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Camminavo lungo la strada, davanti c'era mia sorella Yurina che canticchiava una canzone che andava di voga in quel momento, con un ramoscello bacchettava le staccionate delle case che trovavamo lungo le vie per ritornare a casa; un tragitto che richiedeva una ventina di minuti. Lei usciva prima da scuola, il mio asilo si trovava di fronte al suo e così, quando tutti i bambini aspettavano i loro parenti appena varcavano la porta di scuola, io vedevo una bambina minuta ma troppo alta a differenza dei suoi coetanei, aspettarmi con lo zaino in spalla in mezzo a tanti adulti che si chiedevano dove erano i nostri genitori e perché dei bambini così piccoli non erano accompagnati da nessuno dato che poteva succedere qualsiasi cosa nella tratta; qualche mamma troppo impicciona e preoccupata, ogni tanto ci chiedeva se volevamo essere accompagnati o ne chiedeva il motivo del perché i nostri genitori non c'erano ma la verità è che la macchina serviva per il lavoro a nostro padre e infine, nostra madre rimaneva a casa per le faccende domestiche; per anni, io ho sempre rivisto mia sorella nei panni di un terzo genitore, lei come primo genito si era presa l'incarico di capire fin dall'inizio la situazione che avvolgeva la casa e, lei faceva di tutto per non farmi pesare che noi eravamo diversi dai bambini che ci circondavano. I miei genitori avevano scelto scuole lontane dalla nostra abitazione, preferivano che noi frequentavamo persone migliori, bambini di uno spessore per lo più medio: vicino ad Hanok c'erano sia le scuole materne che quelle elementari, ma erano frequentate per lo più dai bambini del quartiere che passavano più il tempo a combinare guai che seguire una certa educazione, fu al quanto difficile per i miei genitori, inserirci in scuole lontane dalla nostra realtà e abitazione, ma in qualche modo ci riuscirono, facendoci frequentare scuole di persone comuni a noi ma che sicuramente vivano una situazione più dignitosa.
La voce di Yurina si espandeva tra le case delle persone, ogni tanto si girava per vedere se ero ancora dietro di lei e se la seguivo, ed era così, io ero sempre stato un bambino obbediente anche nei suoi confronti, scalciavo qualche sassolino, raccoglievo qualcosa che catturava particolarmente la mia attenzione ma rimanevo sempre dietro di lei, e solo così passava il tempo per ritornare a casa, sia la mattina che il pomeriggio poco dopo l'ora di pranzo.

Di quel giorno ricordo che avevamo appena varcato il portone d'ingresso, una porta fatta tutta di ferro che graffiava il pavimento ogni volta che la si faceva oscillare avanti e indietro; dal drone del palazzo si udiva il vocio delle persone, nello specifico si notava subito la tonalità femminile e in maniera indistinta, riconobbi subito la voce di mia madre. Sentivo le parole " è un giovane ragazzo" "bisogna aiutarlo mi fa così tanta tenerezza", a parlare era la nostra vicina di casa, una signora sulla cinquantina, un po' in carne per via delle troppe gravidanze portate avanti, solo per lei si contavano cinque figli, tra cui Choi, l'ultimo dei fratelli nonché mio amico d'infanzia, con lui ci passavo le giornate intere a giocare e, ogni tanto si univa mia sorella, quando era un po' più piccola, in età adolescenziale incominciò a frequentare le ragazze del quartiere ma in generale, i bambini di Hanok o perlomeno quelli della schiera del nostro palazzo, erano quasi tutti coetanei, e allora ci riunivamo nei palazzi d'inverno per giocare mentre d'estate si rimaneva all'aperto, dell'unico parco disponibile, colui che aveva visto anche la nostra adolescenza, cambiava che al posto di giocare con i giochi mal messi, rimanevamo intere giornate sulle panchine a fumare sigarette rubate da genitori e bevendo le poche bottiglie di alcool che riuscivamo a portarci da casa.
Ritornando alla madre di Choi, quando arrivai al terzo piano dove noi abitavamo, la sua chioma di capelli neri e mossi, penso che era l'unica asiatica del quartiere a sottomettersi alla permanente, me l'ho spiegò un giorno mia madre, indossava un vestito rosa con dei fiori ricamati, e il grembiule che indicava l'ora di pranzo, era di spalle mentre parlava con mia madre e altre donne del palazzo.
Mia madre notò la presenza dei suoi figli fermi all'ultimo gradino di scale, non ci salutò ne tanto meno ci disse di rientrare, troppo presa dal discorso fomentato della donna davanti a lei, guardai mia sorella che subito si perse a sentire i discorsi di adulti, a lei piaceva ascoltarli, ogni tanto quando nostra madre invitava le stesse persone che erano presenti in quel momento per un caffè in casa, mia sorella si sedeva accanto a lei e senza dire una parola li ascoltava, a me invece, annoiavano parecchio i loro discorsi anche perché per lo più erano pettegolezzi di quartiere, si perdevano a raccontarsi i tradimenti di altri uomini, di figlie incinte di qualcuno, figli che cadevano in dipendenze altri in delinquenze, e notavo che ogni volta mia madre alzava gli occhi al cielo, ma non perché era stufa di sentire la solita storia, ormai lei si era integrata bene su quel punto di vista, a tratti era simile a tante altre donne e mamme del quartiere, ma io capivo che lei infondo al suo cuore, sperava che i suoi due figli non diventassero mai protagonisti di quelle disgrazie, di non sentire mai i nomi "Yurina" e "Taehyung" dalle bocche di quelle donne.

Sentì il mio stomaco brontolare, dopo aver passato una decina di minuti seduto accanto a mia sorella sul marmo bianco e freddo della scala, mi alzai deciso e mi accostai a mia madre, tirandola per la vestaglia che solitamente indossava in casa; ma lei non mi diede ascolto ne tanto meno attenzione anzi, scostò la mia piccola mano dal tessuto e allungò il dito verso il suo naso appuntito, in segno di silenzio, ancora la mamma di Choi parlava, solo che ora al discorso si era unita la vecchia lavandai del palazzo, una signora, la più adulta, ormai in pensione con uno stipendio misero, che passava le ore davanti ad uno schermo della tv piccolissimo, ingozzandosi di soap opera e sigarette, una ne fumava anche mentre parlava, lasciando un odore sgradevole per tutto il corridoio dalle mura grigiastre.
Alla fine mi arresi, cercai di concentrarmi su quello che dicevano e capì che nel nostro palazzo erano arrivate delle persone nuove, un giovane ragazzo si presumeva che, a loro, aveva fatto tanta tenerezza perché era solo e da quello che era riuscita a estrapolare la lavandai, con sé questo giovane ragazzo aveva un bambino, forse il figlio, e allora le donne si chiedevano dov'era la moglie e la madre di questo giovane ragazzo e bambino: ed io mi chiesi tra me e me, in un pensiero che non potevano ascoltare, cosa gli poteva mai fregare a loro del perché questo ragazzo era solo con un bambino piccolo.
Assorto dai miei pensieri e innervosito dalla fame, non mi resi conto che proprio affianco alla madre di Choi si era affiancato da poco un ragazzo e che tutte e tre le donne ora, lo accerchiarono; lui tra le mani teneva stretto uno scatolone che doveva pesare poiché ogni tanto cercava di alleviare il peso tirandolo su: Aveva si e no una trentina di anni, rispondeva a tutte le domande che gli facevano, sopratutto a quelle della lavandaia.
Si chiamava Jin e si era trasferito ad Hanok assieme al piccolo fratello di cinque anni, ed è li che mia madre colse l'occasione di parlare dicendo che anche lei aveva un figlio maschio di cinque anni: " Taehyung! Taehyung! Vieni qui! C'è un nuovo amichetto."
Contro tutta la mia volontà mi alzai di nuovo, sentendo quasi un mal di schiena dato che il pezzetto di marmo premeva contro di essa, appoggiai la mia cartella affianco alle ginocchia di mia sorella che era troppo impegnata a leggere un volantino preso fuori scuola, ormai lo aveva letto già cinque o sei volte nell'attesa.
Mi avvicinai e sentì la mano soffice di mia madre accarezzarmi i capelli, "non fate i timidi dai! Presentatevi!" Mi disse, mentre sentivo gli occhi delle quattro persone puntati verso di me, solo poco dopo mi resi conto che dietro al giovane ragazzo, vi era una piccola figura, simile alla mia, sbucare da dietro, sembrava quasi essere uscito dalla giacca del giovane di nome Jin, il quale si chinò verso il bambino accanto a lui, incitandolo a presentarsi a me.

" Scusalo Taehyung, lui è molto timido. Sono sicuro che però diventerete grandi amici! Ne sono più che certo... però così non iniziate molto bene!" Sentì la fragorosa risata delle signore, specialmente quella sguaiata della madre di Choi che si propose di presentare anche suo figlio al piccolo che si nascondeva dietro al fratello; io che, di natura ero sempre stato un bambino estroverso anche se col tempo le cose erano cambiate diventando più chiuso, allungai la mano verso di lui, cercando la sua stretta, come due veri adulti e mi presentai dicendogli il mio nome.

Subito dopo il bambino prese coraggio e sempre ancorato sulla giacca del ragazzo, si sporse un po' più avanti e si presentò: "io sono Jungkook." Beccandosi una carezza da parte del fratello maggiore che gli sorrideva, soddisfatto che il suo piccolo aveva sconfitto la timidezza, da quel incoraggiamento, alzò gli occhi verso di me e finalmente riuscì a guardarlo in volto, i suoi occhi neri e grandi, una piccola bocca sottile e una cicatrice proprio sotto l'iride destra, appena rosea, non doveva essere tanto vecchia.

Quello fu il nostro primo incontro, la prima volta che lo vidi; e per quanto mi riguarda, l'inizio di noi.

Mille inverni - TaekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora