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Io incominciai a provare qualcosa

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Io incominciai a provare qualcosa.
Il punto è che lui non se ne rendeva conto; è ripetitivo dire che il nostro momento era la notte? Ma cosa posso farci, quello era il nostro attimo e allora, né approfittavo per far uscire i miei sentimenti. Lo osservavo, analizzavo il suo viso, il suo petto nudo scoperto dalle lenzuola. Le sue labbra erano circondate da piccoli peli della barba, erano piccole e morbide, una notte, mentre il suo respiro era pesante, appoggiai le mie sulle sue, proprio come quel ricordo d'estate al campeggio, è quella fu la conferma finale dei miei sentimenti verso di lui, perché provai un fremito così forte, da spaventarmi da solo: decisi di non farlo più anche se le notti diventavano una tentazione: con il suo corpo di fianco al mio, attaccato, riuscivo sempre meno a prendere sonno.
Lui era preso per altro, a scuola era circondato da ragazze e anche ad Hanok si guadagnava la fama di essere il più carino tra tutti noi, ed io me ne rimanevo il silenzio, ridendo a qualche battuta che gli facevano gli altri; dovevo fare finta di niente.
Una sera, mio padre ritornò da lavoro e aveva comprato un nuovo televisore, a dirla tutta non ne avevamo mai avuto uno: in televisione, davano uno sketch comico dove uno dei due scimmiottava un ragazzo omosessuale, attorno al tavolo c'eravamo tutti noi più Jin, e mentre si consumava la cena calda, mio padre esultò con una frase: "certo che imitare un finocchio non fa proprio ridere!" Ed io rimasi impalato con il cucchiaio in mano, con ancora il cibo sopra è la bocca aperta; tutti risero alle sua battuta, tutti tranne io. Alzai con coraggio gli occhi su di lui, e lo vidi ridere con mio padre e suo fratello, qualcuno mi chiese se andava tutto bene, probabilmente era mia sorella che sedeva di fianco a me.

La verità è che io non mi feci tante domande sulla mia omosessualità, l'avevo capito e basta. Quello che mi uccideva era la paranoia quando realizzai chi ero e dove mi trovavo, l'ambiente che mi circondava.
Il punto non era mio padre, lui era della generazione precedente, o per lo meno io lo giustificavo così; a dolermi era Hanok e le persone che ci vivevano, io sapevo che se usciva fuori un solo pensiero su di me, su chi mi piaceva davvero, sarei stato l'oggetto di derisione per tutto e la delusione dei miei genitori. Noi sapevamo che fine facevamo quelli come me, se ne andavano tutti, nessuno era rimasto ad Hanok e allora, incominciò a balenare anche a me l'idea di andarmene da quel posto lurido, pieno di ignoranza e di vita misera, di donne casalinghe cornute e stressate, di uomini grezzi, che puzzavano di alcool e sigari, che ragionavano discorsi maschilisti e razzisti, di bambini che giocavo sull'asfalto rotto pieno di spazzatura e erbaccia che cresceva lungo le pareti, e l'odore nauseante di fognatura.
I miei genitori non erano così o per lo meno io non riuscivo a vederli ma poi il velo è caduto davanti ai miei occhi, è tutto era diventato diverso, attorno a me tutto si era ristretto, mi sentivo soffocare.
E lui non sembrava preoccuparsi.
Lui viveva. Tutti vivevano: mia sorella, Jin, mia madre, mio padre perfino il vecchio ubriacone, tutti tranne me.
Una notte, ci fomentammo in un discorso, arrivando a parlare di Hanok.

"Jungkook io voglio andare via da qui."
Non riuscivo a vederlo perché entrambi eravamo sdraiati di spalle, con la coperta che arriva fino al mento a fissare il soffitto pieno di muffa.

Mille inverni - TaekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora