Capitolo 30

26 2 0
                                    

Damen

Un giorno vidi un uomo sulla porta, aveva fra le mani un borsone ripiegato su se stesso e indossava uno strano giubbotto imbottito. Ne avevo già visto uno simile da qualche parte, nel sedicesimo distretto. Li indossavano i ragazzini ricchi, quelli del centro. Angel aveva confessato che li compravano con i soldi della droga, ma io non sapevo nemmeno cos'era la droga.
Angel diceva che la mamma la iniettava diretta nelle vene. Poi si riaddormentava e restava buona fino al mattino successivo.
Angel mi accompagnava spesso a scuola e, quando lui non poteva, restavo ad aspettarlo per ore in attesa che arrivasse. Angel procurava da mangiare, Angel mi lavava i vestiti nella vasca da bagno e li stendeva sulle inferriate in giardino, Angel era mio fratello e io gli volevo bene, nonostante fosse molto diverso da me. Pallido. Bianco. Io avevo la pelle scura. Nera.
Quando vidi quell'uomo sulla soglia rimasi sbalordito dalla somiglianza, ero io proiettato nel futuro. Aveva il mio stesso naso e i miei stessi occhi. Si avvicinò, mentre la polizia raccoglieva il corpo inerme della donna che mi aveva generato.
«Hendrick» disse. Come conosceva il mio nome? Non l'avevo mai visto prima.
«Hendrick, io sono Dominic. Tuo Zio.» Zio? I bambini dell'asilo avevano parlato di loro qualche volta, li portavano al Luna Park e gli compravano caramelle. E io li avevo invidiati, ne volevo uno anch'io. Non avevo mai avuto il coraggio di chiederlo ad Angel, sapevo che lui avrebbe fatto di tutto per farmene avere uno. Ma avevo capito che uno ''Zio'' non poteva essere comprato, non aveva un costo. Era una persona e le persone non si comprano nei negozi.
«Mi fai vedere la tua cameretta, così prendiamo le tue cose?» Cameretta? Io non avevo una stanza tutta mia, dormivo con Angel nel camerone al piano di sopra. Per terra, su un materasso sporco che aveva preso dal retro di un market e trascinato per chilometri. Non dissi niente, non avevo molto da dire. Mia madre era morta da appena sei ore, la casa in cui vivevo era circondata da persone e mio fratello era stato sfregiato con una bottiglia di vetro. Sfregiato a vita, non sarebbe mai più tornato come prima. Un lamento uscì dalla mia bocca, prima di dire che non avevo niente. Giocattoli, vestiti...tutto era andato perduto. Non avevo nulla, tranne il ragazzino accovacciato contro il muro.
«Angel, prendiamo Angel» sussurrai fra le lacrime. Dominic mi guardò, sorrise ed era rassicurante che fosse calmo alla mia risposta. Non avevo pretese, ero già stato abbandonato. Che se ne andasse non aveva importanza, sarei rimasto dov'ero.
«Non possiamo. È complicato, tu hai un padre. Una famiglia da cui tornare, Angel sarà affidato a quelle signore laggiù, le vedi?» le indicò, finsi di guardare ma ero fermo al sangue incrostato sul viso del mio eroe. Mi aveva salvato, ero l'obbiettivo di mia madre. ''Sei stato un errore, quel bastardo di tuo padre mi ha scopata e poi lasciata! È tutta colpa tua!'' aveva detto, prima di venirmi contro per picchiarmi. Non pensavo mai all'uomo che mi aveva abbandonato, fino a quel momento Angel era stato l'unica figura presente a prendersi cura di me. Quando Dom allungò la mano e mi tese l'incarto di una caramella pensai che Dio avesse esaudito le mie preghiere e allora incrociai e le dita e supplicai l'onnipotente: «Ti prego, esaudisci il più importante dei desideri. Fai in modo che mio fratello sia felice, non voglio che abbia un'altra mamma cattiva. Dagli una famiglia buona e gentile»

Fu affidato ad un nucleo facoltoso, fuori dal distretto. Zio Dominic restò in contatto con le assistenti sociali fino alla maggiore età. Il tempo ha continuato a scorrere fino ad oggi, ma non ho dimenticato. Certe cose non puoi dimenticarle. Puoi crescere, diventare adulto. Ma la paura, la paura...il terrore di tornare al punto di partenza resterà attaccato come una seconda pelle.
«Hendrick passami la chiave inglese!» richiama l'uomo nascosto sotto il motore del furgone. Torno nel presente, al ranch. Seduto sul tronco di un albero appena falciato.
«Eh?» domando. Le ruote del carrellino si spostano in avanti, mostrando il viso di Zio Dom sporco di grasso. Aggrotta le sopracciglia incuriosito dal mio atteggiamento, «La chiave inglese. Quella che hai fra le mani da qualche minuto. Mi stai ascoltando?» si issa con un balzo e asciuga il viso con una pezzetta poggiata sulla spalla. Gli cedo l'attrezzo e poggio i gomiti sulle ginocchia, alla luce del sole risaltano le venatura sugli avambracci. Ha i calzoni al di sotto delle anche ossute e riesco a leggere con facilità la scritta sull'elastico delle mutande.
«Arnold mi ha riferito che Akiro è tornato da sua madre in Corea. Dopo la furiosa lite e la pistola puntata contro la tempia ha capito che questo non era il suo posto» Bene. Un bastardo in meno. Sghignazzo leccando il labbro inferiore con stizza.
«Vuoi piantarla di ghignare come una scimmia?» rimprovera, ma un sorriso beffardo spunta sull'orlo e mi imita. «E tu vuoi piantarla di sistemare questo catorcio? Sai quanti furgoni potresti comprare con il tuo conto in banca?» sollevo il sedere e concedo una leggera sbirciata al motore. Non do menzogne, così come non dono la mia anima. È andato. Morto. Non c'è più nulla da fare per riportarlo in vita.
«Sei ancora un moccioso» beffeggia, dandomi una pacca sulla spalla. «Sai quante donne ci ho portato su questo ''catorcio'' come lo chiami tu? Molte. Nemmeno immagini quante mi si aggrappavano ai pantaloni per salirci». Ne dubito, ma resto in silenzio sorridendo come uno stupido. Estraggo il pacchetto di cioccolatini al pistacchio dal giubbotto imbottito è sorrido al ricordo di quando non potevo permettermi nessuno dei due.
«Ho rivisto Angel» sgancio la bomba, mentre indosso una maschera d'indifferenza. «Il giorno del mio compleanno» dichiaro, «Vive nella vecchia casa in cui stavamo, ha una moglie e una bambina» confesso, mentre mastico lentamente la pallina verdastra. Torno a sedermi sulla vecchia quercia lesionata e attendo che dica qualcosa in sfavore al gesto affrettato ciò nonostante, sorprende entrambi, accomodandosi accanto a me. Gli porgo l'involucro pieno e ne estrae due infilandoseli fra i denti.
«Ingordo» pronuncio, prima di ripetere lo stesso gesto.
«Sua moglie è una brava donna, sua figlia è stupenda. Ma sai qual è stata la cosa più difficile da metabolizzare?» volto verso di lui, incrociando le pozze scure. Ha i capelli scompigliati sulla testa e la felpa bucata sul petto, eppure non si direbbe un criminale vestito in questo modo. Sembra il proprietario di una fattoria dispersa nel Montana e, sono sicuro, che gli farebbe piacere esserlo in questo periodo della sua vita. «Sono zio da quattro anni Dom e non conosco Emma. Non conosco il suo colore preferito, il suo gioco preferito. Sono un estraneo per lei, nonostante Angel gli abbia parlato di me. Io...Noi non abbiamo mai avuto bambini in giro per casa» deglutisco ed estraggo una Lucky Strike dal pacchetto, la infilo fra le labbra beandomi dei raggi solari. Il Natale si avvicina e, nonostante il freddo, l'aria non è gelida come mi aspettavo. In lontananza i monti sono ricoperti di neve, mentre ai loro pendii sembra primavera per quanto il sole scalda la pelle. Madelyn ha già stilato una serie di regali per ogni componente della famiglia, io mi limiterò a donare pacche sulle spalle e sorrisi di circostanza. I soldi non sono un problema, odio perdere tempo con questi convenevoli poco produttivi. A differenza mia, lei ama questo genere di cose.
«Tuo padre mi informò che aveva avuto un figlio al di fuori del matrimonio una sera. Da ubriaco. Non ero molto contento, pensai che era stato uno stronzo e che tua madre non lo meritava» schiaffeggio scherzosamente il braccio in segno di protesta. «Nel momento in cui ti vidi in quella casa squallida pensai che se non ti avesse riconosciuto come suo, lo avrei fatto io» afferra il retro del collo e stampa un bacio sul capo come farebbe un padre con suo figlio. «Nonno Gerard si rifiutava di chiamarti con il tuo nome perché gli ricordava l'infedeltà di tuo padre verso Hel, così decise di fingere una morte apparente e ribattezzarti come Damen. E per la prima volta ero contrario ad un pensiero del nonno, non ci siamo parlati per mesi. Per me eri e sei Hendrick, quel bambino dallo sguardo assente» ruba la sigaretta per portarla alle sue labbra. Annuisco, perché lo sono ancora. Triste. Ansioso.
«Ma devi sapere che ho continuato ad incontrare Angel anche dopo essere andato via dalla sua famiglia temporanea» rivela, un brivido attraversa la schiena mentre ha tutta la mia attenzione. Devo sapere, ne ho bisogno. «Ti ha cercato, ha sempre cercato un contatto diretto con te. Gli ho anche inviato dei soldi qualche volta...» conclude. Serro la mascella perché so come si concludono questi affari e non voglio credere che Dominic gli abbia richiesto una percentuale, stringo i pugni poggiati sugli zigomi.
«Ma non li ha mai accettati, mi sono sempre stati spediti indietro con scritto che avrei dovuto tenerli per il tuo futuro» scuote il capo, incredulo. Per il mio futuro. Nonostante la sua necessità, ha sempre avuto il timore che fossi io quello bisognoso.
«L'hai fatto? Hai tenuto i soldi?» domando.
«Certo. Ho comprato il terreno in cui siamo adesso» indica Tempest a pochi passi da noi. Mangiucchia l'erba e solleva la testa quando emetto un fischio a pieni polmoni. Il manto è stato appena strigliato, nero e lucido come la notte. È stupendo visto da questa prospettiva, selvaggio proprio come me. «Quando ti fu diagnosticata la Rupofobia pensai che nessun farmaco avrebbe potuto curarti. Zio Tourus non credeva nemmeno che esistesse una fobia del genere» ed è la prima volta che ne parliamo. Abbiamo evitato l'argomento tutte le volte che si presentava. Per mio volere. Non mi piace spiattellare in giro quanto mi faccia soffrire la condizione in cui sono. Un disturbo che colpisce 3-4 della popolazione mondiale, consiste nell'ossessione di pulire se stessi ed evitare le fonti di sporco. Ed io, essendo un soggetto debole, ho strofinato così tanto che il sistema immunitario ne ha risentito. Continuavo a percepire lo sporco fin sotto l'epidermide. Così grattavo assiduamente... grattavo via ogni traccia di quello che c'era prima di arrivare qui. Mi sono ammalato molte volte, così tante da restare a letto per mesi. Le vitamine erano il pasto principale della giornata, finché Tempest non mi ha travolto. In bene, ovviamente. Ma ne soffro ancora. Ricasco, in continuazione, nel circolo vizioso delle ossessioni. Acquisto il bagno-doccia al muschio bianco perché senza mi sentirei perso. Il profumo ai fiori d'arancio calma lo stato d'ansia. Milly deterge le lenzuola provvedendo a disinfettare il materasso ogni giorno. Chiedo espressamente delle posate di plastica nei ristori e se, mentre mastico, penso che potrebbero averci messo le mani impasticciate di qualche altro condimento, allora ordino un'insalata, in busta. Odio le feste, il contatto diretto con le persone è un inferno per la parte remota del mio cervello. La bocca diviene pastosa, i palmi grondano sudore e non c'è cosa più difficile da sopportare. Il disagio si percepisce attraverso gli occhi e il tremolio delle ginocchia. Non riesco a controllarlo. Una delle cause principali è il forte senso di responsabilità, il peso delle scelte incombe sulle abitudini. Dominic ha alleviato la sindrome esponendomi alle fonti principali: il fango, la pioggia, l'erba, il grasso dei motori, la paglia e, anche se alcune osservazioni non posso evitarle, sono calmo. Non ho più scatti frenetici, non scappo dai gala e ho persino abbracciato delle persone al di fuori di Jeremy e Maddy. Hai anche baciato una ragazza che non conosci...ricorda la vocina. Riguardo al sesso sono davvero meticoloso, niente baci e di nessun tipo. Niente sesso orale. Nessun tipo di contatto. E doccia bollente alla fine di ogni rapporto. Come ho già detto, ci sono cose che non posso controllare.
«Lunedì ho un pranzo di lavoro con Jhonny Carrell, riguarda l'ultima gara vinta e non posso lasciare che Jeremy vada da solo» tento di insabbiare la conversazione a mio favore. Bugia...grande bugia. E Dominic lo riconosce, aggrotta le sopracciglia e sospira. «Non puoi saltare la prossima riunione» ingoia il groppo, rigido. C'è solo una spiegazione: ci sono aggiornamenti sul caso.
«La situazione è diventata più difficile di quel che sembra, non conosco i dettagli. Tuo padre non ha voluto dirmi nulla, ma non l'ho mai visto così serio e preoccupato» ridacchia sprezzante, la ruga spunta al centro della fronte e riconosco che sta mentendo. Proprio come ho fatto io pochi secondi fa. «Come va con la ragazzina? Sei riuscito a conquistarla?» chiede con una punta di curiosità nel tono.
«Si chiama Raisa» puntualizzo.
«E dovrebbe essere rilevante il suo nome? Ti ho fatto una domanda» Si, lo è. Rilevante. Per me. «Potrebbe confessare in vista di un processo?».
Un processo.
Un processo.
Avverto una presa intorno al collo. Il respiro si fa affannoso. C'è qualcosa che non comprendo e voglio saperlo in questo preciso istante. Scatto in piedi e sovrasto sulla figura. Ha lo sguardo terrorizzato di chi è sorpreso da qualcuno, o meglio qualcosa. L'auto di Jeremy sfreccia fino a fermarsi a pochi metri da noi, Madelyn apre la portiera con uno scatto e si precipita ad abbracciarmi. È sconvolta. La crocchia sulla testa è sfatta e indossa un pigiama a tema Natalizio, la sento singhiozzare contro la spalla. Fisso mio cugino in attesa di una spiegazione, ma è la presenza di mio padre a sconvolgermi. Nessun completo raffinato, solo una t-shirt slim fit e un pantalone largo. Tempest è spaventato dalla presenza di troppe persone, percepisce l'agitazione e fugge via sbizzarrito.
«Cosa sta succedendo?» oscillo la vista da Dom a Jay più volte, quest'ultimo strofina la mano al centro del petto. Brutte notizie. Un messaggio criptato che utilizzavamo da bambini. «Cosa vuol dire brutte notizie? Volete aprire quelle cazzo di bocche!» urlo in preda al panico. Scrollo di dosso il corpo minuscolo di mia sorella e m'avvicino ad Andrew con una strana sensazione.
«La polizia ti sta cercando...» sospira, visibilmente affranto.
«La polizia mi sta cercando?» ripeto. Il petto brucia, lo schema mentale che avevo diviene in frantumi come uno specchio scaraventato contro il pavimento.
«Stanno cercando Damen Anderson per l'omicidio di Simon Dowell».
Una pena ecco cos'è, questo nome è una condanna all'ergastolo da sempre.

𝑭𝒊𝒐𝒓𝒊 𝑵𝒆𝒍 𝑩𝒖𝒊𝒐.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora