28

159 23 5
                                        

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

28

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

28

Il silenzio attorno a noi avvolgeva i nostri corpi; lo sguardo rivolto verso il basso, le punte dei piedi rivestiti dalle scarpe erano rivolte verso il cielo, distesi su quel prato sabbioso del parco, il rumore in lontananza di qualche televisore accesso, le discussioni animate provenivano da qualche appartamento con le finestre aperte, qualche zanzara ronzava attorno a noi e ogni tanto si sentiva lo scoppiettare delle mani per uccidere il piccolo essere fastidioso.

Ma il resto era tutto vuoi; le nostre gole, le voci, le bocche erano secche di parole.
Io stavo per partire.

Osaka
Osaka
Osaka.

La voce di Jungkook urlava quel nome di città, il suo corpo sembrava aversi tatuato quella parola: O S A K A.
Improvvisamente mi sembrò di avere al mio fianco un estraneo, uno sconosciuto appena incontrato, in un locale squallido che puzzava di liquore e urina per via dell'intoppo nel water; una persona  conosciuta per puro caso: improvvisamente non eravamo più due fratelli diversi, non eravamo più due innamorati, non più Tae e Jungkook.
È incredibile come, una mia partenza aveva sconvolto tutto: era previsto che sarebbe ritornato dal militare, io lo aspettavo fino al suo ritorno e di nuovo, ci saremo amati di nascosto, ma ora, ora che io nei brevi giorni dovevo salire su quell'aereo, mai preso, non ho mai visto un cielo dall'alto, nemmeno i tetti delle case avevo visto da così tanta distanza, una città aveva ribaltato le carte, un'opportunità.
Eravamo seduti sul terriccio del parco, con le mani che si sfioravano appena, sempre cauti sotto gli occhi indiscreti della gente, era la sera prima di partire, e incominciò a mancarmi l'aria al solo pensiero che tutto quello che avevamo vissuto ed eravamo sembrava essere sul ciglio di svanire.

Non era la prima volta che dovevamo salutarci: quando lui era partito per il militare io sapevo che sarebbe ritornato, alla stazione lo salutavo con la consapevolezza che lui ritornava a casa: ma questa era la prima volta in cui ci saremo rivisti chissà quando.
Entrambi eravamo spaventati al solo dire "ci rivediamo". La paura di non volersi più con la stessa intensità di quei mesi lontani: di telefonarci sempre più di rado fino a non chiamarci più, a non scriverci: davvero eravamo pronti a questo? Noi due? Perché ci spaventava così tanto una lontananza? Perché Jungkook sapeva che io bramavo di andarne, i miei piedi correvano verso l'uscita da Hanok: la paura di entrambi era di rimanere distanti, che lui non sarebbe mai uscito da quelle quattro mura ed io, non sarei più ritornato: era la paura di proseguire per vie diverse; noi due che eravamo abituati a vivere un'unica vita in due.

E la mattina seguente ero già sveglio da un'ora mentre lui dormiva accanto a me, mi promise di accompagnarmi lui all'aeroporto , così lo svegliai. Rimanemmo un attimo nel letto condiviso per chissà quanto tempo a tal punto che entrambi i lati avevano assunto le nostre forme del corpo. Ci facevamo bastare quel momento, dovevamo farcelo bastare: l'ultimo momento in cui ci era concesso essere vicini; fino al mio ritorno a casa.
Stretto tra le sue braccia, ora non sapevamo più cosa aspettarci, se non il mio benessere, se non il tempo e cosa ci riserbasse per noi due: sognai di possedere una sfera magica per guardare cosa sarebbe successo tra due anni, perché realizzai che per quanto ero pronto a lasciarmi le spalle quel quartiere che mi aveva marchiato fin dalla tenera età, non ero pronto a vivere senza di lui, non ci sapevo stare.

E un ultimo bacio,
L'ultima valigia che sollevo da terra con i vestiti necessari che sono riuscito a portarmi, dicono che Osaka prevede un clima più freddo rispetto alla Corea.

E poi l'aeroporto,
I taxi, le persone che trascinano le valigie con le rotelle che schizzano sulla strada, le voci, gli altoparlanti che annunciano in lingua straniera, i tabloid con i voli, gli orari, le panchine piene di persone.
In tutto questo cerchio di vita, io e Jungkook eravamo in mezzo.

"Tieni. Conserva questo biglietto. È l'indirizzo dell'Università ad Osaka. Se cambi idea, e vuoi venirmi a trovare." Gli diedi un biglietto spiegazzato che lui si infilò nella tasca del giubbotto.

"Taehyung?"

Alzai le valigie da terra, pronto per il check-in.

"Si?"

"Io con te andrei in ogni angolo del mondo. Ma sono costretto a salutarti qui, in questo aeroporto."

Addio, Hanok.

Mille inverni - TaekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora