Non ho voglia di dilungarmi troppo su questo frammento della mia vita perché significherebbe dover riconoscere che tutto il male che ho provato non è solo frutto delle decisioni e delle mancanze altrui ma anche colpa della mia fragilità, del mio sentirmi forse “vittima” di meccanismi troppo complicati da poter comprendere quando si è piccoli, di quella che gli studiosi chiamerebbero sindrome da abbandono : essere abbandonato da chi ti ha messo al mondo, da un paese che ti giudica e ti emargina ….. essere abbandonato da te stesso.
Per mesi mi sono rifiutato di rispondere alle decine di telefonate che mi faceva Jean, non sapevo come potergli spiegare il mio stato d’animo, non mi sentivo in grado di fargli capire perché mi sentivo così, rotto dentro, per cui dopo avergli detto che mia madre era morta sono semplicemente sparito tra le strade di una bellissima città ma che per me era sconosciuta.
La Svizzera francese è davvero un bel posto e per qualche giorno sono riuscito a mettere da parte la mia solitudine per dedicarmi al turismo d’altronde la curiosità e la voglia di avanscoperta mi avevano sempre accompagnato nella mia vita :
quelle fontane, l’orologio rintagliato nell’erba che dava un tocco di colore, il giardino botanico ricco di fascino per non parlare della sede dell’ ONU circondata da getti d’acqua e con quella monumentale sedia dalla gamba rotta che racchiude tanta storia…
quella scultura rispecchiava in pieno il mio stato d’animo: una sedia rotta che per natura avrebbe dovuto crollare sull’asfalto ma che era ancora lì in piedi a resistere ed io in quel momento mi sentivo proprio come quella sedia anche se troppo spesso mi rispecchiavo di più in quella gamba di legno spezzata e intrisa di schegge.
Un posto incantevole per viverci ma la mia non era solo una visita turistica, era una fuga da me stesso e da tutto quello che incessantemente riportava a galla dei ricordi che avrei tanto voluto dimenticare;
ormai ero in balia delle mie debolezze e l’unica cosa che bramavo era non pensare, smettere di ricordare così inizi a bere un bicchiere di vino, poi due, poi ancora un altro ed i ricordi iniziano ad assopirsi; quindi decidi di continuare perché vedi che in qualche modo l’alcol funziona e vai avanti ininterrottamente per settimane fino a che ti ritrovi sul divano della tua camera privo di sensi e con una bottiglia vuota in mano, proprio come mia madre.
Buffa la sorte, quel liquido alcolico che fino ad ora mi aveva allietato le giornate mi stava trasformando in una copia peggiore di colei che provavo disperatamente con tutte le mie forze di dimenticare imbevendo continuamente le mie labbra con quel succo proibito.
Ho passato mesi con la mente offuscata fino a che non mi sono ritrovato in ospedale, malconcio e con le ossa rotta dopo aver distrutto la moto che si era andata a schiantare contro un albero.
Al mio risveglio Jean era accanto a me, spaventato e pallido che mi chiedeva di tornare con le lacrime agli occhi: non ero pronto per tornare ma sentivo che aveva bisogno di me e così ho fatto ritorno nella mia cara Italia.
A lui ho sempre detto che era stato un banalissimo incidente ma a te, mio caro Osservatore, posso dire la verità anzi probabilmente non ce ne è bisogno perché avrai già capito a cosa mi sto riferendo per cui forse è meglio ritornare al fulcro di tutta questa storia che non ha nulla a che fare col mio soggiorno straniero.
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DIARIO DI UN UOMO QUALUNQUE
ChickLitGioie, dolori, speranze, paure....praticamente la vita; un passato che viene a galla affidato a poche pagine bianche per ricordare ciò che è stato perché i ricordi sono la prova che si è vissuto e l inchiostro fa da sfondo a questo strano ma favolo...