Raisa
È stata Nevaeh a confessare.
Ha atteso due settimane prima di riferire la notizia alla mamma, lei sapeva e non ha compiuto nessun atto eroico per impedire la catastrofe. Avrebbe potuto omettere la verità restituendo le redini al destino ma, in cambio, ci ha infiltrato lo zampino, rendendo i convenevoli tormentati. Dovrei essere stizzita per l'allontanamento improvviso di una figura genitoriale, dovrei essere furibonda. Percepisco, solamente, un profondo vuoto nel costato. È stato imprevedibile come un evento fuori contesto. Credevo inserisse la nostra felicità in prima linea bensì ha rinunciato al lieto fine. Ho asciugato lacrime sfuggite al controllo con il dorso, procedendo nel restare seduta al centro del letto con lo sguardo indirizzato alla finestra. In attesa...ho atteso qualcosa che non accadrà. Dopo aver assistito allo slittamento dell'auto contro il cemento, ho verificato che non era un incubo quello che stavo attraversando; la realtà mi è piombata addosso come una tempesta in piena estate. La mamma si è rinchiusa in camera da quel fatidico giorno, singhiozzando e lamentando di non esser stata una brava moglie. Non ho più messo piede all'interno della stanza padronale, lì dove bastava spalancare la porta per osservare Miles con la nuca adagiata sul cuscino e le gambe a penzoloni oltre il materasso. Sempre troppo stanco per sfilarsi gli scarponi da lavoro e la t-shirt imbrattata di pomodoro. Sono trascorsi dieci giorni e, nel contempo, abbiamo vissuto come se fossero passati dieci lunghi anni. Sono spuntati altri dentini sulle gengive di Mirea e ha pronunciato il mio nome, una serie di ''Agnia'' e ''Aia'' migliori dei mugolii ottenuti fino a qualche mese fa. Nevaeh è stata promossa nei successivi test all'università e della patente, ha confidato di essere sprofondata in uno stato di ansia perenne e, da buona sorella maggiore, le ho ceduto ogni frammento della mia attenzione. Negli ultimi tempi mi sono impegnata nel rendere funzionale una famiglia disfunzionale e non c'è nessun premio in palio, solo serenità e carezze di conforto da parte di chi, non conosce l'intera storia.
«Una birra alla spina al tavolo quindici!» ordino dalla sala centrale, batto sui tasti con foga ed estraggo il foglietto da cedere al cliente. Rivolgo un sorriso di circostanza alle anziane accomodate sui divanetti in fondo, le sento bofonchiare qualcosa riguardo lo scandalo, ma non sono colpita dal loro atteggiamento. La città è piccola e i pettegolezzi, in questo dipartimento, sono minimi. Le mura di casa non ci hanno protette dagli sguardi languidi e giudicanti dei vicini, dovrei essere sbalordita dalla velocità con cui si sono sparse informazioni delicate, invece ne sono profondamente rammaricata. Schiocco un'occhiata al pendolo posto sull'asse della porta; segna le venti e quarantacinque: quindici minuti alla fine del turno. Il campanello strimpella all'entrata e il sorriso raggiante di una signora di mezz'età colma l'intera pupilla, distinguo la chioma scura simile a quella della primogenita, gli occhiali tondi sul naso a patata e la pelle ambrata, nonostante ci siano due gradi centigradi fuori. Strascica la valigia all'interno dell'abitacolo come se ne valesse la sua intera esistenza, indossa l'immancabile gonna a pois e le ballerine con la zeppa. Stropiccio la palpebra destra con il palmo racchiuso in un pugno, per prendere coscienza che non è un miraggio quello a cui sto assistendo: Nonna Irene è qui. Nevaeh procede velocemente fra i clienti per accoglierla nel migliore dei modi, le scocca una sfilza di baci sulle guance e pizzicotti sulle braccia magroline. «Buon Dio! Ma cosa mangiate in questo posto per essere così magri? Non ci sono delle fettine di carne di cavallo? Quelle sono ottime per mettere su peso!» articola frasi in inglese ed altre in italiano, comprendo parole come ''fette'' e ''cavallo'' nella stessa esposizione orale. Lo stomaco chiede pietà ancor prima di aver infiltrato fra i denti un pezzetto di tutto ciò che cucinerà una volta ospitata in casa, non c'è lavanda gastrica che regga alla cucina di Irene Caruso. Sono sopravvissuta dieci giorni in Sicilia, di cui sei, trascorsi in ospedale per intossicazione alimentare. Sarà una bella vacanza rilassante- diceva la mamma- con tanto di cappello acquistato in un negozietto al porto. Ho ancora i brividi per quanti aghi inserirono nel mio povero braccio destro e, per non interferire con le premesse, non sono più tornata in Italia d'allora. Stessa cosa per l'anziana, era troppo indispettita dalle mie ''inutili'' moine per visitare la sua famiglia dall'altro lato del mondo. Accidenti a lei, ci stavo rimettendo tutto l'apparato digerente!
«Brianna quanto sei bella, la nonna ha infilato in valigia molte cose saporite per questo picciriddu che c'hai qui dentro. Di quante settimane sei? Ho portato un'ungente per i piedi gonfi che è ottimo per le donne incinte comu te!» mia cugina non replica, cosciente che sarebbe invano comunicare con la nonna. Come si formula in concetti chiari che non siamo più nel Medioevo? E che sono subentrate le aziende farmaceutiche proprio per prevenire molti di questi sintomi in gravidanza?
Successivamente concentra lo sguardo oltre lo sportello, dritto sul primo adulto visibile oltre la folla.
«Leonia è arrivata la mamma! Da quant'è che non ti vedo? Quanto sei cresciuta!» corre, per quanto possibile con quelle scarpe, ad abbracciare sua figlia.
«Mamma che sorpresa!» le sopracciglia arcuate tradiscono l'espressione estasiata, ho il sentore che ci sia un pezzetto che non coincide perfettamente con il resto del puzzle. Chiudo in modo teatrale uno scatolone formato famiglia e schiocco un'occhiataccia alla combriccola riunita innanzi al varco. Il cipiglio sul volto di Emily non è rassicurante per nessuno dei presenti, compresa sua sorella maggiore. Cerco riparo nei consumatori abituali, chiedo se sia tutto di loro gradimento e ricevo pareri cordiali dalla maggior parte degli interlocutori. Leonia, Zia Lyn per me, saluta con un abbraccio intenso e commovente l'unica genitrice che le resta.
«Ti ho telefonato alcuni giorni fa e non mi hai richiamata, mi sono preoccupata così tanto che ho prenotato un volo last time e sono atterrata qua. E un po' difficile arrivarci con il treno, menomale che mi avevi scritto l'indirizzo dietro al calendario!»
«Ti hanno rifornito le giuste informazioni?» chiede Zio Tony, perplesso.
«Anto' ma per chi mi hai preso? Sono una donna d'affari, ti ho raccontato quel-».
«Quella volta in cui ho picchiato un mafioso... Ciao mamma, come stai? Ti trovo in forma!» mia madre blocca la narrazione con un'espressione compiaciuta. Le mie labbra si tendono in un sorriso da orecchio a orecchio, senza parole. Mi è mancata, questa sensazione di serenità assoluta. Lo dico con sincerità, oggi non avrei assistito a questo spettacolo se Nonna Irene non fosse arrivata. È questa la quotidianità che necessito. Mentre Brianna mostra l'attività e il quartiere all'ultima arrivata, io mi affaccendo attorno al bancone scambiando coltelli e mestoli, servendo bottiglie di bibite gassate e dolcetti alle amarene. Mi slaccio il grembiule intorno alla vita per riporlo sui pomelli infissi al battente, il turno è terminato dieci minuti fa ma l'ospite d'onore ha rallentato le vendite previste, e ci ho impiegato molto più tempo nel terminare le scorte di pagnotte.
«Ah, Raisa» dice Nevaeh. Subentra nello stanzino con rapidità, ha le guance arrossate per lo sforzo e la fronte imperlata di goccioline. «Zia Lyn non ha ancora confessato nulla riguardo la faccenda di - tu sai chi- e nostra madre non vuole che lo sappia in questo modo» annuisco, consapevole di ciò che potrebbe accadere se uno di noi spifferasse il malfatto compiuto. Mi chiudo la porta alle spalle cercando di moderare la camminata che sembra più che altro una serie di balzelli. Nel percorso fino alla porta sul retro non incrocio Lilian, che ha la febbre alta. D'istinto vorrei recarmi da lei per una serata film e pizza, ma il cervello proibisce il tentativo, occorro viva e in salute, almeno finché Brianna non si sarà rimessa del tutto. Il cielo è scuro con qualche sfumatura rossastra, il vento scompiglia i capelli e puntella la carne di puntini invisibili. Affondo nei sedili dell'auto reprimendo la voglia di ingranare la marcia e fuggire da questo luogo carico di ricordi, rilasso i muscoli alla ricerca di qualche stazione radio e infilo le chiavi nel nottolino. Resto così per una manciata di minuti, afferro il cellulare dalla tasca dei pantaloni e scrollo la home dei social, foto in costume, in barca e feste d'élite e compleanni. Spinta da un moto di curiosità digito nella barra: Jeremy Anderson, il primo profilo non è assolutamente il suo, ci sono troppe foto di modelli da sartoria e lavori a maglia. Il secondo è quello che cerco, nella foto profilo c'è lui. Sbircio attentamente ogni post, alcuni scatti li ritraggono felici in un campo d'erba e altri mostra semplicemente la loro quotidianità, da l'impressione di essere un profilo di coppia e non di una singola persona. Pigio sulla stories e, ciò che frena ogni pulsazione, è la figura di Damen avvolta nell'oscurità. È chino su una torta perfezionata con candeline di ogni forma e colore, assopito nell'azione di spegnerle tutte in un colpo solo.
«Esprimi un desiderio!» incita una donna. Schiaccio il testo sullo schermo, digito una reazione e mi prende un colpo: Damen Anderson ti ha inviato una richiesta di messaggio.
«Cosa stai facendo?» sobbalzo come attraversata da una scarica elettrica, Irene corruga la fronte e arriccia il labbro superiore. Sporge la testa oltre finestrino per assicurarsi che non ci sia nessuno, acconcia la montatura sul naso e osserva con sospetto l'area circostante. Nascondo l'aggeggio sotto al sedere come se avessi confiscato la scorta segreta di caramelle al lampone dello Zio Tony, sono stata beccata come una ladra alle prime armi.
«Era un ragazzo quello che ho visto dell'altro lato della strada?» chiede, schizzo in piedi come una molla. Oscillo la nuca da destra a sinistra, e viceversa. Del cavaliere mascherato nemmeno l'ombra, risiedo affranta sul parabrezza dell'auto. La donna sghignazza consapevole della reazione scaturita. È malefica, maledetta vecchiaccia.
«Non è divertente» commento.
«Lo è, se è un uomo a ridurti in questo stato».
Alzo gli occhi al cielo. «Non comportarti in questo modo, dovrebbero essere gli uomini a sgobbare per te. Un tempo c'era la guerra e si faceva la fila per ricevere almeno un saluto dalla donna desiderata, tuo nonno ha att...» si avvicina, facendomi segno di restare in silenzio. «Tuo nonno ha atteso sei mesi per un bacino innocente» bisbiglia come se fosse un segreto inconfessabile.
«Mi dispiace», dico con fare polemico. «Ma questi discorsetti non reggono con la sottoscritta, sono una donna emancipata: lavoro, guido e ho studiato. Ci sono state donne che si sono battute per avere questi diritti, non sarà un bacio o del sesso ad infrangere anni e anni di lotte» affanno come se avessi corso venti chilometri tutti d'un fiato. Mi squadra dall'alto in basso con un sorrisino che non promette bene, guardingo e attaccabrighe.
«Ma tu, credi che queste cose non le sappia? Sunnu vecchia, mica sciumunita. Oggi, fortunatamente, è tutto cambiato. E menomale, oserei dire. L'esempio lampante è tua madre, avrebbe potuto accettare ciò che vostro padre ha compiuto a sua insaputa, ma ci ha rimuginato bene» spalanco le palpebre, lei ne è a conoscenza. Non è giunta qui incosciente, qualcuno le aveva già suggerito come comportarsi in presenza di sua figlia. «L'ha fatto per voi, solamente per il vostro bene. Avresti osservato Miles con le stesse iridi limpide e senza colpe?».
Nego, l'umore muta e trattengo l'impulso di piangere, inghiottendo il groppo amaro.
«Emilia non ha mai fatto affidamento su altri, sempre e solo su se stessa. Tuo nonno si è comportato allo stesso modo, ci ha abbandonate per una donna più giovane e sai cos'ho fatto io? Mi sono rimboccata le maniche e ho gestito da sola il negozietto di famiglia. Lei è forte, ha bisogno solo di tempo e di affetto» porta il palmo sulla spalla destra e stringe forte le falangi nei pressi delle clavicole.
«Quello che sto cercando di dire», riprende la conversazione faticosamente. «Non c'è nulla di sbagliato nell'attesa, sentiti libera di poter scegliere. Se questo ragazzo non muove un passo in avanti, non cercare di trattenerlo. La morale della favola è che nessuno nasce diviso in due, siamo nati interi perché ci completiamo soli». La concezione che ha esposto non è del tutto errata, ci sono già cascata con Clay e non accadrà di nuovo. A volte alcuni si innamorano delle persone sbagliate, ma non è una colpa. E col senno di poi, è chiaro. A volte è meglio aver amato e perso, che non aver amato mai.
«Grazie per essere venuta...» le parole alleviano il peso contenuto nello sterno. «Hai fatto un buon lavoro, sei stata brava» afferra la chioma dorata e intreccia in modo lento la porzione che pende sul dorso.
«Zia Leonia non ha avuto il tuo stesso coraggio e questo ti fa onore Raisa, ma la prossima volta dì a Brianna di controllare il fuso orario prima di chiamarmi!».#spazioautrice
Dopo mesi di inattività, crisi isteriche e canzoni melodrammatiche, posso dire di avercela fatta! Non sarò precisa, non aggiorno un giorno a settimana e non sono perfetta. Ma chi lo è?! Nonostante non abbia molto seguito su questa storia vorrei scusarmi, in primis, con le poche persone che attendono un mio aggiornamento e poi con chiunque mi abbia dato fiducia nel leggere le loro storie. Prometto che riprenderò con calma, nel frattempo vi auguro di trascorrere le vacanze nel migliore dei modi.❤️
Un bacio, Fatima.🌻
STAI LEGGENDO
𝑭𝒊𝒐𝒓𝒊 𝑵𝒆𝒍 𝑩𝒖𝒊𝒐.
Random🔞 Questa storia contiene: violenza, linguaggio scurrile, scene che possono urtare la vostra sensibilità e uso di stupefacenti. E se ci fossero due sentieri da esplorare? Tu, quale sorte tenteresti? Raisa è una ragazza di diciannove anni, uno spic...