24. La mia crocerossina

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SAMANTHA

Le ore passano e le ombre createsi con la luce dei raggi del sole che filtravano dalle finestre variano nella stanza man mano sempre più velocemente.

Cammino ammirando quella che sembra
un'anonima stanza da copertina su quelle riveste di arredamenti di lusso. È tutto immacolato e perfettamente simmetrico.

Mi avvicino alla grande cassettiera per curiosare e soprattutto per controllare se il mio cellulare si trova lì dentro.

Apro i cassetti e curiosando qualcosa attira la mia attenzione, una foto.
Una ragazzina, molto carina che sorride alla telecamera mentre abbraccia un ragazzo che contrariamente invece distoglie lo sguardo dall'obiettivo quasi come se non sapesse che lo stessero fotografando.

La foto è molto bella e a giudicare dai margini ingialliti deve essere passato un po' di tempo da quando è stata scattata.

I miei pensieri vengono interrotti dal suono delle auto e degli sportelli che sbattono per richiudersi velocemente, mi avvicino alla finestra, poso la foto dove l'avevo trovata ed esco dalla stanza per andare a cercarlo.

Non voglio più stare qui.

Devo tornare a casa e deve restituirmi il cellulare.

Arrivo alla fine del corridoio e mi accingo a scendere le scale, i tatuaggi dietro la nuca mi fanno capire che il ragazzo di spalle è Stephen.

<STEPHEN LUI DOV'È ? VOGLIO ANDARMENE E PER FARLO MI SERVE LA MIA ROBA!> lui si volta verso di me e si sposta di lato per mostrarmi l'uomo a cui la mia rabbia è rivolta.

<MI HAI SENTITO? BASTA NON PUOI TENERMI CHIUSA QUI DENTRO!> mi avvicino al divano
dove è seduto e non sembra neanche che mi abbia sentito

<fai finta di non ascoltarmi?!>
Stephen fa qualche passo verso di me

<Samantha.. per favore calmati lui..>

<Stephen vai via ti chiamo più tardi>

Mi guarda e poi si dirige verso la porta per andare via. Il rumore della porta che si chiude è l'unico suono rimasto sospeso tra noi.

<LASCIAMI ANDARE VIA È INUTILE CHE IO RIMANGA QUI>

<non urlare>

<IO URLO QUANTO VOGLIO, NON PUOI COMANDARMI>

Si alza dal divano e mi si para davanti. Il suo sguardo sembra trafitto da dolore ma sul suo volto nessuna espressione traspare.

<ho detto non urlare> la sua voce ferma sembra però vacillare

<Vicktor non mi interessa cosa vuoi io non voglio più stare qui>

Quando sta per dire qualcosa si blocca e si accascia cadendomi quasi addosso. D'istinto lo sorreggo nonostante il suo peso

<Vicktor che hai ..?>

Cerco di arrivare al divano dove lui si lascia cadere a peso morto.

Si sposta la giacca e solo in quel momento noto una macchia sul fianco della camicia nera come se fosse bagnata.
Quando fa per alzarla macchie di sangue compaiono sulla sua pelle lucida

<Vicktor oddio sei ferito>

<tranquilla non è niente> faccio per alzargli la camicia ma lui mi blocca

<che fai?>

<ti aiuto> cerco di togliergli la giacca lentamente per evitare di fargli male e poi inizio a sbottonare la camicia

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