Capitolo 33

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Blake

- A cosa devo questa chiamata? – Domando guardando i miei genitori che hanno l'aria nervosa e non riescono a guardarmi negli occhi.

- Forse è meglio che io ne stia fuori- Mormora Cassandra, a disagio.

-No, qualsiasi cosa sia voglio che tu rimanga, fai parte della famiglia-

Annuisce.

- Figliolo sarà meglio che ti segga e magari bevi qualche cosa-

- Che cosa sta succedendo? E perché la mamma ha l'espressione di una che sta per avere un attacco di cuore da un momento all'altro? –

- Dobbiamo dirti una cosa che potrebbe essere scioccante. Quindi ho bisogno che tu rimanga calmo sino a quando non abbiamo finito di parlare -

- Ora mi sto iniziando a preoccupare-

- TI prego siediti-

- Papà –

- Ti prego figliolo, è meglio se ti siedi-

Sento la mano di Cassandra sul mio braccio. Mi volto leggendo la preoccupazione nel suo sguardo.

Sospiro.

- E va bene – Cedo, sedendomi.

Osservo mia madre deglutire, per poi prendere la mano che mio padre le offre, stringendola, come per avere forza.

- Dobbiamo iniziare da prima della tua nascita, quando non eri neanche un pensiero nella mente di tua madre- Inizia con voce tremante.

Rimango in silenzio.

Prende un profondo respiro.

- Sono nata in Russia, in una famiglia contadina, negli anni in cui l'istruzione alle donne non era necessaria perché tutto ciò che veniva loro richiesto era sfornare figli o almeno è questo che ha sempre pensato mio padre. Ero la minore di tre figli maschi e la maggiore per solo un minuto della mia gemella-

- Non mi hai mai detto che avevi una gemella-

- No. E' vero. Io e lei eravamo molto legate, come tutti i gemelli. Lei era gentile, amabile, il sole sembrava seguirla ovunque. Difficile trovare qualcuno che non l'amasse-

- Fammi indovinare, tu non lo eri-

- No. Ero ribelle, decisa a sfuggire ad un destino di stenti e fatica dove l'unica cosa che mi veniva richiesta era aprire le gambe ad un uomo che vedeva in me una serva e una fattrice. Quando siamo cresciute, la diversità di personalità si è fatta sempre più importante. Lei era sottomessa, accettava tutto ciò che le veniva detto di fare, non si ribellava mai, era un angelo senza le ali. Io mi ribellavo ad ogni cosa, non sopportavo le imposizioni e la mentalità retrograda di mio padre che era il solo capo in casa, la sua parola era legge. Mia madre era una serva nella sua stessa casa, non contava nulla. Ed io non volevo fare la sua stessa fine. Ma non si ottiene sempre ciò che si vuole. A sedici anni, stanchi della mia ribellione, appurato che non sarebbero mai riusciti a farmi sposare, mi vendettero ad un uomo del nostro villaggio che trovava lavoro alle ragazze in città. Puoi immaginare che lavoro fosse. Ho resistito un anno in quel dannato bordello, poi ho avuto la mia occasione e sono fuggita. Sapevo che c'erano associazioni segrete che mi avrebbero aiutato a cambiare nome e vita. Ho camminato per giorni, senza mai fermarmi per paura di essere ripresa. In quel caso sarei morta e non volevo morire. Non avevo lottato tutta la mia vita per morire per mano di un lurido bastardo pervertito. Quindi ho seguitato a camminare, non so per quanto, senza acqua se non quella che riuscivo a trovare mangiando la neve, ne cibo, fino a quando il mio corpo stremato non è più riuscito a reggersi in piedi e sono svenuta. Quando mi sono risvegliata ero in una parrocchia. Ho scoperto poi essere una delle poche parrocchie in contatto con associazioni che aiutavano le ragazze come me scappate di casa. Mi dissero che ero stata fortunata e che il bambino era ancora vivo. Ero al secondo mese di gravidanza-

The lost son (mafia serie7) CompletaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora