare!»
«L'hai guardato, eh? Sei una puttana, ecco cosa sei!»
«Questo vestito è proprio da troia, spogliati subito!» urlava, strillava.
Tremavo perché conoscevo il processo, dritti a casa e legata contro la mia volontà. Era un ragazzo discutibile, ambito da molte donne. Pregavo che qualcuno lo facesse perdere la testa, così tanto, da lasciarmi andare. Nel frattempo promuovevo un nuovo sentimento: la rabbia. Un traguardo importante per chi subisce violenza psicologica e fisica, il dolore fu accantonato e disintegrato. Ebbi la forza di urlare nel momento in cui capii che nessuno sarebbe venuto a salvarmi, nessuno aveva notato nulla. Nessun livido visibile, solo labbra gonfie e occhi tumefatti di disperazione. Non denunciai, non parlai mai di quello che succedeva nelle mura di casa sua. Alla fine della relazione con Clay Miller, cominciai a vivere sul serio. Viaggi, feste e amici. Libera dalle catene, dagli schiaffi immotivati, dai pizzicotti indesiderati. Finalmente potevo guardare dritto negli occhi soggetti del sesso opposto e non dovevo vergognarmi per ciò che indossavo. L'incubo era terminato e con lui anche una parte di me. Ero una nuova Raisa Ugon. Mi identificavo come una creatura venuta al mondo da pochissimo, percepivo ancora l'adrenalina della prima uscita. Da quel momento non smisi di ridere, ascoltare musica e vivere. Resuscitai, bastò un solo anno per accantonare i seguenti. Mia madre fu la scialuppa di salvataggio, non mi lasciò sola. Quando gli incubi mi svegliavano in piena notte, tutte le volte che mandavo giù gocce di Xantoma. Mi stringeva forte la mano, accarezzava i capelli e cullava. Un frammento di quello che fu continuava a risiedere nella parte remota, spingeva per elevare e per distruggere quello che avevo innalzato. Sorridevo molto, mostravo frequentemente le fossette sulle guance e gli occhi vitrei. Osservavo spesso dettagli che altre persone non notavano, troppo distratte dal futile. In amore non avevo avuto buona sorte, in compenso, avevo una famiglia straordinaria, il lavoro dei sogni e amiche meravigliose.
Ogni cosa al suo posto o almeno credevo.

𝑭𝒊𝒐𝒓𝒊 𝑵𝒆𝒍 𝑩𝒖𝒊𝒐.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora